LibertàEguale

Appunti su “L’apocalisse della democrazia italiana”

di Carlo Fusaro

 

Mi sembra molto azzeccata la chiave di lettura che ci propongono nel loro documentato e importante libro “L’apocalisse della democrazia italiana” di Schadee, Segatti e Vezzoni, ed. Il Mulino 2019 (il libro sarà presentato a Roma il 31 gennaio alla Camera dei Deputati).

L’idea di fondo è che gli elettori non abbiano tanto cambiato quello che si aspettano e vogliono, quanto che abbiano percepito (e in parte alimentato essi stessi) una crisi di autorità dei partiti tradizionali, seria e senza precedenti, pur continuando a volere più o meno le stesse cose di prima.

Questa crisi di autorità ha finito col travolgere i partiti della cosiddetta Seconda Repubblica perché c’era a disposizione il M5S (fattore che ha consentito di trasferire masse di voti su un soggetto nuovo che prometteva totale rottura col passato). Naturalmente a questa crisi di autorità i partiti tradizionali hanno concorso in maniera decisiva.

Tutte cose giuste che giustificano la massima attenzione a questo contributo. In particolare, trovo stimolante la chiave di lettura della cosiddetta “democrazia invisibile”. Quella in cui molti, se non i più, pensano che l’ideale sia fare a meno della politica e decidere direttamente, convinti che è inutile chiacchierare troppo, basta volere e fare le politiche “autoevidenti” perché la soluzione è indiscutibile ed una sola; senza ammettere gli inevitabili conflitti di interesse di una società aperta e libera; dunque anche senza tollerare i necessari compromessi da fare, tacciando chi li fa di essere, in sostanza, un farabutto.

In questa io vedo peraltro nient’altro che una forma aggiornata al ventunesimo secolo del caro vecchio qualunquismo, un’invenzione italiana, a sua volta figlia di livello di cultura ed educazione tuttora purtroppo documentati da tutti i dati sui livelli di formazione e sulle percezioni distorte, oltre che figlia anche di valori quanto meno discutibili, improvvisamente rilegittimati dal direttismo della rete e dei social.

In vista del dibattito di presentazione organizzato da LibertàEguale tra pochi giorni nella Sala del Cenacolo di Vicolo Valdina (Roma, 31 gennaio ore 17.00), segnalo alcune richieste di approfondimento ai colleghi Autori:

a) acclarate le responsabilità della classe dirigente politica della c.d. II Repubblica, non vorrei però che le si mettessero tutte sullo stesso piano (da un lato Berlusconi e Forza Italia, dall’altro Prodi-Ulivo-Unione-Pd) come se l’azione di quegli esecutivi sia stata equivalente, cosa su cui ritorno più avanti;

b) non condivido, sul referendum del 2016, la valutazione che il Pd e il governo (allora guidati da Renzi) abbiano commesso un errore da dilettanti nel decidere come posizionarsi sul referendum, sbagliando anche la data in cui tenerlo. Sul primo punto non avevano scelta alcuna: era un governo nato per fare le riforme, fece tutto quanto in suo potere per farle; come poteva ipocritamente fingere di prenderne le distanze per evitare di identificarsi con la riforma approvata dal Parlamento e il sì? Sul secondo punto (tempistica) è la legge 352/70 a dettare tempistiche precise: c’era obiettivamente ben poco da fare (senza contare che eventuali procrastinazioni, ove possibili, sarebbero state percepite come segnale di debolezza);

c) certi fenomeni non sono solo italiani, ma perché da noi si sono manifestati così? Si diceva: errori della classe dirigente. Quali specificamente, però? Io, per esempio, direi: non aver fatto insieme le riforme sul modello della Commissione D’Alema; aver lasciato che il paese arrivasse alla crisi 2011 senza aver prima ridotto il debito e perciò permesso di affrontarla meglio come tutti i paesi che avevano un debito contenuto. Ma, appunto, e di nuovo, i governi del centrosinistra il debito l’avevano ridotto e non poco; sono i vari governi Berlusconi che l’han fatto riesplodere; del resto Berlusconi con Tremonti erano al governo dal 2008, da ben tre anni prima che la crisi esplodesse;

d) infine, concordo che la presenza del M5S sia stata così decisiva, ma se è così quale ruolo hanno avuto rete e social? Se ne parla, ma ancora non abbastanza: vorrei conoscere l’opinione degli autori al riguardo, ricordando il concetto di “Disrupted democracy” che dà il titolo alle ricerche della Fondazione Bertelsmann o alle campagne-inchiesta di Carol Cadwalladr a partire da Cambridge Analytica.

Il titolo del libro al di là del concetto di “disvelamento” segnalato dagli Autori, resta purtroppo perfetto nel significato più comune: sia di fronte a un distacco cittadini-élite ovvero a una crisi di autorità che travalica i confini, non promette nulla di buono, e, specie da noi, non si vede come possa essere superata di fronte a un’opinione pubblica in balia di una macchina della disinformazione e della cattiva informazione, che non ha francamente precedenti per pervasività ed efficacia.

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