di Giovanni Cominelli
Forse i lettori di queste pagine incominceranno a dar segni di noia, visto che la vicenda congressuale di un partito politico, che si chiama PD, viene ripetutamente messa al centro di un’attenzione riflessiva. Ci sono tuttavia molte buone ragioni per continuare ad occuparsene.
La prima, decisiva, è che la democrazia liberale si fonda, quanto al sistema politico-istituzionale, su una maggioranza liberale e su una opposizione liberale. Se l’opposizione si sbrindella, la base materiale oggettiva della dialettica democratica diventa più fragile. Se poi viene meno l’opposizione liberale, si profila un sistema politico, caratterizzato dal primato di un’opposizione illiberale – quella del M5S – e da una maggioranza, in cui di liberale c’è solo Forza Italia, mentre di sicuro non è liberale la Lega ed è dubbio che lo sia il partito di Fratelli d’Italia, dentro il quale convivono forze liberal-conservatrici e forze decisamente illiberali: insomma, le forze populiste e sovraniste sono egemoni tanto nella maggioranza quanto nell’opposizione. Si tratta di una potenziale rivoluzione nel nostro sistema politico, che, per il momento, non mette in discussione le istituzioni democratiche, ma certamente ne mina le basi culturali, quali sono state progettate e espresse nella Costituzione del ’48. Donde i timori non solo dei conservatori che, nel nome della Costituzione “più bella del mondo”, si oppongono a qualsiasi riforma costituzionale, relativa alla Seconda parte della Costituzione, ma anche di coloro che, ben convinti della necessità di rafforzare l’istituzione-Governo, temono che la riforma presidenzialista finisca per diventare lo strumento e il grimaldello di una disruption della democrazia liberale, fondata sulle libertà, sul pluralismo, sulla tripartizione classica dei poteri e, soprattutto, sul loro “check and balance” reciproco.
Dunque, l’esistenza di un’opposizione liberale è un tassello fondamentale dell’equilibrio politico, culturale e, infine, istituzionale della democrazia italiana.
A quanto risulta dagli attuali sondaggi, la maggioranza dell’opposizione è nelle mani del M5S. Che non è “liberale”. È un partito di ispirazione ideologica totalitaria quanto alla teoria e, soprattutto, quanto alla pratica delle istituzioni.
Resta, dunque, il PD. Riuscirà il PD a diventare una forza liberale? Il dibattito congressuale si è infilato in un labirinto di -ismi metafisici, ma Arianna si è dimenticata di portare il gomitolo di lana. Intanto, è da registrare la vicenda surreale del Manifesto dei valori, la cui stesura è stata fortemente richiesta da Art. 1 – cioè da Bersani, D’Alema, Speranza e qualche altro – quale condizione per rientrare “nella casa del padre” (in minuscolo!). La confezione del Manifesto ha offerto l’occasione ad un’ala massimalista interno/esterna di rimettere in discussione, in realtà di tentare di affondare, il Manifesto dei valori, che è stato alla base della fondazione del PD nel 2008. È stato facile rintuzzare, più sul piano procedurale che su quello sostanziale, questa pretesa. Al momento in cui scriviamo non è dato di conoscere la nuova elaborazione.
Dietro le schermaglie procedurali stanno, come è intuibile, questioni irrisolte di sostanza.
Ed è qui che affiorano gli -ismi: marxismo, socialismo, laburismo, liberalismo, ecologismo …
Eccetto l’ultimo, di conio relativamente recente, tutti gli altri -ismi hanno iniziato la loro carriera tra la seconda metà dell’800 e gli inizi del ‘900. Che siano “antichi” non significa affatto che la tavola di valori che sta a loro fondamento sia obsoleta. Quell’-ismo bimillenario che deriva da “cristiano” sta ancora alla base del liberalismo, del laburismo, nel suo filone fabiano, e del socialismo di fine ‘800. Ma in politica non si campa solo di tavole di valori. Si possono fare molti seminari e molte prediche sui valori come tali, ma fare un partito richiede un passaggio ulteriore: quello della proposta di scelte programmatiche.
A quanto pare, nel PD la discussione non è ancora arrivata in questa stazione – quella delle scelte programmatiche – perché è ancora ferma alla Stazione Termini, non avendo ancora scelto quale binario: liberalismo, il socialismo, il laburismo, l’ecologismo? …
Che significa “liberalismo”? Per una parte notevole del PD equivale a “ordoliberismo” socialmente classista, a “individualismo” selvaggio. Ci sono poi quelli del “liberalismo/capitalismo inclusivo”, che prendono atto che l’economia di mercato è la condizione “naturale” della storia umana, almeno finché non si entri in quella plaga, intravista profeticamente da Isaia 11, 6-8, nella quale “il lupo abiterà con l’agnello, e il leopardo giacerà con il capretto… e un bambino li condurrà” e che Karl Marx ha descritto con una certa aria sognante e consapevolmente utopica nei Manoscritti economico-filosofici. “Socialismo”: significa eguaglianza, forte intervento dello Stato-Welfare e dello Stato imprenditore in economia. Una sorta di “capitalismo politico”, secondo il modello ex-sovietico e attualmente cinese, però temperato dalla democrazia elettorale. Si richiama al collettivo sociale e alla veneranda “classe operaia”. Nella versione alla Schlein, questo tratto della sinistra comunista storica viene largamente piegato verso un neo-individualismo dei diritti, che, nonostante le apparenze, è largamente fuori asse rispetto a quella sinistra, che, per esempio, Gianni Cuperlo, candidato alla segreteria, vorrebbe rappresentare. Nella versione Schlein il tutto è spruzzato di ecologismo radicale. Ultimamente sono arrivati anche “i laburisti”, che mettono al centro il lavoro e i lavori. Ne abbiamo già scritto, rilevando i limiti di questa impostazione.
Così il PD si attorciglia in un circolo vizioso: le troppe opzioni ideologiche impediscono di condensare i discorsi in un programma omogeneo di governo, quale gli elettori si attendono. Pertanto, il PD si raccoglie in un’opposizione che non è più di governo, ma è di pura rappresentanza di ogni voce, di ogni grido e di ogni istanza o interesse che provengano dalla società civile. Il gioco è già più cinicamente e meglio praticato da Conte. Ma il mancato approdo ad un Programma fondamentale impedisce la scelta di un’univoca opzione ideologica.
Prospettive? Siamo in un tempo in cui i partiti si possono liquefare. È lo stadio che precede l’evaporazione.
Editoriale da santalessandro.org, sabato 21 gennaio 2023
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.