L’avanzata della candidatura di Sergio Mattarella per succedere a se stesso al Quirinale non è stato un “moto spontaneo” del Parlamento, ma una precisa operazione politica. Stefano Ceccanti, costituzionalista, deputato Pd e vicepresidente di Libertà Eguale ne parla in quest’intervista (a cura di Bruno Desidera) rilasciata a La Vita del Popolo. Che qui ripubblichiamo.
Per molti è stato il vero “kingmaker” del Mattarella bis. Stefano Ceccanti, in gioventù presidente della Fuci, pisano, docente di Diritto costituzionale alla Sapienza di Roma e deputato del Pd, è stato tra quelli che hanno sempre creduto nella rielezione del presidente uscente. Un gruppo “trasversale” di grandi elettori di Pd, M5S, Leu e centristi (come Bruno Tabacci), che ha curato la “regia” di quell’onda partita “dal basso”, votazione dopo votazione, soprattutto a partire dalla quarta, quando i voti sono saliti a 125; significativa anche la quinta (senza la partecipazione degli elettori di centrosinistra), con 46 consensi tutti provenienti dal centrodestra e dal gruppo misto. E poi, lo “sfondamento” nel sesto scrutinio, con 336 voti, e nel settimo (387). Un movimento inarrestabile, che, secondo molti osservatori, è stato decisivo.
On. Ceccanti, lei è considerato tra i principali artefici dell’operazione “dal basso” per il Mattarella bis. E’ stata davvero una vittoria del Parlamento? E quindi della politica, e non, invece, una sconfitta, come molti affermano?
Il punto è che si è votato per la prima volta per il Presidente della Repubblica mentre è in carica un Governo del Presidente. Quindi, dalla scelta del Presidente dipendevano di fatto anche le sorti del Governo. Per stabilire vittorie o sconfitte bisogna anche valutare uno scenario alternativo: cosa avremmo detto se eleggendo un Presidente fosse caduto il Governo e si fosse andati a elezioni? Sarebbe stata una sconfitta per tutti coloro che un anno fa hanno dato vita a un governo di unità nazionale scommettendo su di esso. Questa scelta era quella più stabilizzante.
In particolare, molti dicono che l’adesione dei “peones” non è avvenuta per stima verso Mattarella, ma più semplicemente per arrivare a maturare la pensione. Non c’è del vero?
In tutte le scelte, nessuna esclusa, confluiscono motivazioni nobili e meno nobili. Anche nell’idea di eleggere qualcuno che rompesse la maggioranza per andare al voto c’era il legittimo interesse di parte dei gruppi di opposizione di sfasciare tutto per prendere più voti. Il criterio di giudizio non possono essere le motivazioni soggettive di chi vota, ma l’effetto sul sistema. Se siamo convinti che questo Governo sta facendo bene in una situazione difficilissima, non dovremmo essere contenti di una scelta che stabilizza?
E’ stato uno dei pochi a insistere su Mattarella fin dal primo minuto, quando tutti escludevano questa possibilità, soprattutto per le ripetute prese di posizione del presidente. A un certo punto sembravate i giapponesi che non si rassegnano che la guerra è finita. Come mai questa determinazione, contro quasi tutti, anche nel suo partito?
Perché chi ragionava così non ha presente la cultura politica del Presidente della Repubblica, quella del cattolicesimo democratico. Il Presidente non aveva mai dichiarato un’indisponibilità assoluta, aveva solo fatto che capire che riteneva la rielezione inopportuna. Per una persona come Mattarella, però, parole come responsabilità, spirito di servizio, che ha ripreso nella sua dichiarazione di disponibilità, non sono vuota retorica sono fondamenti dell’agire. Non a caso una raffinata personalità che conosce bene le culture politiche di ispirazione cristiana, Marisa Rodano, dall’alto dei suoi 101 anni, qualche giorno prima in un’intervista invitava a non peccare di iper-realismo, rinunciando a priori a chiedere la rielezione di Mattarella. Ovviamente, non si trattava di chiedere una disponibilità preventiva, di chiedere un permesso, ma di creare un fatto politico, la crescita dei voti nei vari scrutini, per sollecitare autonomamente dal Parlamento quella disponibilità.
Quali sono stati i passaggi decisivi, quando ha capito che si stava “scivolando” verso il bis?
Senz’altro la quinta votazione, quando votavano solo gli elettori del centro-destra e del misto, quello della forzatura sulla candidatura di parte della Casellati. Lì sono arrivati 46 voti a Mattarella, di cui era evidente che almeno 35 fossero di elettori del centro-destra. A quel punto era chiaro che la candidatura decollava, perché sfondava anche in quello schieramento. Ovviamente, non è che non lo prevedessimo prima, perché vari esponenti del centro-destra ci avevano preavvisato. Su di loro aveva anche pesato il clima unitario che si era realizzato con forza la settimana precedente in occasione dei funerali di David Sassoli. E’ stato un suo piccolo regalo.
Perché, a suo avviso, non sono passate le altre candidature avanzate, soprattutto Draghi e Casini?
Su Draghi non si capiva chi potesse continuare con analoga forza l’azione di Governo. Ferma restando la stima per il presidente Casini, che è stato pronto a convergere sulla candidatura Mattarella, questo è un periodo non ordinario che richiede uno “standing” che a mio avviso solo Mattarella, Draghi o Amato possono assicurare.
Da costituzionalista, le obiezioni di Mattarella, portato a sconsigliare fortemente il bis, non erano serie e valide?
Tutte serissime, però era il bene possibile, perché lo sconquasso che sarebbe seguito a tutte le altre candidature realistiche, con la corsa a precipizio verso le elezioni, avrebbe configurato un male maggiore.
E adesso? E’ pensabile una ristrutturazione delle coalizioni e forse degli stessi partiti, nei quali a volte coesistono pulsioni populiste, uscite sconfitte da questa fase politica, e orientamenti più responsabili?
Questo è possibile, ma non automatico, dipende dalle capacità politiche che si eserciteranno. La politica ha delle regolarità ma non è deterministica. Dobbiamo impegnarci perché accada.
Serve una nuova legge elettorale? Di che tipo? E quante possibilità ci sono, visto il quadro, di portarla a termine?
Serve, ma cerchiamo di non entrare in guerre di religione soprattutto tra le forze di maggioranza, cerchiamo anzitutto un punto di equilibrio tra noi. Se si crea uno scontro non avremo una nuova legge elettorale e di nuovo potremmo non avere un Governo.
Quanto nel sì di Mattarella è riconoscibile il “timbro” del cattolicesimo democratico? Si può dire, che, anche pensando alla vicenda di Sassoli, questo orientamento culturale mostra la sua vitalità, anche se in modo magari non organico?
C’entra perfettamente. Come diceva Pietro Scoppola il cattolicesimo democratico, che non è legato indissolubilmente a un partito, i partiti sono strumenti contingenti, è la somma dell’apertura sociale dei cattolici sociali e della lealtà alle istituzioni di tutti dei cattolici liberali. Questa sintesi va sempre declinata in modo nuovo. E’ un’eredità preziosa che va sempre aggiornata.