In Italia, i vincoli di capitale per le banche nell’erogazione del credito alle piccole e medie imprese (PMI) – ma anche alle imprese più grandi – sono largamente superiori a quelli nei Paesi core dell’Eurozona. Per rimuovere tale svantaggio competitivo, assume un ruolo strategico il varo di un piano sistematico di garanzie pubbliche. Ciò al fine di evitare che la carenza di finanziamenti esterni rallenti ulteriormente la ripresa in atto.
È utile ricostruire l’importanza cruciale della disponibilità di credito bancario alle imprese nell’attuale quadro congiunturale. Dobbiamo, infatti, ricordare che la crisi, se ha ridotto i consumi, ha abbattuto ancor più gli investimenti. Tra il 2006 e il 2014 il peso dell’economia italiana sull’UE a 18 paesi è calato dal 17,4 al 16,0% in termini di PIL e dal 17,4 al 15,6% sugli investimenti, mentre l’output gap si è ampliato di due punti percentuali. Ciò implica che, senza un nuovo ciclo di investimenti, l’economia italiana sarà durevolmente impoverita dall’esito della crisi.
Le previsioni per gli anni prossimi lasciano sperare in una qualche ripresa degli investimenti: ad esempio, il più recente World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale prevede per il 2016 in Italia +1,9% per gli investimenti contro +1,0% di PIL e consumi. Tuttavia, bisogna considerare che questa ripresa degli investimenti potrebbe essere ostacolata dalla penuria di finanziamenti esterni per le imprese. Infatti, la componente di gran lunga prevalente di tali finanziamenti è tradizionalmente assicurata in Italia dalle banche, per le quali però stavolta è difficile svolgere questo ruolo in ragione delle ampie sofferenze, lascito della crisi, e, ancor più, degli accresciuti requisiti di capitale imposti dalla normativa e dalle autorità di supervisione.
La possibilità che anche per le imprese italiane si apra una fase di sviluppo nel ricorso a strumenti di debito di mercato va caldeggiata. Ma le prospettive a breve-medio termine non consentono di trovare sul mercato compensazione sufficiente all’eventuale carenza di credito bancario. Ad esempio, il volume di emissioni complessive di minibond a partire dall’avvio nel 2013 e fino al 2015 è stato pari a 4,9 miliardi di euro, mentre, nel 2013, l’apporto di capitali in Italia è stato di 1,4 miliardi di euro per IPO e di 2 miliardi per investimenti di Private Equity, ben poco rispetto al peso dei debiti bancari sui debiti finanziari delle imprese, del 64,2% in Italia contro valori nettamente più bassi in Francia e Germania (rispettivamente 38,3 e 50,9%).
In realtà, l’assorbimento di capitale bancario sui prestiti alle imprese risulta da noi maggiore che nei Paesi core dell’Eurozona. Per il 2013, l’EBA ha stimato pesi di rischio di credito per PMI e mid-cap pari a 62,6% in Italia contro 49,6 e 52,0% rispettivamente in Francia e Germania. Rispetto ai due Paesi d’oltralpe, ciò implica un assorbimento di capitale di oltre il 10% più alto in Italia, contribuendo a una strisciante restrizione del credito.
Questo divario può spiegare il diverso andamento della restrizione creditizia tra Paesi euro core e periferici. I dati della Bank Lending Survey della BCE mostrano che per il complesso dei sei Paesi membri (Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna) per i quali tali dati, su base trimestrale, sono disponibili nel quarto trimestre del 2007 circa il 20% delle banche restringe il credito alle PMI. La percentuale sfiora il 70% delle banche nel primo trimestre 2009; poi cala fin verso il 10% nel quarto trimestre 2009 e nel primo 2010. Ma, proprio quando ci si aspettavano condizioni creditizie più distese arriva la crisi sovrana europea. Si verifica allora un fatto nuovo. Separando i Paesi core (Francia, Germania e Paesi Bassi) da quelli periferici (Italia, Portogallo e Spagna), emerge che la nuova restrizione creditizia alle PMI è interamente ascrivibile ai periferici. Infatti, mentre per i core si hanno addirittura valori negativi (cioè un rilassamento creditizio) nella prima metà del 2011, nel corso della crisi sovrana la percentuale di banche che stringono il credito torna sul 40-50% nei periferici. E, tra i periferici, la restrizione creditizia alle PMI è massima in Italia a inizio 2012, quando quasi due banche italiane su tre stringono in questo segmento. Successivamente, grazie ai provvedimenti straordinari di liquidità e al Quantitative Easing della BCE, le condizioni creditizie si sono fatte più distese ovunque, ma restano significativi divari tra Paesi core (condizioni più distese) e periferici (condizioni più restrittive).
Di fronte al rischio concreto che la ripresa degli investimenti sia strozzata dalla mancanza di credito bancario, è necessario un piano sistematico di garanzie pubbliche che, riducendo drasticamente la ponderazione per il rischio dei relativi prestiti, consenta alle banche di continuare a finanziare le imprese. Se, dunque, l’Italia è il Paese ove tale intervento appare maggiormente desiderabile, si osserva che inadeguata è la concessione di garanzie pubbliche, che sono il 18,2% del PIL in Germania, il 18,4% in Spagna e solo il 6,1% in Italia.
Vi potrebbero essere due obiezioni: sui costi per l’erario e sulla fattibilità per lo stato delle finanze pubbliche. Sul primo punto va notato che l’incidenza delle sofferenze su crediti supportati da garanzia pubblica è nulla in Italia, a fronte di valori comunque infimi anche in Germania e Spagna (rispettivamente 0,3% e 0,2%). Sullo stato delle finanze pubbliche italiane, in prospettiva, esso non sarebbe così problematico come spesso percepito. Ad esempio, stime della fondazione Stiftung Marktwirtschaft e del centro di ricerca sulle pensioni Forschungszentrum Generationenverträge (Università di Friburgo, Germania), mostrano che in Italia, pur essendo elevato il debito pubblico esplicito di riferimento per il Patto di Stabilità, il debito pubblico implicito che dipende soprattutto dalla spesa pubblica futura per l’invecchiamento della popolazione è negativo o cala. Ciò dipende dall’ipotesi realistica usata nella stima per l’Italia di un modesto incremento della spesa pubblica futura per pensioni e un sentiero di surplus del saldo primario di bilancio pubblico (al netto dei pagamenti per interessi).
Vi sarebbe, dunque, capienza fiscale per un piano di garanzie pubbliche sul credito alle imprese. Esso è oggi quanto mai necessario per sostenere e accelerare una ripresa economica ancora troppo anemica.