Parafrasando il classico «amicus Socrates, sed magis amica veritas» (Ammonio, rivolgendosi a Platone, v. Treccani): «inimica Meloni, sed magis amica veritas».
Sono esterrefatto e sconcertato dalle reazioni di accademici anche illustri, commentatori troppo astuti, giornalisti ignoranti e (più scusabili) politici avversari (e perfino concorrenti/amici: leggi Salvini) a una dichiarazione francamente inappuntabile di Giorgia Meloni.
La quale ha detto un paio di giorni fa, testualmente: «se vincesse il centro-destra e ci fosse l’affermazione di FdI, non ho ragione di credere che Mattarella possa assumere una scelta diversa rispetto alla mia indicazione» (per formare il nuovo governo).
Apriti cielo, spalancati terra: finta indignazione, accuse di voler forzare la mano al presidente, risibili rivendicazioni delle caratteristiche dei regimi parlamentari e perfino un quirinalista di valore (ma spessissimo orientato e orientante, Marzio Breda) che si azzarda a inventare un presunto “stupore” del Quirinale (cioè di Mattarella per la frase di Meloni).
Tanto da costringere il portavoce di Mattarella a precisare seccamente quanto opportunamente: «…sono del tutto privi di fondamento articoli che presumono di interpretare o addirittura di dar notizia di reazioni o ‘sentimenti’ del Quirinale su quanto espresso nel confronto elettorale».
Il quale confronto elettorale (e non solo quello) sembra in effetti obnubilare le menti più lucide, e – il che mi infastidisce più di ogni altra cosa – sembra alimentare un clamoroso gioco degli equivoci una gara a non (fingere di non) capirsi fra sordi. Allora preciso una volta di più:
1) il nostro è un regime parlamentare; il governo non può vivere senza la fiducia del Parlamento
2) il nostro è un folle regime bicamerale nel quale il governo non può vivere senza la fiducia di ciascuna di due Camere
3) il nostro è un regime parlamentare nel quale (diversamente da quasi tutti gli altri) il governo non solo non può restare in carica, ma non può nemmeno cominciare seriamente a governare (ancorché già nominato dal capo dello Stato) senza la fiducia preventiva di ciascuna delle due Camere
4) per prassi consolidata il presidente nomina (ovviamente) la personalità che i partiti gli propongono la quale si possa ragionevolmente pensare sia in grado di formare un governo che, nominato, avrà la fiducia di entrambe le camere;
5) è altrettanto ovvio che, specie ad inizio legislatura, la scelta presidenziale è condizionata dall’esito del voto dei cittadini (e di che se no?);
6) è pure ovvio (e la prassi concreta repubblicana lo conferma) che il margine di scelta del presidente è in funzione strettissima dell’emergere o no dalle urne di una maggioranza sufficientemente coesa e numericamente adeguata;
7) qualche esempio. 2018: casino totale e vari mesi di tentativi, consultazioni e negoziati per arrivare a formare il governo Conte I; 2001 e 2008: chiara vittoria del centrodestra e immediati incarichi (in un caso con consegna contestuale della composizione già pronta del nuovo governo) a Berlusconi; etc. etc.
8) quando, con sufficiente prudenza, Meloni dice: (A) se il centro-destra (io le chiamo le “tre destre”, ma tant’è) vincesse le elezioni (= conquistando la maggioranza dei seggi più o meno larga in entrambe le Camere) e (B) ci fosse l’affermazione di Fratelli d’Italia (= FdI con più voti delle altre forze di destra, magari addirittura combinate…), Mattarella non potrebbe che affidare a me l’incarico di fare il Governo, non dice nulla di strano o di scandaloso. Beninteso: se i suoi alleati restano leali agli accordi resi pubblici (governare insieme, proporre al PdR il nome del leader del partito alleato che prende più voti). Così non fosse le cose cambierebbero. Ma fintanto che le destre vincono, FdI piglia più voti di tutti (a destra), Salvini e Berlusconi stanno alla parola data (da quel che ci dicono, beninteso), effettivamente non si vede come Mattarella potrebbe fare diversamente: esattamente come accadrebbe in qualsiasi regime parlamentare nel quale il premier è indicato dal capo dello Stato (e non eletto in Parlamento come in Germania o Spagna).
Quindi si evitino finte indignazioni, accuse di forzatura e altre ciurlature nel manico. E su questo non mi pare ci sia spazio per diverse opinioni.
P.S. Siamo un paese curioso. Fino a qualche anno fa (e per taluni ancor oggi) la sera del voto bisognava sapere chi ci avrebbe governato e nulla di diverso sarebbe stato accettabile; adesso la moda è l’opposto: mai sia che dal voto venga un’indicazione chiara e politicamente cogente su chi deve governare e chi guidare il governo (“i governi nascono in Parlamento e devono essere il distillato di negoziati fra i gruppi sulla base delle fiches distribuite dagli elettori, il cui compito si limita a quello”). Ma un po’ di equilibrio mai?
P.S. no. 2: naturalmente Meloni può dire questo proprio perché NON siamo un regime presidenziale e nemmeno un regime semipresidenziale…!
Presidente del Comitato scientifico di Libertà Eguale. Già professore ordinario di Diritto elettorale e parlamentare nell’Università di Firenze e già direttore del Dipartimento di diritto pubblico. Ha insegnato nell’Università di Pisa ed è stato “visiting professor” presso le università di Brema, Hiroshima e University College London. Presidente di Intercultura ONLUS dal 2004 al 2007, trustee di AFS IP dal 2007 al 2013; presidente della corte costituzionale di San
Marino dal 2014 al 2016; deputato al Parlamento italiano per il Partito repubblicano (1983-1984).