di Pietro Ichino
Proviamo a immaginare che cosa ci accadrebbe se dovessimo affrontare questa crisi spaventosa finanziandoci con buoni del Tesoro denominati in lire italiane: non li vorrebbe nessuno
In risposta alle proposte di intervento del Fondo Salva-Stati condizionate a qualche garanzia circa il buon uso del finanziamento, la settimana scorsa Giuseppe Conte ha picchiato il pugno sul tavolo del Consiglio Europeo pronunciando uno sprezzante “facciamo da soli”.
Ma chi pensava di impressionare?
Il nostro premier ha riflettuto sulla posizione in cui ci troveremmo in queste settimane nel mercato finanziario internazionale senza la protezione della BCE, che ha già acquistato i nostri buoni del Tesoro per 220 miliardi a un tasso che non potremmo sognarci di ottenere da nessun altro investitore?
Se non lo fa lui – come non lo fanno Salvini e Meloni, e neppure i molti che predicano da tempo il “facciamo da soli” da sinistra – proviamo noi a immaginare che cosa ci accadrebbe se dovessimo affrontare questa crisi spaventosa, con la prospettiva di un crollo del PIL italiano 2020 tra il 5 e il 10 per cento se va bene a fronte di un debito che si avvicina al doppio dello stesso PIL, offrendo buoni del Tesoro denominati in lire italiane, suscettibili di essere svalutate a piacere da un Governo tornato “sovrano sulla propria moneta” (copyright di Claudio Borghi, il chief economist della Lega).
Non li vorrebbe nessuno.
A un mese dallo scoppio della crisi, dunque, saremmo già alla bancarotta dello Stato, con effetti pesanti sugli stipendi dei suoi dipendenti e sulle pensioni pubbliche e private, ma anche sulla possibilità di finanziare la ripresa come il Governo sta tentando di fare.
Forse, allora, è il caso di abbassare un po’ la cresta. E mettersi nei panni dei contribuenti tedeschi e degli altri Paesi del Nord-Europa, cui certo fa comodo il nostro restare nell’Unione, ma che sono anche legittimamente preoccupati di evitare uno sperpero dei finanziamenti, da noi chiesti a gran voce, simile a quello del nostro denaro pubblico negli ultimi quarant’anni. Forse è anche nostro interesse accettare qualche vincolo in proposito.
Già senatore del Partito democratico e membro della Commissione Lavoro, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Ordinario di Diritto del lavoro all’Università statale di Milano, già dirigente sindacale della Cgil, ha diretto la Rivista italiana di diritto del lavoro e collabora con il Corriere della Sera. Twitter: @PietroIchino