LibertàEguale

Che fine ha fatto la Conferenza sul futuro dell’Europa?

di Rosario Sapienza

 

Nel 2017, lo scrittore austriaco Robert Menasse vinse il prestigioso Deutscher Buchpreis con un romanzo dal titolo Die Haupstadt, la Capitale, nel quale ci descrive Bruxelles come il teatro sul quale va in scena la tragicommedia di una Unione europea vittima sì dei contrapposti egoismi nazionali degli Stati membri, ma anche del disincanto di una casta di funzionari disillusi e a volte cinici.

Senza voler togliere meriti al genio letterario dell’autore, l’evocazione del tema dell’ignavia ricompensata oltre i suoi meriti a proposito dei giri di Bruxelles (includendo i parlamentari europei) è un argomento tanto diffuso quanto risalente. Specie in tempi di populismo e di crisi economica.

Francamente non mi interessa particolarmente intervenire sul tema, sul quale pure ci sono stati riscontri episodici anche significativi. Qualche anno fa, fece giustamente scalpore, ad esempio, la notizia della nomina da parte della commissaria Edith Cresson del suo dentista come consulente sulla problematica della lotta all’AIDS, tema sul quale non aveva specifiche competenze, che costrinse l’intera Commissione, allora presieduta da Jacques Santer, a dimettersi.

Mi pare che episodi comparabili, e altrettanto deprecabili, possano raccontarsi a proposito di qualunque amministrazione, pubblica o privata, che non abbia adeguati meccanismi di controllo.

Mi preoccupa di più, invece, che questi episodi rafforzino la diffusa convinzione popolare (e non solo populista) che l’Unione europea sia un qualcosa di estraneo al comune sentire della gente, lontana e chiusa nella sua turris eburnea fatta di privilegi.

E non preoccupa solo me, per vero. A creare o a ricreare un canale di comunicazione tra i cittadini europei e le istituzioni doveva servire infatti quella Conferenza sul futuro dell’Europa che, proposta dal presidente francese Macron, era diventata un cavallo di battaglia anche della Commissione von der Leyen ed era stata calendarizzata per il primo semestre 2020, segnato dalla presidenza tedesca, con un orizzonte temporale che si proiettava fino al 2022, alla vigilia delle elezioni presidenziali francesi.

E invece, anche la Conferenza può essere annoverata, al momento tra le vittime della pandemia che attualmente infuria anche in Europa.

Comunque, stando alla Comunicazione della Commissione “Dare forma alla Conferenza sul futuro dell’Europa. Il contributo della Commissione europea” [COM (2020) 27 final] resa nota il 22 gennaio di quest’anno, le strategie di coinvolgimento dei cittadini europei non sembravano particolarmente efficaci.

Si andava da strumenti ormai consolidati, come i Dialoghi con i cittadini, a nuove proposte come la creazione di una piattaforma digitale plurilingue comune.

Quanto poi agli argomenti sui quali cercare questo coinvolgimento, secondo la Commissione occorreva soffermarsi su tematiche già da tempo presenti sull’agenda europea: la lotta ai cambiamenti climatici e ai problemi ambientali, un’economia al servizio delle persone, l’equità sociale e l’uguaglianza, la trasformazione digitale dell’Europa, la promozione dei valori europei, il rafforzamento della voce dell’Unione nel mondo e il consolidamento delle fondamenta democratiche dell’Unione. Brillava per la sua assenza il tema di una nuova politica delle migrazioni, giustamente ricordato dal Non paper italiano

Segnalava poi la Commissione alcune questioni istituzionali, particolarmente il sistema dei candidati capilista (Spitzenkandidaten) per l’elezione del presidente della Commissione europea e le liste transnazionali per le elezioni dei parlamentari europei. Cosa che però richiederebbe modifiche alle leggi elettorali per il Parlamento europeo, materie sulle quali la Commissione non ha competenza e, notoriamente, gli Stati membri e il Parlamento hanno visioni differenti.

Insomma, lo zelo per il futuro dell’Europa si scontrava e si scontra anche adesso con i problemi di sempre ereditati dal passato prossimo e remoto: quelli di una Unione sospesa tra un già, fatto di relazioni intergovernative e un non ancora, rappresentato da una sempre più stretta integrazione, federale o meno, comunque più stretta, auspicata e mai pienamente realizzata.

La storia, insomma, degli ultimi sessant’anni.

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