di Enrico Morando
Rispetto all’ultimo Congresso -conclusosi con la netta affermazione di Nicola Zingaretti- le cose si sono venute progressivamente chiarendo: c’è una parte del PD -probabilmente oggi nettamente maggioritaria- che considera “strategica“ l’alleanza con il Movimento Cinque Stelle e fa del Governo Conte bis il primo, decisivo atto di una linea politica di lungo periodo.
E c’è una parte del PD -probabilmente oggi nettamente minoritaria-, che considera il Governo Conte bis frutto di uno stato di necessità; si ritiene perciò impegnata a fare in modo che questo Governo ottenga i migliori risultati possibili per il Paese, ma pensa che la strategia del PD dovrebbe ispirarsi alla riproposizione della sua vocazione maggioritaria.
La prima ha dalla sua il realismo di chi individua con nettezza il pericolo incombente -l’Italia in mano a Salvini-, e si dimostra pronto ad ogni scelta in grado di scongiurarlo: anche i moltissimi che si tengono lontani dagli eccessi di entusiasmo -Conte “un gigante“ e Grillo con la sua “autorevolezza, intuito e volontà unitaria“-, alla fine considerano che, per molti anni, la sinistra di governo questo potrà fare: tenere il populismo antieuropeista di Salvini e Meloni fuori dal Governo del Paese, consolidando, al centro e in periferia, l’alleanza con i Grillini. E pazienza se le riforme che servono verranno fuori un po’ sbilenche o non verranno affatto…E poi, non si può negare che i Grillini, per parte loro, stanno pian piano imparando che ciò che di buono si riesce a fare, stando al governo, è il contrario di ciò che avevano promesso di fare nella fase eroica del loro trionfo elettorale.
La seconda linea politica si fonda sull’assunto che la vicenda nazionale sia giunta ad un tornante cruciale: la crisi Coronavirus non fa che accentuare il rischio di declino di un Paese che da troppi anni rifiuta di riconoscere “la verità“ delle sue tendenze demografiche, della bassa partecipazione delle donne alle forze di lavoro, della incapacità del suo sistema di formazione di coprire più di un milione di posti di lavoro ad alta qualificazione, mentre la disoccupazione giovanile resta a livelli record. In un Paese così, l’obiettivo fondamentale dei riformisti non può essere quello di impedire che i populisti di Salvini vadano al governo. Deve essere quello di garantire all’Italia un lungo periodo di governo riformista ed europeista, legittimato ad agire per il cambiamento del Paese dal voto degli italiani.
Queste due linee politiche, che più diverse non potrebbero essere, dovranno misurarsi nel prossimo Congresso del PD, ciascuna con la sua mozione e proposta di leadership, come prevede lo Statuto del partito. Di questo appuntamento hanno infatti parlato sia Zingaretti, sia Gori. Non credo sia decisivo il quando: lo Statuto fissa la scadenza obbligatoria e solo la volontà di una larghissima maggioranza potrebbe deciderne l’anticipo. Credo che sia più importante la preparazione: l’attuale maggioranza dovrebbe esporre più chiaramente i termini e le basi programmatiche della sua proposta di cooperazione strategica coi Cinque Stelle (in troppi, all’ultimo Congresso, l’hanno fatta facile: “il PD a vocazione maggioritaria, aperto all’alleanza con i Grillini”). Mentre i sostenitori dell’altra linea debbono darle una leadership capace di impersonarla agli occhi di militanti ed elettori (una, non due o tre in incomprensibile lotta tra di loro). E debbono far vivere la loro proposta nella battaglia politica interna al partito, in piena trasparenza e con la massima determinazione.
Entrambe, maggioranza e minoranza interna al PD, devono infine cooperare per fare in modo che questo partito torni a farsi avvertire dai cittadini italiani come un partito riformista, utile al Paese perché esigente verso se stesso e verso i partner di governo. Non è stato così, nei mesi che ci stanno alle spalle. Due esempi basteranno per tutti.
Il primo, si riferisce alla fase che ha preceduto la formazione del Conte bis: non riesco a convincermi che fosse impossibile, mentre il PD ingoiava il gigantesco rospo della riforma costituzionale sul numero dei parlamentari, chiedere e ottenere che si tornasse indietro su Quota 100, una norma profondamente iniqua, nel frattempo dimostratasi nemica della occupazione.
Il secondo, riguarda il ricorso alle risorse del MES per finanziare la necessaria ristrutturazione del sistema sanitario. Conte “deciderà dopo aver letto attentamente le clausole “? I Cinque Stelle hanno bisogno di più tempo, per allontanarsi dalle loro posizioni del passato (che col MES di cui si sta discutendo non centrano nulla)? Si può sopportare tutto, forti della consapevolezza che con Salvini rischieremmo molto di più: la fuoriuscita dall’Euro. Ma il PD deve da mesi agli italiani un onesto discorso di verità: il Piano sulla sanità è urgente. Si può finanziare solo col MES. Nel Governo altri hanno incertezze. Ma noi non abbiamo dubbi: vogliamo chiedere le risorse del MES, subito. Zingaretti ha finalmente rotto gli indugi, con l’articolo sul Corriere della Sera. Se a questa presa di posizione seguirà nei prossimi giorni una diffusa iniziativa di mobilitazione politica, si potrà parzialmente recuperare il terreno perduto.
Cadrà il Governo, per questo? No, lo si aiuterà a fare la cosa giusta per il Paese. E risulterà confermato che il PD ha un grande ruolo da svolgere, se la sua leadership si convince che la silente attesa non è la tattica giusta per questi tempi difficili. Neppure per chi coltiva e spera di far lentamente maturare il disegno del “grande incontro“ tra PD e M5S.
Presidente di Libertà Eguale. Viceministro dell’Economia nei governi Renzi e Gentiloni. Senatore dal 1994 al 2013, è stato leader della componente Liberal dei Ds, estensore del programma elettorale del Pd nel 2008 e coordinatore del Governo ombra. Ha scritto con Giorgio Tonini “L’Italia dei democratici”, edito da Marsilio (2013)