di Andrea Bonaccorsi
Ha destato un certo interesse a livello nazionale il caso del comune di Cascina, in provincia di Pisa, riconquistato dal centrosinistra alle ultime elezioni amministrative con un robusto 59% per il sindaco Michelangelo Betti. Cascina era stato il primo comune toscano, storicamente di sinistra, a cedere nel 2016 rispetto alla avanzata della Lega. La figura che aveva espugnato simbolicamente la roccaforte era destinata ad una fulminante carriera: Susanna Ceccardi, giovane ed energica, si è prima guadagnata grande visibilità sui social sui temi del contrasto alla immigrazione, poi è stata eletta con oltre 47000 preferenze al Parlamento Europeo, seconda solo a Matteo Salvini nella circoscrizione centro, ed infine è stata scelta dallo stesso Salvini per sfidare Eugenio Giani alla Presidenza della Regione Toscana.
Riconquistare Cascina aveva un valore che va oltre il livello locale. Potrebbe essere un inizio di inversione di tendenza. Merito del centrosinistra locale e di una ritrovata unità. Ma anche esito di un esperimento di politica dal basso, iniziato oltre un anno prima, che merita di essere raccontato in dettaglio.
A metà 2019 mi chiama una amica annunciandomi la visita di una delegazione del PD di Cascina interessata a parlare con me e con un collega di università in vista delle elezioni comunali. La richiesta è di quelle accademiche: sareste disponibili a partecipare ad un convegno sulla realtà economica del territorio, preparando una relazione? Sì, certo, volentieri, quando si svolge?
Poi ci facciamo raccontare la situazione del comune e le idee per la prossima campagna elettorale. Tutto in salita, la Lega domina l’agenda politica e la comunicazione locale, il centrosinistra fatica a uscire dall’angolo. A quel punto mi sono sentito di alzare la posta: Sentite, la relazione si potrà anche fare, ma se mi date fiducia vi propongo un percorso di alcuni mesi per preparare in anticipo i temi della campagna. Niente riunioni, un percorso diverso. Si sono fidati, siamo partiti.
Contesto: una sessantina di persone, sede un circolo di paese, sedie e tavoli, una ciotola di caramelle gommose su tutti i tavoli, nessun microfono, pizzette e tramezzini per la cena (sì, anche vino buono, siamo in Toscana). Riunioni da un intero pomeriggio, di sabato.
Primo, un metodo di ascolto.
Ho chiesto fin da subito adesione totale e irreversibile ad un semplice principio: nessuno parla più di cinque minuti. Anticipo subito le obiezioni: la politica non si fa con i tweet, le cose sono complesse etc. etc. Tutto vero, ma non è qui il punto. Il punto è che il modo migliore per sfiancare una proposta politica è dare spazio ai politici navigati, a chi ha l’esperienza, a chi ha già capito tutto. Li vogliamo dentro, certo. Ma per ascoltare, non per creare l’illusione fatale che basti spiegare bene le proprie idee ai cittadini per vincere. No, se hai perso vuol dire che non hai ascoltato. E dentro i partiti l’esperienza dei pochi inibisce le idee nuove dei molti.
Secondo, partire dai problemi, non dalla propria agenda. Sessioni di lavoro: ci si divide per temi, ogni tema ha un tavolo. Il tavolo non ha presidenza, gli ex-assessori siedono accanto ai giovani. Ognuno inizia da solo, in silenzio, scrivendo in modo leggibile da tutti su un post-it giallo. Tutti i problemi sono gialli, tutte le soluzioni (dopo) saranno verdi. Regola: una sola idea per ogni post-it. Numero di post-it a testa: senza limiti. Tempo individuale: dieci minuti, poi si mettono tutti i post-it sul tavolo e si inizia a discutere. Regola dei cinque minuti tassativamente seguita. Tutti hanno diritto di interrompere un altro se supera i cinque minuti. Qualche ex-assessore ci prova a sforare, ma viene ripreso dagli altri (“il professore ha detto cinque minuti”). Obiettivo presentare in plenaria un poster in cui i problemi sono aggregati per similarità (spostare i post-it aiuta a concettualizzare problemi simili) e sono ordinati in ordine decrescente di gravità, dall’alto in basso. Non tutti i problemi sono uguali. Uno speaker per tavolo illustra a tutti il poster.
In plenaria condivisione dei poster tematici e dell’ordine di priorità. A questo punto compiti a casa: andate in giro e fotografate i problemi. Silenzio. Qualche politico di razza inizia a spiegare a voce i problemi della città, prontamente ripreso da qualche giovane (“il professore ha detto che vuole foto, non discorsi”). In effetti ho detto: fotografie. Quando avrete da convincere i cittadini che il problema esiste ed è grave, una immagine varrà più di un discorso. Se avete la spazzatura per strada, fate le fotografie e metteteci sotto la data esatta. Tutto deve essere vero e documentabile. Se avete i capannoni industriali chiusi, fate foto. Serviranno, dopo.
Terzo, le proposte devono avere un vantaggio evidente. Altra sessione di lavoro: si parte solo dai problemi che nella sessione precedente sono stati selezionati come più gravi e sono stati condivisi in plenaria. Dovete convincere uno scettico. Se i problemi sono importanti, dovete trovare una soluzione convincente e migliore di qualunque altra. Se c’è un problema (pain) ci deve essere un vantaggio (gain). Per ogni problema si riparte nei tavoli, usando post-it verdi per le proposte individuali. Ormai il gruppo è rodato, la sessione va via più veloce, le soluzioni si accavallano. Sono troppe. Alcune fantasiose, altre fuori tema. Tutte le idee sono discusse, nessuna esclusa. I membri più esperti e i politici di lungo corso sono obbligati a spiegare le proprie proposte in dettaglio. A scrivere più post-it. Il gruppo presenta un secondo poster, stesso metodo di condivisione e messa in priorità. Si votano le proposte. Si decide di concentrare la proposta politica sui primi 2-3 temi di ogni poster. Stavolta il compito per casa è più difficile, e in effetti funziona poco: per ogni proposta presentate un budget di spesa. Numeri ce ne saranno pochi, ma l’idea passa: se non convinciamo che c’è un vantaggio gli elettori non ci crederanno.
Quarto, comunicazione. Di nuovo ai tavoli di lavoro, obiettivo: presentare tutte le proposte politiche selezionate nelle sessioni precedenti. Ogni proposta in un minuto. Delirio totale. Spiego che abbiamo bisogno di decine, centinaia di persone che siano in grado di spiegare a tutti, in ogni occasione possibile, le proposte del centrosinistra. Che il messaggio possa essere ripetuto e amplificato.
Obiezione: la politica non si fa con gli slogan, etc. etc. Infatti non stiamo producendo slogan, stiamo attirando l’attenzione dei nostri cittadini. Se in un minuto non sei in grado di catturare l’attenzione dei tuoi potenziali elettori, nessuno ti seguirà. Quando l’attenzione è agganciata, potrai parlare quanto vuoi. Ma se non lo agganci, la proposta politica non passerà mai. Si chiama conversazione. Esercizio di ascesi quasi impossibile per i politici professionisti, grande esplosione di creatività per i giovani. Alcuni testi memorabili, sessione di entusiasmo collettivo.
Non ci basta. Organizziamo una sessione con dei giudici. Dovete convincere degli scettici. Se non avete un contraddittorio non capirete se il messaggio arriva, se nella mente dei vostri cittadini si producono obiezioni, se siete persuasivi. Tirate fuori subito tutte le obiezioni. Criticatevi a vicenda, subito. Sessione di pitch, con un voto finale. Applausi per gli ex assessori che riescono a stare in un minuto. Ancora metodo.
Infine, palinsesto. Mi avevano spiegato che la sindaca Ceccardi dominava la scena dei social media. Famosa e virale la sua immagine sulla ruspa per radere al suolo il campo ROM. Le tematiche del centrosinistra affidate ai comunicati stampa del PD, sui giornali locali.
Ok, ripartiamo. Obiettivo: con ampio anticipo rispetto alla campagna elettorale il centrosinistra deve impostare un palinsesto di comunicazione via social. Facebook, Twitter, Instagram. Almeno un tema centrale alle settimana. Cominciare con la denuncia dei difetti della giunta leghista. Un tema alla volta, non tutti insieme. Un tema semplice, un messaggio chiaro, immagini vivide (preparate prima!). Una volta lanciato il tema, partire con le varianti che lo amplificano sui social. Stesso messaggio, foto diverse. Sempre foto vere e verificabili. Se ci provano a contestare le foto, mostrate le date.
E poi i giovani alla consolle. Viene da me una ragazza: “Professore, sono la figlia di X (importante politico locale) faccio programmazione web in una società di software”. Benissimo, e sei mai stata coinvolta da tuo padre? Mai. Bene, ora si parte. Tutti i giorni fare data analytics, verificare visualizzazioni, like, retweet.
Attenzione che se raggiungete una certa visibilità, il Capitano verrà in aiuto della sindaca con la sua Bestia. Non rispondete ai temi lanciati dalla Lega, non cadete nella trappola, ma fate partire con costanza i vostri temi. Poi partite con le vostre proposte. I cittadini devono capire perché la vostra proposta è migliore di quella della giunta.
Questa in breve l’esperienza di preparazione. A valle della vittoria i protagonisti locali hanno riconosciuto che il percorso è stato utile per impostare la marcia verso la riconquista.
Spesso nel dibattito nel centrosinistra qualcuno invoca una mitica partecipazione di base. Si, ma serve un metodo. Le persone hanno problemi e idee ma vogliono essere ascoltate, pretendono di essere ascoltate. Ad ogni idea si deve dare seguito, sempre. Magari per bocciare l’idea, ma sempre dopo averla ascoltata a fondo. E siccome questo porta via tempo ed energia, serve metodo. Altrimenti dopo l’entusiasmo iniziale la partecipazione muore. E resta in piedi solo il partito-che-non-vogliamo, di quelli-che-la-politica-è-complessa, e quindi lasciatela fare a noi.
Chi ha familiarità con il mondo dell’innovazione non avrà faticato a ritrovare nel percorso descritto i principi e le tecniche adottati nei metodi di innovazione partecipata, nello startup, nei metodi Lean, nel Design thinking, nella intrapreneurship, adeguati ad un contesto politico.
Anche qui, si invoca il rinnovamento della politica, a partire dal PD, ma non si danno mai indicazioni di metodo. Combinare partecipazione popolare di persona con il digitale si può.