LibertàEguale

Ceccanti: “Aiutare gli ucraini con le armi è di sinistra? Certo che sì”

Intervista a Stefano Ceccanti a cura di Umberto De Giovannangeli*

 

Non porge l’altra guancia, Stefano Ceccanti, costituzionalista, combattivo deputato dem. E va all’attacco, rintuzzando le critiche rivolte a una sinistra che avrebbe perso, col suo interventismo bellicista, ragione di sé.

Sostiene Donatella Di Cesare: votando il “decreto Ucraina” e l’aumento delle spese militari, la sinistra ha negato se stessa, tradendo i suoi principi costitutivi, i suoi valori identitari. Lei si sente un “traditore”?
È dagli anni ‘20 che contro i riformisti viene usata la critica di ‘tradire’ principi. Visto come è andata da allora, dalle accuse di Stalin in poi, ce la potremmo anche stavolta appendere come una medaglia. Forse il problema è che con alcuni degli accusatori, che non sono favorevoli all’impostazione delle società aperte non condividiamo affatto i principi e un preciso giudizio storico: noi non siamo per niente dispiaciuti che l’Occidente abbia vinto pacificamente la Guerra Fredda. Anche stavolta peraltro siamo in buona compagnia. Il centrosinistra europeo ha come perno fondamentale le forze che si ritrovano intorno ai socialisti e democratici. Tutti questi, non solo il Pd italiano, ma anche la Spd di Scholz, i Socialisti portoghesi di Costa, quelli spagnoli di Sanchez, per citare solo i più vicini a noi, hanno condiviso la scelta di aiutare gli ucraini aggrediti e condividono da anni una crescita ragionata per le spese per la difesa europea, che non può essere scaricata sui contribuenti americani. Ovviamente forze responsabili di Governo lo fanno senza smarrire il senso della prudenza e della proporzionalità: per questo non abbiamo scelto la strada della no-fly zone che avrebbe portato a un’escalation incontrollata.

Per il movimento pacifista, la decisione del Governo italiano di fornire all’Ucraina armamenti “letali”, confligge con i dettami dell’articolo 11 della Costituzione. Da costituzionalista come replica?
L’ho spiegato per esteso nella mia introduzione al volume di Emmanuel Mounier “I cristiani e la pace” ripercorrendo la genesi dell’articolo 11 che è fatto per combattere gli aggressori in chiave multilaterale e non per assumere posizioni pilatesche e isolazioniste. Il ripudio della guerra fa tutt’uno con la creazione di un “ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni” e con la promozione di “organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”, quali sono anche Ue e Nato.

L’articolo è compatto: i due concetti, ripudio della guerra e scelta multilaterale, sono distinti solo da un punto e virgola, neanche separati da un punto fermo. Volutamente. E questo lo si capisce perché il nostro testo è il prodotto della Resistenza europea, resistenza che è stata corale e plurale e che ha compreso anche un necessario elemento militare.

Tra pochi giorni sarà il 25 aprile: si dovrebbe rileggere nelle scuole il poema di Louis Aragon “La Rosa e la reseda” dedicato a quattro resistenti, due cattolici e due comunisti, così diversi tra loro, “quello che credeva al cielo e quello che non ci credeva”, fucilati per aver voluto insieme liberare la Francia ,“la bella prigioniera dei soldati” anche con le armi. E si dovrebbe anche far rivedere il film Capitani d’Aprile sul 25 aprile 1974 in Portogallo, sull’inizio della Rivoluzione, fatta sì coi garofani offerti da una fioraia, Celeste Caeiro, ma anche da carri armati e fucili, per fortuna alla fine non impiegati attivamente. Ma all’inizio, quando Salgueiro Maia, uno dei capitani della Rivoluzione, chiede ai suoi soldati di dare il via all’abbattimento del regime fascista niente era scontato. Ciascuno si assumeva il rischio anche della propria vita contro un Regime autoritario cinquantennale.

Diversi analisti di geopolitica convergono nell’evidenziare l’emergere di un “conflitto d’interessi” tra Stati Uniti ed Europa. Alleati o vassalli di Washington?
Un conto è ritenere che gli interessi di Ue e Usa non siano sempre coincidenti, cosa vera e anche ovvia, e ritenere pertanto che il rapporto debba essere più equilibrato (cosa che peraltro si basa logicamente su un maggiore equilibrio nelle spese per la difesa in Europa e non sullo status quo) e un’altra la volontà di separare ideologicamente i due pezzi dell’Occidente democratico. Per De Gasperi e Spinelli l’Europa andava unita in una Comunità europea di Difesa (esercito e organi politici) per collaborare alla pari con gli Usa, di cui la nostra Liberazione, che ricordiamo il 25 aprile, è debitrice. Nel caso di specie l’Occidente è chiamato a lavorare insieme. Del resto Finlandia e Svezia segnalano l’indissolubilità del legame perché per la propria sicurezza propongono oggi di aggiungere a breve l’adesione alla Nato all’appartenenza che hanno già alla Ue.

Distinguere americani ’cattivi’ da europei ‘buoni’ significa non solo ignorare la storia europea di settant’anni fa, ma anche quella odierna. Basti pensare a quanto ha fatto l’amministrazione Usa per proteggere il pluralismo informativo in Polonia negli scorsi mesi. Chi ripropone quello schema sembra ancora fermo alle posizioni del Pci poco prima del 1976, quando aveva già accettato la Ue ma non ancora la Nato, ossia prima dell’intervista di Berlinguer a Pansa. Ma siamo parlando di una consapevolezza che dovrebbe essere scontata appunto da almeno cinquant’anni. Qualcuno ha persino rispolverato il discorso di Pertini contro la Nato nel 1949, ignorando tutta l’evoluzione in senso opposto degli anni successivi. Da Presidenti della Repubblica Pertini e Napolitano hanno avuto modo di tornare più volte sulla riscoperta del legame necessario con gli Stati Uniti, chiarendo come e perché i loro partiti in origine non avessero capito quella scelta, ma come e perché essa sia stata necessaria e fondamentale.

Tralascio qui di parlare del Presidente Mattarella perché viene da una tradizione, quella del cattolicesimo democratico, che quasi unanimemente quella scelta l’ha voluta sin dall’inizio. E ricordiamoci anche nella sinistra europea: Felipe Gonzalez promosse un referendum nel 1986 sulla permanenza della Spagna nella Nato per vincolare le forze armate ad un’apertura sovranazionale impedendo dei colpi di coda franchisti come quello del 1981.

Per Papa Francesco non esistono “guerre giuste”. È una “eresia”? O, per dirla diversamente, è la sepoltura dell’ “ingerenza umanitaria” invocata da Giovanni Paolo II ai tempi della guerra nell’ex Jugoslavia?
Quando la Chiesa cattolica enuncia un cambiamento dottrinale lo fa con forme e procedure solenni, non in atti del magistero ordinario. Basti pensare alla pena di morte, con il cambiamento del 2018 che l’ha definita sempre inammissibile, spiegato con una lettera del cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede approvata personalmente dal Papa. Così non è accaduto sulla legittima difesa.

Mi sembra che il senso degli interventi del Papa vada letto sulla base di quattro preoccupazioni convergenti: utilizzare in modo più rigoroso i criteri che legittimano la difesa visto il carattere più distruttivo dei conflitti attuali; preservare un possibile ruolo diplomatico della Santa Sede; mantenere un quadro di collaborazione ecumenica; non mettere in difficoltà i cattolici presenti in Russia.

Tutte preoccupazioni ben comprensibili, per le quali non possiamo chiedere al Papa di fare il cappellano della Ue o della Nato. Nel contempo, però, i cattolici impegnati in politica non sono un terminale del Papa. Non è abrogato il paragrafo 43 della Costituzione conciliare “Gaudium et Spes” che responsabilizza i fedeli laici a farsi carico delle scelte. Segnalo qui in particolare che sulla scelta di ritenere legittima la difesa degli ucraini e su quella conseguente di aiutarli anche con le armi nell’Unione europea si è registrata una sostanziale unanimità dei cattolici impegnati in politica sia nei partiti socialisti e democratici di centrosinistra sia in quelli di centrodestra del Ppe sia in quelli liberali. L’unico caso di dissenso rispetto alla propria area politica di una laica cattolica notoria è stato quello della vicepresidente del governo spagnolo Yolanda Diaz, comunista, legata a Podemos, che si è espressa a favore dell’aiuto agli ucraini.

Si dice che niente sarà più come prima dell’invasione dell’Ucraina. Dal punto di vista europeo, come andrebbe declinata questa asserzione?
Con il pronto avvio di una cooperazione rafforzata sulla difesa. Il 27 maggio saranno settanta anni dalla firma del Trattato sulla Ced, che poi cadde in Francia nell’agosto 1954, con grande dispiacere di De Gasperi proprio nei suoi ultimi giorni di vita.

Biden definisce Putin “un macellaio”, ispiratore del “genocidio” in Ucraina. Ma con un genocida si può negoziare una pace giusta?
Sull’uso della categoria genocidio, sulla sua fondatezza e opportunità, è aperto un dibattito. Tuttavia è indubbio che ci siano prove evidenti di specifici crimini di guerra che non potranno restare impuniti anche perché ciò che non viene punito rischia di ripetersi. Questa volontà non è in contraddizione con la possibilità di siglare un cessate il fuoco, unico obiettivo credibile nel breve e medio periodo.

Orban rivince in Ungheria. Vucic in Serbia. Marine Le Pen al ballottaggio del 24 aprile per la conquista dell’Eliseo. Il sovranismo morde ancora…
Eviterei bilanci troppo negativi. Ventisei Governi su ventisette della Ue hanno in sostanza il medesimo giudizio. Orban resta un’eccezione, Le Pen va incontro a un’ulteriore sconfitta sia pure più risicata grazie all’effetto parzialmente legittimante dovuto alla candidatura del più estremista Zemmour e la Serbia è solo un paese candidato. Ciò detto il sovranismo si argina accelerando chiaramente in direzione opposta, a cominciare dall’Europa della difesa e della politica estera.

 

*Pubblicata su Il Riformista, 21 aprile 2022

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