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6 motivi per il Sì: Parrini replica a Violante

di Dario Parrini

 

Sostengo il Sì al prossimo al referendum costituzionale come primo passo di un cammino finalizzato a rafforzare l’autorevolezza e la funzionalità della nostra democrazia parlamentare. Ho tuttavia molto rispetto per chi la pensa diversamente, e per questo accolgo con piacere l’invito del Presidente Violante (su la Repubblica del 27 agosto) a svolgere un dibattito libero da animosità, pregiudizi e politicismi. Spiegherò perché per ragioni di merito non mi persuade nessuno dei sei argomenti indicati da Violante a supporto del No.

1- Nel primo punto, Violante sostiene che un Senato di 200 componenti, diversamente da una Camera di 400, è condannato a funzionare male. Non è così: per evitare qualsiasi guasto, bastano dei semplici adeguamenti regolamentari. Ci sono già delle ipotesi in campo, peraltro suscettibili di ulteriori approfondimenti: le commissioni permanenti senza danno alcuno potrebbero ad esempio diminuire da 14 a 10. Senza rischi può scendere il numero dei membri della giunta per il regolamento, della giunta per le elezioni e delle bicamerali “permanenti” (Questioni Regionali, Federalismo Fiscale, Vigilanza Rai e altre). Analoghi mutamenti dovrebbero interessare i requisiti numerici per formare un gruppo o per permettere alle minoranze di esercitare alcune loro prerogative. 125 assemblee politiche su 193 nel mondo, e 33 su 48 in Europa, hanno 200 o meno componenti. Sono tutte disfunzionali? Evidentemente no. Con il bicameralismo differenziato il sistema funzionerebbe ancora meglio? Certo che sì. Ma ciò non dimostra che un Senato a 200 membri sia dannoso in regime di bicameralismo paritario. Non per caso un ddl costituzionale del 4 novembre 2008 (Atto Senato 1178, primi firmatari Luigi Zanda e Anna Finocchiaro) proponeva una Camera di 400 membri e un Senato di 200, senza prevedere nessun altro cambiamento.

2- Nel secondo punto, Violante introduce un argomento che in realtà spinge a votare Sì. Il numero di 945 parlamentari eletti direttamente fu inserito in Costituzione nel 1963, quando ancora non esistevano né i Consigli Regionali (arrivati nel 1970) né il Parlamento Europeo a suffragio universale (arrivato nel 1979). Oggi circa 900 consiglieri regionali e oltre 70 parlamentari europei italiani sono eletti direttamente dai cittadini e li rappresentano in istituzioni che hanno rilevanti competenze legislative. Diversamente da quanto argomenta Violante, rispetto al quindicennio 1948-63 in cui operò con un Senato composto da meno di 250 membri elettivi, nel processo legislativo il Parlamento italiano ha oggi un ruolo meno centrale, non più centrale. Non a caso questo, dal 1979, è stato il motivo principale per cui la tradizione del riformismo costituzionale di sinistra, da cui anche io come Violante provengo, ha sempre proposto la riduzione del numero dei parlamentari. Che poi sia meglio accompagnare tale riduzione con una differenziazione delle funzioni tra le due camere, è cosa, lo ripeto, scontata. Ma che la riduzione sia da avversare perché non c’è la differenziazione, è un ragionamento che a mio avviso non regge.

3- Nel terzo punto, si citano l’introduzione del vincolo di mandato e del referendum propositivo senza limiti di materia. Penso anch’io che siano entrambe delle aberrazioni. Tanto che uno dei due motivi per cui il Partito Democratico ha votato Sì nel quarto passaggio della riforma per ridurre il numero dei parlamentari, quello dell’8 ottobre 2019 alla Camera, mentre aveva votato no nei tre precedenti, è proprio che in seguito alla nascita del Governo Conte II sia il vincolo di mandato che il referendum propositivo illimitato sono scomparsi dalla scena. Non sono più in agenda, e non ci rientreranno. La riduzione dei componenti le camere, dissociata da quelle proposte che mai abbiamo condiviso, ha assunto tutt’altro carattere. L’altro motivo per cui ci fu una svolta nel nostro atteggiamento parlamentare è che le riforme costituzionali puntuali che nei passaggi precedenti ci fu impedito di discutere (gli emendamenti che le contenevano vennero dichiarati inammissibili) con la formazione del nuovo governo sono diventate, insieme all’approvazione di una nuova legge elettorale proporzionale con sbarramento appropriato, i pilastri di un accordo tra i partiti della maggioranza. Mi riferisco alla possibilità di costituire circoscrizioni pluriregionali al Senato (a tutela della rappresentanza delle minoranze e del pluralismo nelle regioni più piccole e per minimizzare il rischio di maggioranze difformi nelle due camere), alla diminuzione del numero di delegati regionali che partecipano all’elezione del Capo dello Stato (per non creare squilibri tra istituzioni centrali e territoriali), alla parificazione degli elettorati attivo e passivo dei due rami del Parlamento (conferimento a tutti i maggiorenni del potere di eleggere anche i senatori e a chi ha almeno 25 anni del diritto di essere eletto senatore).

4- Veniamo al quarto punto. Se passasse la riforma oggetto del referendum, sostiene Violante, servirebbe poi mettere all’ordine del giorno una più vasta riforma. Giusto. Ma non corrisponde al vero che il Pd non abbia detto come intende procedere su questa strada. Basta leggere il documento approvato a larghissima maggioranza dall’Assemblea Nazionale del Partito Democratico lo scorso 22 febbraio. L’opinione del Pd è che, in un contesto imperniato su di una legge elettorale proporzionale, la via più lineare per razionalizzare la forma di governo sia quella del cancellierato, con l’introduzione, ad esempio, della sfiducia costruttiva e del potere del primo ministro di proporre al capo dello stato sia la nomina che la revoca dei ministri. Per quanto invece riguarda l’assetto istituzionale, quel documento fornisce un contributo alla discussione a partire dalla proposta di far partecipare ai lavori del Senato i Presidenti di Regione, con diritto di voto, quando siano in discussione leggi particolarmente rilevanti per le autonomie territoriali.

5- Sul quinto punto di Violante, non aggiungo nient’altro a quanto già detto. Anche se di sicuro sarebbe più efficace unita al bicameralismo differenziato, la riduzione del numero dei parlamentari può rendere più efficiente e efficace il lavoro del Parlamento anche in un quadro di permanenza del bicameralismo paritario.

6- Sesto e ultimo punto. Il mio Sì, come quello di molti altri, non è un Sì populista detto per accarezzare l’antipolitica. È un Sì riformista e di merito detto da chi ama la buona politica. Il vero regalo al populismo non è dire Sì al referendum ma contraddire una scelta che in ultima lettura il Parlamento ha approvato col voto favorevole del 97 per cento dei presenti.

 

Dario Parrini è il Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato

1 Commenti

  1. Pasquale sabato 29 Agosto 2020

    È talmente scontato che “sia meglio accompagnare“ la riduzione dei parlamentari “con una differenziazione delle funzioni tra le due camere” che per tutto il complesso iter (4 letture) della legge di revisione costituzionale e per quasi un anno dopo, non se ne è fatto nulla

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