di Stefano Ceccanti
1. La definizione
Partire dalla definizione riprendendo quella classica che dava Pietro Scoppola: i cattolici democratici sono coloro che prendono la lealtà alle istituzioni tipica del cattolicesimo democratico (lealtà che comprende non solo la Costituzione italiana, ma il suo incardinamento nelle democrazie occidentali, a cominciare dalle decisive scelte europeista e atlantista) e l’apertura alle istanze di uguaglianza del cattolicesimo sociale (che non si identificano in precise soluzioni di policies, di per sé contingenti, ma con l’obiettivo di tenere insieme meriti e bisogni, in una visione di interclassismo dinamico).
2. Ieri: minoranza talora egemone nel primo sistema dei partiti
Questa cultura politica è sempre stata minoritaria, anche se egemone in varie fasi storiche del primo sistema dei partiti. Si esprimeva in prevalenza nelle correnti progressiste della dc, che però erano a loro volta strutturalmente minoritarie in quel partito, che era tenuto insieme dal fatto che la sinistra italiana fosse a dominante comunista. Esperienze analoghe di cattolicesimo democratico si ritrovano anche in altri Paesi europei, ma si ritrovano per lo più dentro i partiti di centrosinistra denominati come socialisti.
Stiamo comunque parlando di una cultura politica, non di un generico impegno ecclesiale, sociale, che si rivolge ad altri per farsi mediare in politica.
E di una minoranza, sempre stata tale (emblematica è la risposta sulla collocazione che dava Vittorio Bachelet al figlio Giovanni: “stiamo dove sono quei pochi che sono simili a noi”), e quindi non c’è un’età dell’oro a cui tornare, che si è però sempre pensata ‘a vocazione maggioritaria’ cioè non limitata a singoli temi o tesa a proporre soggetti politici minoritarie.
3. Oggi: minoranza significativa nell’avvio del Pd
Si tratta di una minoranza che ha avuto un ruolo significativo e innegabile nel traghettare questa cultura politica nel nuovo Partito Democratico. Da allora per chi viene da quest’area politica, al di là della naturale libertà dei singoli, il disegno originario del Pd ha appresentato la naturale collocazione politica. Si è visto meglio in alcune fasi rispetto ad altre, ma penso che sul lungo termine questo giudizio debba essere confermato. Tanto più vedendo chi il Pd ha eletto e rieletto al Quirinale.
4. Domani: gli interrogativi esterni ed interni
Sono due gli interrogativi, i dubbi, le obiezioni che vengono posti ai cattolici democratici che ritengono tuttora naturale la collocazione nel Pd sulla base delle dinamiche del Pd, che spesso offuscano il disegno originario.
La prima è sulla tentazione della cosiddetta deriva radicale, di un’estremizzazione unilaterale sui diritti civili. Il problema esiste, ma va collocato in modo equilibrato. Il tema, della possibile deriva della sinistra verso un partito radicale di massa, non fu formulato da un cattolico democratico, ma da un cattolico intransigente come Del Noce che comprendeva ad esempio, come deriva radicale, la legge sul divorzio che voleva abrogare, quando invece a posteriori pressoché nessuno lo ritiene.
A differenza degli intransigenti i cattolici democratici hanno applicato criteri di discernimento e di mediazione, ad esempio contribuendo a una legge equilibrata sulle unioni civili. Si può quindi segnalare il problema e voler sfuggire alle unilateralità, ma tra queste ultime rientra anche l’approccio del cattolicesimo intransigente che non è il nostro.
La seconda è sul rischio del conservatorismo di sinistra, che rischia di ridurre il Pd al bacino tradizionale della sinistra di derivazione comunista: un conservatorismo che porta a riproporre in modo sostanzialmente inalterato delle ricette economico-sociali precedenti alla globalizzazione, con l’espansione incontrollata di spesa pubblica e livelli di tassazione, ritagliandosi un ruolo di opposizione quasi permanente come accaduto ad esempio al Labour Party di Corbyn prima dell’attuale leadership di Starmer. E’ richiesta qui un’opera di innovazione culturale, non facile, e che accomuna tutti i partiti di centrosinistra europei.
Sono due anche le principali sfide interne che i cattolici democratici che devono affrontare per riconfermare o rilanciare la vitalità della propria cultura politica.
La prima è quella di non cedere a forme di massimalismo politico, di rilancio della logica sbagliata dei principi non negoziabili rispetto ai grandi temi della pace e della guerra, continuando invece a seguire il chiaro magistero politico del Presidente.
La seconda è quella dell’innovazione istituzionale, dove non ci si può chiudere in un mero atteggiamento di immobilismo di fronte a proposte sbagliate, ma dove invece il tema ruffilliano del cittadino arbitro di Governi di legislatura in un sistema rinnovato di equilibri deve essere perseguito con coraggio e intelligenza.
Vicepresidente di Libertà Eguale e Professore di diritto costituzionale comparato all’Università La Sapienza di Roma. È stato Senatore (dal 2008 al 2013) e poi Deputato (dal 2018 al 2022) del Partito Democratico. Già presidente nazionale della Fuci, si è occupato di forme di governo e libertà religiosa. Tra i suoi ultimi libri: “La transizione è (quasi) finita. Come risolvere nel 2016 i problemi aperti 70 anni prima” (2016). È il curatore del volume di John Courtney Murray, “Noi crediamo in queste verità. Riflessioni sul ‘principio americano'” , Morcelliana 2021.