di Alessandro Maran
Non sono rimasti in molti a scommettere sull’Unione Europea.
Eppure, in un concerto del 31 agosto a Berlino (un mese prima che Salvini e Di Maio si divertissero a fare i bulli con i mercati e a dare dei “terroristi” ai commissari europei, dell’”ubriacone” al presidente della Commissione e dei “pezzi di merda” ai tecnici del Mef), gli U2 hanno sventolato una grande bandiera blu con le 12 stelle, il simbolo dell’Unione europea.
La scelta è stata annunciata da Bono, il cantante (e attivista e filantropo) irlandese, con una lettera pubblicata sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung: «Mi hanno sempre detto che una rock band è al suo meglio quando è un po’ trasgressiva, quando sposta i limiti del cosiddetto buongusto, quando sorprende. Bene, gli U2 partiranno in tour da Berlino questa settimana, ed ecco una delle nostre provocazioni: durante il concerto sventoleremo sul palco una grande, brillante, bandiera blu dell’Unione europea».
L’Europa come elogio delle differenze
«L’Europa, oggi, è il teatro dello scontro tra forze potenti e che daranno forma al nostro futuro. Il nostro futuro, sì, perché è impossibile negare che siamo tutti sulla stessa barca, attraverso mari mossi da brutto tempo e politica estremista. Oggi è difficile trasmettere l’Europa, ma non vi è mai stato un luogo migliore dell’Europa degli ultimi 50 anni, per venire al mondo», ha scritto il frontman degli U2.
«Gli europei sono più istruiti, meglio protetti dagli abusi delle imprese, trascorrono una vita più sana, più lunga e più felice delle persone in altre regioni del mondo. Sì, più felice». «E se la definizione di sovranità è il potere di un paese di governare se stesso – ha aggiunto – , l’Irlanda è la dimostrazione che collaborare con altre nazioni ci ha permesso di ottenere un potere più grande di quanto avremmo conquistato da soli, e un maggiore controllo del nostro destino (…) Ma ora tutto questo è a rischio, perché il rispetto per la diversità – la premessa di tutto il sistema Europeo – è sotto attacco. Come ha detto John Hume: “Tutti i conflitti nascono dalle differenze, a volte è la razza, altre la religione o la nazionalità. I visionari Europei decisero che le differenze non sarebbero più state una minaccia, ma l’essenza dell’umanità”. Dovremmo rispettarle, celebrarle e persino coltivarle».
Un messaggio che risuona oltre Atlantico…
Il messaggio di Bono è risuonato anche oltre Atlantico (Fareed Zakaria gli ha dedicato un articolo sul Washington Post: «I wanted to understand Europe’s populism. So I talked to Bono»), dove, considerata la profondità delle crepe (territoriali, religiose, di genere, di classe, ecc.) che le ultime elezioni hanno rivelato nel paese (e che si sono poi riverberate globalmente con implicazioni altrettanto profonde) ed il modo in cui i social hanno esacerbato queste differenze, il dibattito relativo all’identità americana è riemerso con forza.
Non per caso, quattro delle principali novità in libreria si occupano di identità, delle policies relative all’identità e delle “guerre identitarie” che affliggono parecchie nazioni: “The Lies That Bind” di Kwame Anthony Appiah , “Identity” di Francis Fukuyama, “The Coddling of the American Mind” di Greg Lukianoff and Jonathan Haidt e “The Splintering of the American Mind” di William Egginton.
…e che ha al centro il tema dell’identità
I saggi fanno parte di un genere oggi molto in voga, che viene descritto con un acronimo, il N.A.T.B.A.S.O.A.T (“Not-About-Trump-But-Also-Sort-Of-About-Trump”). C’è, ovviamente, anche il desiderio di comprendere il particolare momento che attraversa l’America (e, dunque, il fenomeno Trump), ma questi libri spiegano qualcosa che va oltre Trump: il #MeToo, il nazionalismo bianco, Black Lives Matter, i dibatti sulla presenza di simboli e riferimenti al “suprematismo bianco” nelle università americane, ed anche la Siria, l’islamismo, il nazionalismo Hindu, la diffusione del populismo e la ritirata della democrazia in tutto il mondo, l’ascesa dell’estrema destra in Europa e dell’estrema sinistra negli Stati Uniti, ecc.
Tutti questi fenomeni hanno a che fare con domande sull’identità (“Chi sono?”,“A chi appartengo?”); e questi libri cercano le risposte (che ovviamente ci riguardano).
Nel suo nuovo libro, «Identity: The Demand for Dignity and the Politics of Resentment», Francis Fukuyama sostiene che l’identità scaturisce dal bisogno psicologico, radicato negli esseri umani, di essere riconosciuti in quanto in possesso di dignità. Negli ultimi anni, nella comprensibile ricerca di riconoscimento, i gruppi minoritari perseguitati (neri, ispanici, gay) hanno celebrato la loro identità; e hanno fatto lo stesso gli operai bianchi che ora si sentono ignorati e dimenticati.
Costruire identità più ampie
La risposta, spiega Fukuyama, non deve essere di respingere le politiche identitarie, ma di costruire identità più ampie in grado di abbracciare le altre e unire gruppi diversi. I fondatori dell’Europa, sostiene il politologo americano, hanno dedicato fin troppo tempo a mettere punto gli aspetti tecnici del progetto (leggi, regolamenti, tariffe) e hanno trascurato, invece, di coltivare una vera identità europea, qualcosa a cui credere non per ragioni razionali, ma per motivi ideali ed emotivi.
Nel caso americano, afferma Fukuyama, le forze anti-populiste devono creare un’identità più ampia basata sul nucleo dei valori e degli ideali americani, piuttosto che su quelli, più limitati, di tipo etnico, razziale o religioso. Devono, inoltre, concentrarsi di più sull’integrazione, sulla celebrazione dell’identità americana e su tutte le cose che fanno sì che le persone amino essere americane; e devono rapportarsi con la pancia della gente e non solo con la loro testa.
La difficile sfida europea
La sfida che ha di fronte l’Europa sembra più complicata. «Per farcela in questi tempi critici, l’Europa è un pensiero che deve diventare sentimento», ha scritto Bono, riconoscendo che oggi il progetto europeo è difficile da vendere. Le forze populiste hanno conquistato l’Ungheria, la Polonia e l’Italia e stanno progressivamente guadagnando terreno anche altrove (Svezia e Germania comprese). E sembra che dovunque il combustibile sia lo stesso: l’ostilità per gli stranieri e per chi è “diverso”.
Racconta Zakaria che il sociologo ungherese Endre Sik, nell’ambito di un sondaggio sulla xenofobia, ha interrogato gli ungheresi in merito all’ammissione nel paese di richiedenti asilo e avendo riscontrato una forte resistenza nell’accettare alcuni gruppi (come ad esempio, i rumeni, i cinesi e gli arabi), ha deciso di chiedere loro dei “Piresiani”. Sebbene si tratti di un gruppo etnico inventato di sana pianta da Sik, anche in questo caso gli ungheresi hanno rifiutato decisamente di dare loro ospitalità. Intervistato dalla National Public Radio, Sik ha commentato: «La forma ungherese di xenofobia è, diciamo, la forma classica: “Sono diversi, non li conosciamo, perciò li odiamo”. È la bestia che è in noi».
Verso un patriottismo allargato
Tuttavia, la diffidenza nei confronti degli stranieri non significa necessariamente il rigetto dell’Europa. Perfino in Polonia e in Ungheria, dove i sentimenti etno-nazionalisti sono alle stelle, il sostegno verso l’Unione europea resta piuttosto alto. Secondo l’ultima indagine di Eurobaromentro, il 71% dei polacchi (più che i tedeschi e gli spagnoli) ed il 61% degli ungheresi (superando francesi, svedesi e belgi) manifestano il proprio attaccamento alla Ue. Il punto è che non si tratta di un legame emotivo profondo: l’attaccamento al loro paese resta tre o quattro volte più forte del legame con l’Unione europea.
C’è però una cosa, suggerisce Bono, che passa sotto silenzio, di cui (sia in Europa che negli Stati Uniti) dovremmo invece essere orgogliosi e che dovremmo celebrare: le straordinarie conquiste della diversità. «Amo le nostre differenze: dialetti, tradizioni, peculiarità, l’essenza dell’umanità, come diceva Hume. E credo – ha scritto la rockstar irlandese – che ci sia ancora spazio per quello che Churchill chiamava “patriottismo allargato”: essere irlandese ed europeo, non irlandese o europeo, non uno o l’altro. La parola patriottismo ci è stata rubata dai nazionalisti e dagli estremisti che chiedono uniformità. Ma i veri patrioti cercano l’unità, non l’omogeneità. Riaffermarlo è il vero progetto europeo».
Già senatore del Partito democratico, membro della Commissione Esteri e della Commissione Politiche Ue, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Parlamentare dal 2001 al 2018, è stato segretario regionale dei Ds del Friuli Venezia Giulia.