di Stefano Ceccanti
Ho assistito ai lavori della Direzione del Pd che ha approvato con voto on line l’orientamento per il Sì al referendum proposto nella relazione del segretario Zingaretti, scelta giusta e doverosa per le riflessioni che condenso in tre punti.
Primo: quando si perde, come è capitato a noi nel referendum 2016, non si cambiano i princìpi, ma certo si devono aggiornare metodi e strumenti. In politica la ragione la danno gli elettori e non si può con una sorta di accanimento terapeutico riproporre gli stessi strumenti come se da ogni principio scaturisse un unico strumento. In particolare il metodo della riforma organica si è rivelato controproducente perché ha favorito un giudizio politico sul Governo anziché un giudizio di merito. Siamo pertanto obbligati a seguire la strada della riforma a tappe, anche se questo non esclude affatto il perseguire una visione organica che risulti alla fine, dalle varie tappe.
Il secondo è una constatazione: il nostro voto per il Sì non è altro che un ribadire la scelta fatta nell’ultima decisiva lettura in Parlamento. E l’abbiamo potuta fare non per politicismo, come sofferenza per far partire il Governo, ma perché è cambiato il contesto. I due provvedimenti su cui avremmo astrattamente rinunciato ai nostri principi non ci sono: il mandato imperativo e l’accettazione di un modello di referendum propositivo impostato in modo alternativo al Parlamento. Quello residuo, la riduzione dei parlamentari, certo non smentisce i nostri princìpi, tant’è che lo abbiamo sostenuto anche noi, persino presentandola come proposta chirurgica nel 2008. Si vuole davvero obiettare che la situazione sarebbe cambiata e il patto non varrebbe più perché i correttivi, le integrazioni sono andati a rilento? Anzitutto le integrazioni più importanti sono quelle costituzionali perché si pongono sullo stesso piano della revisione. C’è stata l’emergenza Covid e le Aule erano bloccate dalla decretazione d’urgenza, oltre che dai nostri tentativi, in larga parte riusciti, di parlamentarizzare tutta l’attività del Governo. Ciò nonostante la Commissione Affari Costituzionali del Senato ha approvato la riduzione dell’elettorato attivo e passivo che domani va in Aula, la Commissione Camera ha iniziato i lavori sulla riforma costituzionale Fornaro che va in aula il 25 e sulla legge elettorale di cui il testo base sarà approvato domani. Ovviamente la riforma dei Regolamenti può invece essere approvata solo a modifica entrata in vigore e mi sembra obiettivamente difficile sostenere che la procedura è lunga e difficile: basta un unico voto a maggioranza dei componenti. Tant’è che sono state approvate varie riforme dal 1971 in poi, senza particolari problemi.
Il terzo è la prospettiva che vogliamo affermare. Luciano Violante oggi ha proposto che affianchiamo al Sì una nostra proposta di riforma- Metodo del tutto condivisibile. Affinché non si tratti però di una posizione di bandiera è necessario che essa sia diversa da quella bocciata nel 2016, pur ispirandosi ad analoghi principi. Altrimenti non sarebbe evidentemente accolta da chi l’ha avversata allora. La proposta di metodo di Violante mi sembra si abbini bene alla proposta di contenuto del prof. Enzo Cheli: valorizzare la seduta comune delle due Camere (con 600 componenti è possibile, mentre con 945 non si poteva; per di più ora con la modifica degli elettorati e le circoscrizioni pluriregionali della riforma Fornaro diventano più simili e quindi più sommabili) ed attribuire a quella il potere di fiducia e sfiducia, mentre il rapporto Stato-Regioni dovrebbe essere completato dalla costituzionalizzazione della conferenza Stato-Regioni. Ovviamente però questa iniziativa può prendere corpo solo con una vittoria del Sì, altrimenti nessun soggeto politico se la sentirebbe di iniziare un nuovo percorso nelle Aule col rischio di essere poi battuto dal corpo elettorale.
Vicepresidente di Libertà Eguale e Professore di diritto costituzionale comparato all’Università La Sapienza di Roma. È stato Senatore (dal 2008 al 2013) e poi Deputato (dal 2018 al 2022) del Partito Democratico. Già presidente nazionale della Fuci, si è occupato di forme di governo e libertà religiosa. Tra i suoi ultimi libri: “La transizione è (quasi) finita. Come risolvere nel 2016 i problemi aperti 70 anni prima” (2016). È il curatore del volume di John Courtney Murray, “Noi crediamo in queste verità. Riflessioni sul ‘principio americano'” , Morcelliana 2021.