LibertàEguale

Centrodestra, la minaccia del sovranismo economico

di Vittorio Ferla

 

La coalizione di centrodestra si prepara a vincere le elezioni del 25 settembre. Almeno così prevedono i sondaggi che assegnano già oggi al trio Meloni-Salvini-Berlusconi un trionfo indiscusso nei collegi uninominali. Con il rischio di ‘cappotto’ se l’operazione Terzo Polo, invece di pescare nell’elettorato di centrodestra, dovesse togliere voti al Pd e ai suoi alleati. Ovviamente, è sbagliato cantare vittoria prima di aver giocato la partita. Ma tutti si aspettano che Giorgia Meloni possa varcare la soglia del Quirinale già nell’ultima settimana di settembre per ricevere l’incarico di formare il nuovo governo. Numerosi osservatori, tuttavia, pronosticano che il prossimo governo di centrodestra sarà celere nell’insediamento ma altrettanto celere a precipitare nella crisi. Sotto le apparenze di concordia e unità totali, si nascondono una serie di nodi che la coalizione ha evitato di sciogliere durante la campagna elettorale e che potrebbero venire al pettine al momento dell’azione di governo.

Il primo nodo è la collocazione internazionale dell’Italia. Sulla guerra in Ucraina, i tre partiti principali della coalizione hanno assunto posizioni molto diverse. Pur votando a favore delle scelte del governo Draghi, la Lega ha sempre manifestato, per bocca del suo leader, una forte contrarietà all’invio di armi al governo di Kiev. La cosa non stupisce se si pensa che la Lega – come il M5s – ha costruito negli anni passati stretti legami, anche economici, con il partito Russia Unita di Vladimir Putin. Poco prima della caduta del governo Draghi, Salvini aveva annunciato improvvidamente un suo viaggio diplomatico a Mosca. Peccato che il governo non ne fosse informato. Inoltre, la missione sarebbe stata coperta proprio con i soldi del Cremlino. Insomma, un gran bel pasticcio che, per fortuna, non ebbe seguito. Allo stesso modo, tutti ricordano le dichiarazioni di Silvio Berlusconi, da sempre amico del despota russo, contrarie agli aiuti militari da parte dell’Italia. Nonché il suo invito pressante all’Ucraina di raccogliere e accettare le richieste della Russia. Poco conta che il fido Antonio Tajani continui a sgolarsi in tutte le sedi per rimarcare l’atlantismo e l’europeismo di Forza Italia. C’è poi da valutare seriamente la consonanza ideologica manifestata più volte da Giorgia Meloni nei confronti di Viktor Orbán, il primo ministro dell’Ungheria. Da più di dieci anni è lui la spina nel fianco dell’Unione europea, avendo creato nel suo paese le condizioni di una vera e propria democrazia illiberale dove le norme dello stato di diritto sono sistematicamente violate. Motivo per cui l’Ue minaccia da tempo di chiudere il rubinetto dei fondi comunitari. Il leader magiaro, infatti, si comporta nella famiglia europea come un vero e proprio free rider: prende i soldi dell’Ue ma adotta politiche regressive contrarie ai valori fondamentali europei. La sua ostilità nei confronti dei diritti dei cittadini Lgbt nel nome dei valori tradizionali cristiani e la sua chiusura totale all’accoglienza degli immigrati giustificata dal rischio della contaminazione razziale sono altrettanti punti di riferimento per la leader di Fratelli d’Italia. Ora, è vero che le posizioni dei partiti nella dimensione internazionale interessano poco la media degli elettori. Ma lo stesso non sarà per il Presidente della Repubblica e per le istituzioni di Bruxelles chiamate a vigilare sulla base dei propri poteri sull’azione del prossimo governo italiano.

Proprio ieri Silvio Berlusconi è tornato sull’argomento dell’adesione di Lega e Fratelli d’Italia alla famiglia del Partito Popolare Europeo, sulla base di una visione dell’Europa fondata sui valori giudaico-cristiani, sul modello liberale, sulla sussidiarietà. Tuttavia, questo impegno appare assai tardivo e fuori tempo massimo. Perché Berlusconi propone l’allargamento agli alleati solo oggi, visto che l’alleanza, pur con alterne vicende e con protagonisti diversi, comincia nel lontano 1994? Perché non tentare l’operazione quando Forza Italia era al massimo dei suoi consensi? Come pensa di riuscirci adesso che la parabola elettorale è discendente e la leadership del Cavaliere è nel pieno del suo crepuscolo?

L’altro nodo fondamentale è quello dell’economia. In un lampo di saggezza, Giorgia Meloni ha chiesto nei giorni scorsi ai suoi alleati di non eccedere con le promesse impossibili. Il che fa capire che ne aveva sentite di veramente grosse. Basti pensare alla riproposizione della Flat Tax che Salvini e Berlusconi vorrebbero estendere ai lavoratori dipendenti, ben oltre la categoria delle partite Iva con reddito fino a 65 mila euro annui. Il problema è, però, che una tassa piatta al 23% costerebbe almeno tra i 20 e i 30 miliardi ogni anno, mentre al 15% il costo salirebbe almeno a 50 miliardi. E alcuni economisti pensano che le cifre potrebbero superiori. Soprattutto sarebbe impossibile coprire questa misura con il solo recupero del sommerso. Il programma elettorale del partito di Matteo Salvini propone, tra l’altro, che tutti i lavoratori con 41 anni di contributi, indipendentemente dalla loro età anagrafica, possano raggiungere il diritto alla pensione anticipata di anzianità. Le stime dell’Inps più aggiornate spiegano che se questa forma di pensionamento anticipato – la cosiddetta “Quota 41” – fosse introdotta nel 2022, in nove anni avrebbe un costo superiore ai 65 miliardi di euro, pari a circa 7,3 miliardi l’anno. Anche in questo caso appare evidente che tali misure potrebbero essere realizzate solo tramite poderosi tagli del welfare o, più probabilmente, con ulteriori scostamenti di bilancio che renderebbero sempre più patologico lo stato dei conti pubblici italiani. Tutto ciò mentre l’Italia è impegnata a rispettare gli impegni con l’Europa che derivano dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Proprio sul punto va registrato l’intervento insistito di Giorgia Meloni nella direzione di una revisione delle priorità del Pnrr. Il che apre a rischi non indifferenti di sovranismo economico, piena realizzazione di quell’euroscetticismo che da sempre caratterizza la posizione di Fratelli d’Italia, contraria ad ogni forma di federalismo più stringente. Con la conseguenza che da una posizione ottusamente nazionalista possa derivare un danno agli interessi nazionali, con il rischio di perdere i soldi del Pnrr, un piano che discende dal Next Generation Eu. Non bisogna dimenticare, infatti, che il gruppo all’Europarlamento dei conservatori europei, di cui fa parte il partito della Meloni, si astenne sul fondo europeo di 750 miliardi di euro. Né si può dimenticare che Giorgia Meloni è promotrice e prima firmataria di un paio di disegni di legge costituzionali che prevedono la prevalenza del diritto interno su quello comunitario. In altri termini, l’idea di fondo è quella di un sovranismo costituzionale ed economico che, se realizzato, comporterebbe a breve l’uscita dal mercato unico e l’isolamento del nostro paese.

In definitiva, il guazzabuglio di proposte sgangherate del centrodestra fa ritenere che, per Salvini, Meloni e Berlusconi, forse sarà facile vincere le elezioni, ma non sarà altrettanto facile governare. In primo luogo, per le contraddizioni che emergeranno tra i programmi dei tre alleati. In secondo luogo, per le contraddizioni che potrebbero opporre l’Italia alle politiche dell’Unione europea. Le sirene di allarme al Quirinale e a Bruxelles sono già pronte a suonare.

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