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Bilancio: ecco perché funziona il ricorso Pd

Non funzionano due delle principali obiezioni contro il ricorso del Pd alla Corte Costituzionale sulla Legge di Bilancio, pur presentate da autorevoli commentatori, ultimo Paolo Pombeni sul Sole 24 Ore di oggi.

 

La sfiducia surrettizia al Governo

La prima è sulla sfiducia surrettizia al Governo. Capita frequentemente che in corso di mandato un Governo venga smentito dalla Corte sulla costituzionalità di una delle leggi qualificanti del suo programma, ma nessuno chiede al Governo di dimettersi perché non si tratta di una sfiducia politica anomala. Del resto se si assumesse questo punto di vista, contando sul self-restraint delle Corti, i Governi potrebbero far approvare dalle proprie maggioranze qualsiasi legge. In molti ordinamenti, col ricorso preventivo, i Governi vengono smentiti subito, praticamente in diretta, ma nessuno si dimette.

 

Smentita la Presidenza della Repubblica?

Non è neanche convincente la seconda obiezione, l’idea che venga smentita la Presidenza della Repubblica, che peraltro si è espressa in modo critico sulla procedura, giacché il ricorso è stato presentato prima della firma dandola appunto per scontata al fine di evitare l’esercizio provvisorio. Se ci si rivolge subito alla Corte è perché si comprende bene la posizione delicata del Quirinale che si decide quindi di tenere del tutto fuori dal conflitto.

 

Il ruolo del gruppo parlamentare

Qual è invece il punto più importante in positivo?

La decisione di ammissibilità da parte della Corte costituzionale sul ricorso del gruppo Pd Senato (al di là del fatto che il ricorso sia stato firmato dal senatore Marcucci sia a titolo di capogruppo sia anche come singolo insieme alla maggioranza dei senatori del medesimo) deve in sostanza rispondere a una domanda fondamentale, non meno importante rispetto a quella di merito: nella categoria dei poteri dello Stato prevista dall’articolo 134 della Costituzione può o no rientrare un gruppo parlamentare?

Come ogni categoria aperta, costruita dalla Carte Costituzionali, la scelta è affidata all’interprete, che legge gli interrogativi sia alla luce del testo sia a quella del contesto. Il testo dà già due riferimenti chiave nell’articolo 72 e nell’articolo 82 imponendo che le Commissioni permanenti e quelle di inchiesta siano formate in proporzione ai gruppi.

 

Il contesto del diritto parlamentare

Ma qual è poi il contesto del nostro diritto parlamentare, porzione qualificante del diritto costituzionale e qual è stato, soprattutto, il suo sviluppo?

I primi Regolamenti parlamentari scritti ex novo nel periodo repubblicano, quelli del 1971, sono partiti dagli articoli 1 e 49 della Costituzione, valorizzandone la novità, e spostandosi quindi da un’ottica prevalentemente atomistica, del singolo parlamentare, a quella che vede come primo perno i Gruppi e come attori chiave i capigruppo e la loro Conferenza. Del resto le garanzie già citate nel testo, quelle degli articoli 72 e 82 erano strettamente consequenziali alle novità di principio degli articoli 1 e 49. Sarebbe altrimenti impossibile per i cittadini, attraverso i partiti e i relativi gruppi parlamentari, far valere la titolarità della propria sovranità e concorrere a determinare la politica nazionale: principi che non si conciliano con un’impostazione atomistica della rappresentanza.

È difficile negare, poi che in modo progressivo nelle successive legislature repubblicane la soggettività dei gruppi sia cresciuta nel nostro ordinamento. È noto anche il rilievo dei gruppi nell’ultimo maxi intervento del 1997 che in particolare alla Camera ha sostituito per la programmazione il criterio dell’unanimità con quello del voto ponderato a tre quarti. Meno noto è il fatto che anche le ultime legislature si sono chiuse con riforme regolamentari che hanno voluto precisare e stabilizzare il ruolo dei gruppi. Quella del 2012, in connessione con la riforma del finanziamento pubblico dei partiti, ha reso particolarmente pregnanti le garanzie di trasparenza della loro vita interna. Quella del 2017 al Senato ha teso a rendere stringere i rapporti tra soggetti del diritto elettorale e di quello parlamentare, portando a una sostanziale coincidenza tra liste elettorali, ovvero partiti, e gruppi.

 

La soggettività dei gruppi

Se si considera bene quanto accade nella vita parlamentare, nell’evoluzione delle sue norme interne (interne sì, ma pur sempre sviluppo di quelle costituzionali, al punto dal renderle spesso talmente compenetrate fino a un vincolo di sostanziale indissolubilità), molte funzioni, a cominciare da quella legislativa non sono minimamente ricostruibili a prescindere dalla soggettività dei gruppi. Si entra in una Commissione (e si è eventualmente sostituiti, anche e specialmente in caso di dissenso annunciato) su designazione dei Gruppi; il voto in Commissione e in Aula avviene di norma sulla base della regola della disciplina di gruppo, anche con eventuali sanzioni a danno di dissidenti. L’articolo 67 mantiene il suo ruolo di difesa ultima dell’autonomia e dell’indipendenza del singolo nel senso dell’appartenenza al plenum, ma non c’è dubbio che la sua forza si sia ridotta di fronte alla potente avanzata della logica degli articoli 1 e 49 che postulano il ruolo centrale dei soggetti collettivi, già centrale nella fase elettorale.

Il procedimento legislativo è oggi questo: fondamentalmente il risultato di scelte dei soggetti collettivi, prima che di logiche individuali atomistiche. Se così è, e lo dimostra l’evoluzione di regolamenti, leggi, consuetudini, prassi, convenzioni, registrata in modo convergente sostanzialmente da tutti gli studiosi del diritto parlamentare che non hanno nostalgie di visioni individualistiche della rappresentanza politica tipica del suffragio ristretto, allora anche la questione delle garanzie (compresa la lettura della nozione di potere di Stato) va pensata dentro questo contesto.

Chi mai dentro il procedimento legislativo potrebbe far valere la rottura delle garanzie previste dall’articolo 72 della Costituzione? Ovviamente, nel merito, le accuse di violazione potrebbero essere parzialmente o totalmente infondate, ma si può escludere un gruppo parlamentare dal novero dei legittimati? Se la Corte ha già ammesso, in linea di principio, che persino il singolo possa farsi valere per sue prerogative non riconosciute dal Plenum, ad esempio per l’insindacabilità ex art. 68 Cost., si potrebbe trattare in modo più sfavorevole il gruppo, nel contesto prima descritto? Si dovrebbe forse lasciare come unica possibilità quella di un quasi impossibile conflitto tra maggioranza del plenum e Governo, impossibile stante il continuum che lega maggioranza e Governo?

 

Una decisione delicata e inedita

Non si vuole con questo chiedere che la Corte faccia propria una precisa teoria della separazione dei poteri, pur molto diffusa e per vari aspetti convincente, secondo la quale la vera separazione risiederebbe oggi da una parte tra il continuum maggioranza-Governo e dall’altra i vari gruppi di opposizione. In astratto, dal momento che il continuum non copre tutti i temi oggetto di decisioni alcune scelte potrebbero essere compiute per convergenza di gruppi con collocazioni diverse rispetto al Governo (maggioranze variabili) per cui ad essere danneggiato potrebbe essere in astratto anche un Gruppo di maggioranza. Eppure, di norma, si tratterebbe sempre di decisioni dei soggetti collettivi, dei Gruppi, più che della convergenza di singoli.

In conclusione, quindi, la decisione della Corte è certo delicata e comunque inedita: ma, credo, sulla base degli argomenti prima citati, che descrivono il contesto obiettivo dell’evoluzione dell’ordinamento, per quanto inedita, non si dovrebbe capovolgere il ragionamento che induce alcuni studiosi allo scetticismo sull’esito? L’onere della prova non dovrebbe spettare a chi vuole negare un’importante crescita delle garanzie costituzionali, in uno dei momenti più tristi della compressione del ruolo del Parlamento sulla legge più importante dell’anno, come rilevato anche dal Presidente Mattarella nel discorso di fine anno?

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