di Vincenzo Cimino
Sono calate tristezza e sconforto sui cuori di quanti, come me persona non nota, hanno avuto la fortuna di ascoltare, conoscere, frequentare e imparare dallo “zio” Emanuele. Non posso che ricordarlo con la memoria personale carica di umanità e insegnamenti suoi. Quei modesti ricordi di uno dei suoi molti allievi sparsi in tutt’Italia. Almeno per me, è meglio farlo con essi.
Non ho mai dimenticato, quella sera di giugno 1956, il suo comizio ad Enna con il segretario della CGIL Di Vittorio. Ero con mio papà che si era recato nella piazza Municipio (come non mai strapiena per l’occasione) per ascoltare il grande leader dei lavoratori, al quale a Roma nel 1948, diceva, “aveva stretto la mano scambiando qualche frase”. Ma io ragazzino, non so perché, fui colpito di più dall’on. Macaluso che sfidava i mafiosi della provincia ennese e nissena, attaccava i gestori senza scrupoli delle miniere di zolfo; e parlava dei mali di sempre della Sicilia interna. Questa rimase sempre ”la sua Terra”, anche quando assurse a compiti e ruoli politici di prestigio nazionale; e divenne pure una nota e influente firma del giornalismo. Una Terra che l’ha sempre ispirato nei suoi scritti giornalieri e di saggista.
Poi ebbi la fortuna, lo fu per la mia vita, di conoscerlo con l‘adesione nel 1966 al PCI. Lo ascoltavo spesso perché partecipava di frequente alle riunioni del partito di Enna, avendola a cuore come la sua città natia Caltanissetta. Era, naturalmente, lui a concludere i dibattiti interni, che si distinguevano come lezioni d’alta scuola politica. Si imparava, a conferma dei miei ricordi: quando ci riunimmo a seguito della sommossa di Praga del 1968, stando dalla parte dei manifestanti poiché “Socialismo è Libertà della persona e dei popoli”; così dopo l’assassinio del presidente del Cile S. Allende nel 1973 per affermare che la Democrazia è lotta continua per difenderla o per consolidarla; e anche le battaglie per i diritti civili degli anni ’70.
Quanti appuntamenti politici con il sen. (per noi semplicemente “zio”) nei decenni a seguire! Ci formavamo per crescere e maturare anche con i suoi articoli di ogni giorno e i suoi numerosi scritti, per nostra fortuna!
Ad un tempo, grazie alla sua disponibilità, si consolidava un rapporto politico ed umano che si è mantenuto vivo e partecipe negli anni.
Si andava costruendo l’area del pensiero riformista nel PCI, e PDS dopo. Fondata sulle idee storiche di Amendola, ebbe in Napolitano, Macaluso e Chiaromonte, e in giovani e apprezzati esponenti come Morando, Ranieri e Minopoli, i teorici e gli animatori. Anche qui si sovrappongono ricordi piacevoli: i congressi vissuti con il confronto serrato e aperto delle visioni e dei programmi; le riunioni per elaborare documenti e mozioni da mettere in campo. Ore e ore per dire e per scrivere, ossia la politica vissuta con la certezza di progettare il futuro, insieme.
Napolitano e Macaluso, e noi dirigenti provinciali e locali, eravamo definiti, senza offesa ma con supponenza, “i miglioristi”. Chi erano?
Erano i comunisti italiani che si ritrovavano nell’immenso alveo del Socialismo europeo dello svedese Palme, del tedesco Brandt, del francese Mitterand (ricordo Luciano Lama che sottolineava “Il PCI, la più grande forza socialista europea”). Ritrovavano nella Sinistra storica la forza costruttrice dell’alternativa progressista alla Destra conservatrice e reazionaria. Consideravano valori inamovibili Equità e giustizia sociale, Libertà, Diritti umani e sociali, Democrazia partecipata. Europeismo, Meridionalismo, Unità della Sinistra per una democrazia dell’alternanza, Riformismo per nuove conquiste sociali erano pilastri della nostra cultura politica.
Macaluso, dunque, fu un esponente politico, in particolare dopo la caduta del muro di Berlino, protagonista di passaggi storici della Sinistra italiana, dando un fondamentale apporto d’idee con critiche che erano vere frustate ai Democratici di sinistra prima, e al Partito Democratico dopo. Tant’è che non aderì a nessuno dei due partiti, manifestando una critica costante, sia pur votandoli. Celebre è rimasta la sua frase d’inizio 2008 : “il P.D nasce da una fusione a freddo”.
Negli ultimi 25 anni si dedicò all’altro “mestiere” che amava di più, quello del giornalista. Fu editorialista de La Sicilia di Catania e de Il Mattino di Napoli , oltreché de La Stampa.
Ma soprattutto ha lasciato il segno nell’editoria nazionale, fondando due testate delle quali fu direttore: il quotidiano “Il Riformista “ e il mensile “le ragioni del Socialismo”. Le loro pagine hanno sostenuto tantissimo la Sinistra nostrana nel viaggio incerto e tormentato nella sua Storia recente.
Ogni mattina ci ha salutato, come minimo, con i suoi corsivi firmati em.ma: ce n’erano per tutti, e sempre salutari. Era come un termometro che misurava, ogni mattina, la febbre causata dalle non poche malattie della politica italiana.
Con rispetto e timidezza gli telefonavo; rispondeva sempre con affetto e pazienza chiedendo sempre della Sicilia e dell’Umbria, dove vivo e anche lui ha vissuto nel passato. Ricordo le due ultime telefonate: una di settembre scorso per invitarlo a Troina al 70° anniversario della morte dei 13 minatori nelle gallerie della Diga Ancipa esplose per il grisù. Non poté partecipare perché, mi disse, “il medico gli aveva vietato tassativamente di viaggiare”. Mandò, comunque, un messaggio in diretta che commosse l’affollato incontro cittadino. Ricordò, LUI a quel tempo segretario della CGIL Sicilia, i giorni vissuti con il dolore lacerante della Comunità troinese e dei lavoratori di ogni luogo. L’ultima telefonata la feci, come ogni anno, il 29 Dicembre scorso per augurargli un sereno anno nuovo. Non rispose, e capii .
Con il magone in gola e col pugno chiuso: “Addio, compagno Macaluso”.
A nome dei tanti, ma tanti, della mia generazione che ti hanno avuto Maestro di Vita.