di Danilo Di Matteo
Il 2 marzo Michail Gorbaciov compie novantuno anni.
Ricordo come fosse ieri la lucidità di Giuliano Ferrara nel mettere in guardia la sinistra rispetto ai facili entusiasmi suscitati dall’uomo che incarnava la perestrojka (vocabolo difficile da tradurre: possiamo accostarlo alle espressioni “grande riforma”, trasformazione profonda, rinnovamento radicale) e la glasnost (la “trasparenza”). Non era facile non farsi coinvolgere emotivamente: finalmente, dopo che per decenni avevamo convissuto con l’immagine, materiale e simbolica, di un regime – quello sovietico – sclerotico, ingessato, degenerato, in declino, finalmente le nostre più intime aspirazioni sembravano prendere corpo.
I sogni, è un fatto condiviso, sono importanti; ma, nella vita come in politica, guai a confonderli con la realtà, con i fatti. Cresciuti con il miraggio della terza via berlingueriana o dell’eurocomunismo, incoraggiati dai tentativi innovatori di personalità come Vadim Zagladin, l’ideologo del Cremlino che parlava un buon italiano e che provava a contrastare l’“ortodossia” marxista-leninista, eravamo felicemente increduli ed estasiati dinanzi a un percorso che voleva coniugare libertà e socialismo, rispetto dei diritti umani e difesa dello “spirito” della rivoluzione d’ottobre. La storia, tuttavia, procede spesso attraverso cesure, eventi traumatici, “strappi”. Il conflitto (Polemos) è padre di tutte le cose, ecco il monito del grande Eraclito, duemilacinquecento anni fa. Noi in genere desideriamo l’armonia, la gradualità, la ragionevolezza; eppure il più delle volte i fatti prendono un’altra piega e procedono diversamente.
Un esempio. È noto come l’Impero russo per più di un secolo fosse attraversato da due tendenze di fondo, assai variegate e riccamente articolate al loro interno: quella slavofila (la tradizione religiosa ortodossa, l’originalità e le peculiarità della propria cultura e così via) e quella occidentalista, volta alla modernizzazione e a un progressivo avvicinamento alle altre realtà europee. Ecco, cosa ci sarebbe di più bello, oggi, di una Russia (e di una Turchia) ponte tra Oriente e Occidente, tra i mondi della Cina e dell’India, ad esempio, e l’area atlantica? Eppure tutto ciò, ammesso che avvenga, si svolge passando per lutti, incomprensioni, rotture diplomatiche o addirittura militari. (Il ruolo del Regno Unito di ponte fra Europa continentale e Nordamerica, del resto, ha a sua volta appena conosciuto la “Brexit”).
Talora gli osservatori internazionali notano come Gorbaciov, tanto ammirato altrove, non godesse di una gran fama in patria. Milioni di persone, anzi, ancora scorgono in lui il principale responsabile della perdita del rango di superpotenza.
E tuttavia l’ideale di un socialismo democratico e liberale continua a rappresentare un faro – non il solo, naturalmente – per lo stesso Occidente. Buon compleanno, Gorbaciov.
Psichiatra e psicoterapeuta con la passione per la politica e la filosofia. Si iscrisse alla Fgci pensando che il Pci fosse già socialdemocratico, rimanendo poi sempre eretico e allineato. Collabora con diversi periodici. Ha scritto “L’esilio della parola”. Il tema del silenzio nel pensiero di André Neher (Mimesis 2020), Psicosi, libertà e pensiero (Manni 2021), Quale faro per la sinistra? La sinistra italiana tra XX e XXI secolo (Guida 2022) e la silloge poetica Nescio. Non so (Helicon 2024) È uno degli autori di Poesia e Filosofia. I domini contesi (a cura di Stefano Iori e Rosa Pierno, Gilgamesh 2021) e di Per un nuovo universalismo. L’apporto della religiosità alla cultura laica (a cura di Andrea Billau, Castelvecchi 2023).