di Ileana Piazzoni
“Nella sede di Milano, alle spalle di Davide Casaleggio, il proprietario del M5S, c’è uno schermo che misura in tempo reale il gradimento dei contenuti postati sulle diverse piattaforme digitali della galassia grillina. Positivi o negativi, progressisti o reazionari, veri o falsi, poco importa, i concetti che funzionano vengono elaborati e rilanciati, si trasformano in campagne virali e in iniziative politiche. Gli altri spariscono, in un processo darwiniano che ha per unico criterio di selezione l’attenzione generata in rete” (Giuliano da Empoli, Gli Ingegneri del Caos).
M5s e Lega: ugualmente pericolosi
Ho sempre pensato non che il M5S e la Lega fossero uguali, ma che fossero ugualmente pericolosi. Entrambi esponenti di quel neo-populismo globale che, grazie al sapiente utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione (che stanno cambiando le relazioni sociali, prima ancora che la natura stessa del gioco democratico), si sta diffondendo facendo leva sulla rabbia, sul complottismo, sulle fake news.
Non ho cambiato idea, nemmeno un po’.
Resto convinta che la Lega sia riuscita a indebolire il M5S perché parte dello stesso campo e dotata degli stessi potenti strumenti, con in più la caratterizzazione sovranista che tanto consenso fa guadagnare in questo periodo storico e un leader forte e indiscusso. Non credo che il Pd, partito vecchio nella modalità organizzativa e di comunicazione, storicamente frammentato, privo di leadership riconosciuta, avesse alcuna chance di ottenere lo stesso risultato, in un’alleanza con il M5S al posto della Lega. Il ruolo di partner debole di un Movimento sulla cresta dell’onda sarebbe inevitabilmente toccato al Pd.
Però, il “governo del cambiamento”, nato a furor di popolo (sarebbe il caso di non dimenticarlo mai), è miseramente fallito. Ma non perché una parte di esso si è resa indisponibile a proseguirne la principale attività: la propaganda di Salvini. Il M5S si è dimostrato del tutto incapace di fare da argine a Salvini (secondo una lettura benevola), oppure ne è stato convintamente partner (secondo la mia lettura).
Il primo governo populista è caduto proprio perché Salvini ha deciso che era il momento di andare all’incasso di questa attività. Va da sé che agevolarlo nel suo obiettivo sia l’ultima cosa da fare.
Un governo con i Cinquestelle?
Vi confesso che, quando questa evidenza logica mi è stata proposta da un sacco di persone, più e meno politicizzate, ho provato a illustrare le conseguenze, anch’esse logiche, del ragionamento: l’inevitabile costituzione di un governo con il M5S con tutti i problemi che ne derivererebbero. La maggior parte dei miei interlocutori si è dimostrata perfettamente consapevole, ma considerano questo problema inferiore al rischio di consegnare il paese senza dubbio a Salvini. Altri, poi, non vedono nemmeno il rischio: sono da sempre a favore di un’alleanza con il M5S, considerato da loro (secondo me a torto) una forza “malleabile” a seconda della convenienza e quindi che potrebbe esserlo anche in direzione positiva. Solo una minoranza dei miei interlocutori oggi ritiene che sia meglio andare a elezioni, perché un governo con il M5S non si deve fare mai, pena la fine di ogni possibile alternativa ai populisti.
Io condivido molto l’ultima posizione, ma sentivo da giorni (prima che Renzi aprisse all’ipotesi del governo istituzionale) che stava perdendo consenso.
Ma per quanto mi riguarda la vera questione è ancora un’altra: rendersi “partner” della strategia di Salvini (effetto secondario della scelta di non fare accordi con il M5S) è un prezzo molto alto da pagare, che ha senso solo qualora si sia certi che un’alleanza con il M5S non avverrebbe mai. Purtroppo, non è affatto così: chi oggi nel Pd vuole andare a elezioni ha espresso più e più volte la volontà di dialogo e di apertura a alleanze con il M5S; si è arrivati a lanciare appelli in nome della condivisione di valori comuni e a proporsi esplicitamente come possibili partner di governo al posto di Salvini, con invito a rompere con lui; è quindi decisamente poco comprensibile la posizione di chi dice sì all’accordo con il M5S ma non ora, prima facciamo vincere le elezioni a Salvini. Si comprende forse (ma non si giustifica) solo basandosi su alcune voci dal sen fuggite, tipo quella di Francesco Boccia che dice chiaramente che, in caso di alleanza con il M5S, non bisognerebbe rimettere in discussione solo il decreto dignità, ma anche il jobs act.
E a quanto pare ora non si può fare. Perché? Perché l’attuale rappresentanza istituzionale del Pd (leggi gruppi parlamentari) non sarebbero disponibili a smantellare e rinnegare l’operato dei governi Renzi e Gentiloni.
Evitare di consegnare il paese a Salvini
Insomma la vera questione oggi, con buona pace di Calenda (che se farà un suo partito mantenendo il suo MAI con il M5S avrà comunque una posizione di senso, che potrebbe evitare di sminuire con atteggiamenti infantili), non è accordo con il M5S sì o no: è solo quando, e in che termini. Non ho alcun dubbio sul fatto che, data la situazione, si debba evitare di consegnare subito il paese a Salvini, facendo esattamente quello che lui vuole. E non ho alcun dubbio sul fatto che la leadership di Matteo Renzi (che fortunatamente si è dimostrata ben salda) sia una forte garanzia per la tenuta della nostra visione politica. E’ un rischio? Enorme, gigantesco, potrebbe essere fatale. Ma dà una piccola chance a questo paese e credo che abbiamo il dovere di sperimentarla.
Esperta di politiche sociali. È stata consigliere comunale ed assessore alle Politiche Sociali del comune di Genzano (Rm). Ha lavorato presso le segreterie politiche della Presidenza del Consiglio Provinciale di Roma e dei Gruppi del Consiglio Regionale del Lazio. Eletta nel 2013 deputata con SEL, nel 2014 sceglie di sostenere l’esecutivo Renzi e aderisce al PD. È stata Segretaria della XII Commissione (Affari Sociali) della Camera dei Deputati e relatrice del disegno di legge sul contrasto alla povertà.
Non sono proprio d’accordo.La risposta la deve dare il popolo italiano con il libero esercizio del voto.I salotti anche telematici non possono cambiare la realtà. Ricordiamoci che l’Italia non è L’Egitto. Non dico altro.