di Carlo Fusaro
Non entro nel merito della vicenda Bibbiano e delle relative indegne speculazioni politiche della destra estrema. Chi legge sa come la penso.
Voglio attirare l’attenzione, invece, su un dettaglio che dettaglio non è e va al cuore del dramma dell'(in)giustizia italiana.
I giornali continuano acriticamente e pedissequamente da mesi a riportare il nome attribuito dall’accusa all’indagine: “Angeli e demoni”, laddove è sintetizzata icasticamente tutta l’impalcatura accusatoria (che però va sgretolandosi).
Ora avrete notato che da molti anni ormai, non c’è indagine importante, operazione di procuratori e polizie significativa che non parta dall’accurata ricerca di un nome in codice che sia comunicativamente efficace, alla maniera dell’irraggiungibile e mitico “Mani pulite”.
Fra procure e carabinieri-polizia (a volte congiuntamente, a volte per sola iniziativa degli uni o degli altri) dev’essersi sviluppata una specifica professionalità mirata allo scopo di rafforzare l’accusa (e le indagini: certo, certo, “a fin di bene”) con il massimo sostegno d’un’opinione pubblica e prima ancora di una stampa che altro non cercano che colpevoli da crocifiggere mediaticamente e sui social, in mancanza – al momento di meglio.
Se la nostra informazione fosse meno prostrata a pelle di leone davanti a qualsiasi accusa (per propria pochezza culturale e morale e per ovvie tentazioni di vellicare un pubblico fatto da troppi analfabeti funzionali, oltre che per i noti frequenti scambi: tu in barba al segreto istruttorio mi fai leggere e citare, io ti rendo famoso e ti sostengo), poco male: non stando così le cose, invece, nomi di inchieste (e credo che “Angeli e demoni” sia il top) possono fare danni molto grandi, come è successo nel caso di specie.
Allora avrei un umile suggerimento: perché CSM da una parte e Ministero dell’Interno dall’altro (la Signora Lamorgese sembra persona dabbene, non proclive ai proclami ad effetto) non elaborano congiuntamente una direttiva per VIETARE questo sconcio “marketing delle inchieste” di polizia giudiziaria? Si facciano le indagini, le si facciano con tutta la grinta e la determinazione che i codici consentono, ma basta con i nomi a effetto volti a influenzare pro accusa la pubblica opinione. Anche da qui può passare, dovrebbe passare, la strada del giusto processo e della parità fra le parti (art. 111 Cost.). O no?
Presidente del Comitato scientifico di Libertà Eguale. Già professore ordinario di Diritto elettorale e parlamentare nell’Università di Firenze e già direttore del Dipartimento di diritto pubblico. Ha insegnato nell’Università di Pisa ed è stato “visiting professor” presso le università di Brema, Hiroshima e University College London. Presidente di Intercultura ONLUS dal 2004 al 2007, trustee di AFS IP dal 2007 al 2013; presidente della corte costituzionale di San
Marino dal 2014 al 2016; deputato al Parlamento italiano per il Partito repubblicano (1983-1984).