di Dario Parrini
Che in Umbria evitare la sconfitta fosse un’impresa quasi impossibile lo sapevamo.
Ma bisognava, tanto più con un’affluenza stabile intorno al 65%, che l’alleanza Centrosinistra-M5S perlomeno salisse rispetto al 45% delle europee di maggio. Invece è scesa al 37%. Viceversa il Destracentro è salito dal 51 al 57%.
In confronto al voto di maggio, il distacco tra i due blocchi è salito da 6 a 20 punti.
Penso che c’entrino soprattutto mancanze di tipo locale: un’alleanza con il M5S che è parsa calata dall’alto, arrivata all’ultimo momento e senza solide basi programmatiche; un candidato presidente che si è impegnato molto ma che è sceso in campo tardi e senza legami profondi nella società (mi pare chiaro che nelle regioni dove non possiamo ripresentare l’uscente il candidato governatore deve essere scelto con molti mesi d’anticipo ed essere fortemente rappresentativo e radicato); la voglia di ampie fette di elettorato umbro di voltare pagina dopo gli scandali e le tempeste politiche dell’ultimo anno.
Il governo nazionale a mio avviso con questo risultato c’entra assai poco.
E comunque deve essere più coeso.
I partiti di maggioranza più concordi e determinati nel difendere e nello spiegare il buon lavoro che si sta portando avanti evitando incrementi di tasse e aumentando gli stipendi.
E il Pd?
A prescindere dall’Umbria, il Pd deve darsi velocemente una svolta e una scossa. E riprendere con forza un’iniziativa innovatrice, riformista e a vocazione maggioritaria.
Deve essere chiaro, in ogni occasione, che non inseguiamo nessuno, e che l’andatura la facciamo noi, parlando a tutti gli italiani.
Il gioco di rimessa è da bandire.
Se siamo capaci di dettare l’agenda sul piano dei temi, le discussioni sulle alleanze sono produttive. Diversamente, rischiano di non essere capite.

Sindaco di Vinci dal 2004 al 2013. Parlamentare Pd dal 2013, è stato Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato dal 2020 al 2022. Attualmente ne è Vicepresidente.