di Antonio Preiti
“Io canto l’individuo, la singola persona,
Al tempo stesso canto la Democrazia, la massa
Canto la vita immensa in passione, pulsazioni e forza,
Lieto, per le più libere azioni che sotto leggi divine si attuano,
Canto l’Uomo Moderno.”Walt Whitman
Il Parlamento è superato? La democrazia rappresentativa inutile o inefficace? I politici sono da abolire? Queste domande sono inquietanti, almeno in prima battuta, perché conosciamo una sola e semplice risposta: quando non c’è il parlamento c’è solo la dittatura, la teocrazia o comunque un regime liberticida. Almeno finora è stato così. La storia è capace di grandissime fantasie, ma quella che, abolendo la democrazia rappresentativa, si accresca il potere dei cittadini, non l’abbiamo mai vista.
Il superamento della democrazia rappresentativa
Nel pensiero di Casaleggio e di Grillo in realtà si parla di “superamento” e non di abolizione. Perciò si capisce che c’è qualcos’altro; conviene perciò seguire le loro tracce per capire dove si arriva e, soprattutto, quale idea della democrazia hanno in mente i sostenitori del suo “superamento”. Ogni prodotto umano, e le costituzioni lo sono, è per sua natura perfettibile e superabile, naturalmente tutto è anche peggiorabile. Se fossimo al poker, andremmo comunque a vedere le carte.
Casaleggio cita l’avvento della rete, con la sua possibilità di connettere le persone e rendere pari il potere di ognuno, come alternativa alla democrazia rappresentativa. Seguiamo la traccia. La rete dunque servirebbe a determinare la formazione delle volontà popolari. Prima questione: la rete è binaria sin dal suo Dna, perciò permette facilmente risposte del tipo sì/no, e persino può arrivare alla scelta su opzioni molteplici, ma oltre a questo è difficile che arrivi, o meglio impossibile. La politica è riducibile a un sì o no, o una risposta su opzioni molteplici? Difficile sostenerlo.
La logica binaria della rete
I partiti sono nati e vivono, ancor di più i movimenti, per sostenere una certa concezione del mondo, una ideologia (si diceva un tempo), una prospettiva specifica (diremmo oggi). Oggi, ad esempio, si parla di “moral tribes”, per definire quei movimenti fra cui ci sarebbe da includere certamente il Movimento cinque stelle che agiscono su una spinta morale (quanto sia conseguente e coerente è poi un’altra questione che qui non affrontiamo). Appunto cosa c’entra la “spinta morale” con il digitalismo binario della rete?
Però andiamo avanti: seguiamo le altre tracce. Grillo cita Brett Hennig, il teorico della fine dei politici (“The end of politicians“, è il titolo del suo libro-manifesto), in cui spiega (beh, afferma più che spiegare) che nel futuro non ci sarà bisogno di persone che si dedichino per un certo tempo esclusivamente (o quasi) alla politica, perché potrà farlo qualunque cittadino all’interno della sua professione, qualunque essa sia. A parte che questo cancella secoli di storia in cui il “politico” è sempre nato da una consapevolezza profonda, da una vocazione irrinunciabile e da una volontà ferrea di cambiare le cose, ma un politico senza intenzione è psicologicamente concepibile? Un politico “a sua insaputa” è davvero possibile?
Come funziona la democrazia deliberativa
In realtà, casi di democrazia deliberativa (questo il nome della materia a cui Grillo forse si riferisce) si sono già realizzati, in California e altrove (chi fosse interessato veda, “When the people speak“, di James Fishkin). La conclusione brutale è che sì, la democrazia deliberativa funziona quando il quesito è molto puntuale, circoscritto e facile da intendere (del tipo: preferite spendere per 10 asili nido o per 10 autobus?), ma non appena il quesito è più complesso il gioco salta.
Ad esempio, è stato chiesto a un campione di cittadini estratti a sorte, come vorrebbe Grillo, di decidere quale progetto sui trasporti pubblici di San Francisco fosse preferibile, ma la mole di carte inviata a ciascuno, la competenza indispensabile a valutare e il tempo necessario per occuparsi della cosa ha reso impossibile avere un loro giudizio.
Insomma, la democrazia deliberativa funziona, ad esempio in Svizzera, perché riguarda quesiti minimi, puntuali e auto-esplicantesi; sul resto è difficile, se non impossibile. E quand’anche fossimo in grado, con “ferie” e altre agevolazioni, di mettere in grado “i cittadini” di decidere sul quesito dei trasporti, come faremmo quando i quesiti saranno d’ordine più generale, tipo la politica esterna, la strategia educativa o il codice penale?
In cerca di neutralità
Tuttavia ostinatamente seguiamo ancora le tracce, immaginiamo un mondo ideale che permetta a chiunque di avere un “congedo per la democrazia”, che il caso scelga proprio le persone che vogliano occuparsene e che abbiano un livello di istruzione sufficiente e soffermiamoci sullo strumento, cioè sulla rete.
Naturalmente dovrebbe essere pubblica, dovrebbe essere neutra, dovrebbe essere inaccessibile a chi volesse sapere i comportamenti e le opinioni dei “cittadini”. Una rete neutra non dovrebbe avere influencer. Una rete neutra non dovrebbe privilegiare una qualunque scala di valori. E allora cos’è? Non è certo Rousseau! La verità è che più cerchiamo la neutralità, più capiamo che nessuno vuole vivere di neutralità, più affermiamo la lontananza (rispetto alle idee, ai valori, alle concezioni del mondo) più cerchiamo la vicinanza, più descriviamo i “cittadini” come astratti, più ci sentiamo attratti dalla nostra comunità valoriale, qualunque essa sia.
Rappresentare le corporazioni
Aggiunge Grillo, dovremmo avere una rappresentanza in base al tipo di lavoro; ma, siamo sicuri che una persona, un “cittadino” coincida con il suo ruolo economico e la sua professione? Un dentista, un artigiano, un professore siano accomunabili per la loro appartenenza sociale? Strana idea, perché significherebbe che tutti gli avvocati, o tutti gli artigiani, dovrebbero pensarla allo stesso modo, solo perché condividono una professione. È vero che è così? Ne dubito fortemente.
E poi una cosa del genere l’abbiamo già avuta, nel fascismo, quando esisteva la Camera delle corporazioni, appunto basata sull’appartenenza professionale. Altro che pensiero fluido e iperconnesso, questa è una roba piuttosto medioevale (quando esistevano le ghilde dei mestieri, antenate delle nostre corporazioni).
Che cos’è la democrazia?
La verità è che la democrazia che emerge da queste idee non è l’auto-governo del popolo, che per esistere deve necessariamente trovare forme di delega, ovviamente revocabile, (forse proprio questo si può dire, che l’essenza della democrazia è la revocabilità della delega) ma un mondo impersonale, senza carne e sangue, incognito (e non sarà un caso che tutte le raffigurazioni della “democrazia digitale” rappresentino persone senza volto, senza tratti caratteristici), insomma il festival dell’anonimità.
Com’è invece la democrazia nella concezione moderna, quella che ha trovato negli Stati Uniti i padri e gli esecutori più coerenti? La democrazia parte dall’idea, corroborata da una infinità di prove, che tutti siamo diversi, che ognuno ha la sue idee, insomma che ognuno ragiona con la propria testa. La democrazia parte dall’idea che ognuno vorrebbe inverare il suo mondo, perché è convinto che sia quello giusto. Parte dall’idea che ogni persona è una individualità irripetibile e che questa è la ricchezza non solo della persona, ma del mondo intero, perché si mischia e si confronta con le altre. Questa è la democrazia.
L’anti-intellettualismo del pensiero democratico americano, che lo distingue dalla versione europea, nasce dall’affermazione che il bene, la passione, l’umanità non derivano (solo) dalla cultura, cioè dai colti (o dagli aristocratici) ma da chiunque. Chiunque ha dentro di sé la potenzialità di dare un contributo al mondo, non solo i colti. L’umanità e la passione hanno una grammatica interiore, non (solo) esteriore e letteraria. Questa è l’essenza della democrazia dei nostri tempi e che la rete, teoricamente, potrebbe persino rinvigorire.
Se è questa la politica, cioè la partecipazione con le proprie idee, l’assegnazione di leadership che possano avverarle, concezioni del mondo che si confrontano e si scontrano, allora quella visione del “cittadino” neutrale che va sulla rete, rimane velleitaria e anche triste.
Gli algoritmi sono l’opposto della libertà
Allora non c’è da cambiare nulla? Allora tutto bene? Nient’affatto. La democrazia deliberativa si può assolutamente utilizzare nei Comuni e anche nelle Regioni, per far decidere ai cittadini cose specifiche, per farli partecipare meglio e di più alla vita collettiva. Il Parlamento può essere esaltato proprio nelle sue funzioni rappresentative, mortificate e aggredite dalle liste boccate, dalle candidature multiple e dall’eccesso di decretazione d’urgenza. Quando il mio deputato è uno eletto per caso nel mio collegio la funzione rappresentativa del Parlamento è ridotta.
La cosa da avverare è piuttosto una democrazia che esalti la ricchezza della società, che esalti la libertà delle persone. Perché la libertà, a cominciare da quella personale, è più grande della democrazia. Un sistema binario, neutrale, plasmabile dagli algoritmi è l’opposto della libertà, perché costringe le persone entro perimetri codificati da qualcun altro. La libertà è anzitutto libertà di affermare sé stessi e la propria concezione del mondo. “Canto la vita immensa”, scriveva Whitman, non la povera neutralità della cittadinanza.
Economista, docente all’Università di Firenze. È cresciuto al Censis, ha insegnato alla Luiss Management, Università di Bolzano, ha diretto l’Agenzia del turismo di Firenze, ha lavorato per Banca Imi e altre imprese. Ha ricoperto la carica di Consigliere d’Amministrazione di Enit e Vice Presidente di ETC (European Travel Commission). Collaboratore del Corriere della Sera. Svolge professionalmente studi e ricerche per Sociometrica, di cui è Direttore. Twitter @apreiti web www.antoniopreiti.it