Gli elettori di centrosinistra di Roma e Napoli hanno deciso di guardare avanti, scegliendo come candidati sindaco rispettivamente Roberto Giachetti e Valeria Valente.
Dopo il successo delle primarie di Milano era prevedibile che né a Roma né a Napoli l’affluenza ai gazebo sarebbe stata altrettanto incoraggiante, ma ciononostante il risultato segna una volontà chiara da parte degli elettori del Pd di voltare pagina anche nelle città, così come avvenuto con la scelta di Matteo Renzi per la leadership nazionale nel 2013.
Basterà questo risultato per mettere il Partito democratico in condizioni di riconquistare Roma e Napoli con una credibile proposta di governo delle città? Riuscirà il centrosinistra a connettere le due metropoli – “malate” di isolamento e conservazione – con il ciclo riformista che il governo Renzi ha avviato nel Paese? Molto difficile, ma se questa domenica di primarie doveva rappresentare un primo passo verso il riscatto locale del centrosinistra, si è trattato senza dubbio di un primo passo nella giusta direzione.
Ma andiamo per punti.
1) A Roma, con un’affluenza dimezzata rispetto alle primarie del 2013, Roberto Giachetti ha stravinto, staccando di quasi quaranta punti percentuali il principale avversario Roberto Morassut. Un risultato sopra le attese, soprattutto perché alla vigilia si pensava che una bassa affluenza avrebbe accresciuto le chance di Morassut. Dopo le implicazioni di “mafia capitale” e la gestione del “caso Marino”, decine di migliaia di elettori hanno deciso di dare ancora credito al centrosinistra e si tratta di un fatto per niente scontato. Il vincitore Giachetti è il primo a sapere che non basterà quest’affermazione per convincere la maggioranza dei romani ad affidarsi nuovamente a un sindaco del Pd: per farlo occorrerà ulteriore coraggio e ambizione, oltre a un cambio di paradigma per il centrosinistra romano, obbligato a passare da una logica di mantenimento degli equilibri tra piccoli poteri e piccole rendite cittadine a una logica opposta, di rottura, mirata all’obiettivo di avvicinare Roma agli standard delle altre metropoli occidentali, rendendola – unico modo per uscire dalla crisi economica e culturale in cui versa la città – attrattiva per talenti e capitali nazionali ed internazionali.
2) A Napoli il Partito democratico – escluso dal ballottaggio nelle elezioni del 2011 – si è mosso tardi. Pur avendo molto tempo per costruire una credibile alternativa di governo del Comune, si è dovuto attendere la mossa del “vecchio leone” Antonio Bassolino perché il Pd locale individuasse in Valeria Valente il nome da proporre ai napoletani per il futuro della città. E i napoletani hanno risposto con un’apertura di credito verso il nuovo. Starà adesso alla Valente dimostrarsi all’altezza di questa – prudente – fiducia, elaborando una proposta in grado di affermare una nuova classe dirigente napoletana, in grado di far tornare la città a svolgere il ruolo nazionale che le spetta.
3) Le primarie ormai sono un dato acquisito. Per chi come noi concentra l’attenzione sulla virtuosità delle regole e non degli individui, non c’è che da dire che le primarie sono uno strumento consolidato, almeno nella parte di elettorato italiano che guarda al centrosinistra e anche in circostanze (come quelle contingenti di Roma e Napoli) in cui tutto avrebbe fatto propendere per un collasso nel rapporto tra Pd ed elettori. Il calo nell’affluenza ai gazebo va, sì, registrato, ma è innegabile che un partito costretto a rincorrere i concorrenti politici in entrambe le metropoli ha trovato nelle primarie un buon punto di partenza per recuperare terreno e credibilità agli occhi dei cittadini. Quanto ci metteranno gli altri partiti ad accettare la sfida di primarie aperte?
4) Come per le regionali del 2015, Matteo Renzi ha scelto di non impegnarsi direttamente in questa tornata di primarie, pur essendo chiaro sia a Roma che a Napoli quali fossero i candidati “ufficiali” indicati dalla leadership nazionale del Pd. Se è ovvio che referendum costituzionale e ruolo dell’Italia in Europa e nel Mediterraneo sono le partite su cui il premier ha deciso di giocare il suo peso e consenso politico, è altrettanto ovvio che non potranno ridursi le elezioni comunali di Roma, Milano, Napoli e Torino a mere contese locali. È dalla dimensione cittadina che il progetto del Pd ha tratto linfa vitale e la leadership stessa di Matteo Renzi ha avuto in origine la propria legittimazione. Sarà inevitabile per i vertici nazionali del Pd dare il proprio pieno appoggio in termini organizzativi e di elaborazione politica a Roma e Napoli come a Milano e Torino, al fine di far radicare anche nelle metropoli il processo di rinnovamento che il partito sta vivendo e – al contempo – imprimendo al Paese.
Direttore di Libertàeguale. Lavora per un importante gruppo bancario italiano, ha collaborato a progetti del gruppo Reti nell’ambito della comunicazione e delle relazioni istituzionali ed è stato vicepresidente nazionale della Fuci. Twitter: @marcomartorelli