di Marco Leonardi
In principio la nazionalizzazione non sarebbe niente di male, in pratica però mi sembra infattibile e controproducente.
La nazionalizzazione è controproducente
In primis perché Anas non è affatto pronta né a ricostruire subito il ponte né a prendersi carico di migliaia di km di autostrada. In secondo luogo perché, se l’idea del governo è andare in Europa a chiedere flessibilità per gli investimenti pubblici vendendogli la nazionalizzazione di autostrade, è un’idea demenziale: l’Europa può concedere flessibilità per riforme che migliorano l’efficienza, non per i salti nel buio.
Questioni di metodo
Il problema non è solo di merito ma di metodo. Quando l’Italia fece le privatizzazioni di fine anni 90 fu all’esito di un dibattito intellettuale in tutto il mondo sulle privatizzazioni. Ci mettemmo 10 anni a fare privatizzazioni e adesso si pretenderebbe di nazionalizzare in 10 giorni?
Non è un comportamento serio da parte del governo.
Un governo assennato avrebbe per prima cosa preteso i danni per la ricostruzione e per le vittime e poi subito corretto quel che c’è da correggere nella regolazione delle concessioni dando il potere all’Authority dei trasporti di determinare le tariffe e verificare gli investimenti (che oggi incredibilmente non ha) e poi avrebbe valutato, anche considerati i rilievi penali dei drammatici fatti di Genova, la revoca delle concessione. Prima si ottiene l’indennizzo e si tagliano i profitti delle concessionarie e poi in caso si prepara l’alternativa (pubblica o privata) ad Autostrade. Certamente sull’onda dell’emotività non si può invertire improvvisamente la rotta di vent’anni di privatizzazioni nazionalizzando tutto in 10 giorni senza avere nessuna alternativa di gestione della rete e nessuna garanzia di sicurezza maggiore.
Un governo dissennato
Ma del resto questo governo è dissennato. Anche per entrare nell’euro ci abbiamo messo 10 anni e esponenti assai importanti di questo governo promettevano di farci uscire in 10 giorni. Per ora l’unica sicurezza che abbiamo, a fronte di decine di annunci (su pensioni, reddito di cittadinanza, flat tax per tutti) e alcuni minimi risparmi (che poi magari non saranno neanche risparmi) su vitalizi e aerei di Stato, è che le aste dei nostri titoli di Stato costano centinaia di milioni in più esattamente da quando si è insediato il governo Conte.
Tutti i mesi l’Italia deve rinnovare circa 30 miliardi di debito pubblico e solo le 19 aste di questi tre mesi sono costati al bilancio pubblico 1.5 miliardi di euro in più.
Più che l’uscita dall’euro in 10 giorni, il risultato più probabile di questo comportamento dissennato è una lenta agonia, un depauperamento dei conti pubblici e dei risparmi privati degli italiani al termine del quale, paradosso del sovranismo, potremmo dover essere costretti a farci governare dalla troika straniera.
Professore di economia politica all’università degli Studi di Milano, si occupa di disoccupazione e diseguaglianze. E’ stato tra gli anni 2015 e 2018 membro del comitato tecnico di valutazione della Presidenza del Consiglio e consigliere economico del Presidente Gentiloni. Ha scritto un libro sulle riforme di quegli anni dal titolo “le riforme dimezzate, perché su lavoro e pensioni non si può tornare indietro”, EGEA 2018. Fa parte della Presidenza Nazionale di Libertà Eguale.