di Dario Parrini
Il dibattito sulla nuova legge elettorale ha tratti paradossali.
Anche in ambienti progressisti infuria lo schematismo e latitano le analisi differenziali. Fatti rilevanti vengono bellamente trascurati. Arde la classica discussione all’italiana: buona per eccitare le tifoserie, meno buona per offrire all’opinione pubblica idonei strumenti di comprensione di una materia di per sé complessa. In alcuni la sudditanza alla propria biografia pare far premio sul realismo e sulla consapevolezza dei mutamenti intervenuti nella politica italiana e europea nell’ultimo decennio. Da qui derivano demonizzazioni indiscriminate, talora seguite da processi alle intenzioni.
Si eludono interrogativi di fondo: ha senso oggi riproporre semplicisticamente il derby maggioritario/proporzionale come se fossimo nelle stesse condizioni dei primi anni ’90?
Ha senso non concentrarsi sulle diversità intercorrenti tra varianti di maggioritario e varianti di proporzionale?
Ha senso non riconoscere che ci sono sistemi proporzionali ben fatti che stanno nettamente sopra l’asticella della sufficienza e che sono preferibili a sistemi maggioritari mal fatti, inefficienti o scompensanti?
È credibile far finta di non sapere in quali contraddizioni sono incorse le coalizioni pre-elettorali nel regime maggioritario e poi ipo-maggioritario vigente in Italia nel 1994-2018 (Mattarellum, Porcellum, Rosatellum) e allestire un apparato polemico in base al quale dove ci sono le coalizioni pre-elettorali c’è il bene assoluto e dove non ci sono c’è il male assoluto?
È giusto non sottolineare che ogni sistema di regole del gioco è aperto a utilizzi diversi da parte degli attori politici e che quindi anche nell’ambito di un proporzionale ad alta soglia vi sono ampi spazi per radicare una competizione bipolare (capace di frenare gli estremismi e di spingere il riformismo) e per affermare la vocazione maggioritaria di un partito di centrosinistra dotato di solida cultura di governo?
A tutte queste domande io penso che si debba rispondere con un sonoro no.
Il Pd si è battuto per un doppio turno modello sindaci. Su questa posizione, tenuta con vigore pur disponendo soltanto dell’undici per cento dei senatori e del quattordici per cento dei deputati, si è trovato isolato. Nessuno favorevole nella maggioranza, nessuno favorevole nell’opposizione. Secondo taluni a quel punto avremmo dovuto cessare il lavoro per una nuova legge elettorale e tenerci il Rosatellum in attesa di tempi migliori.
Lo dico sinceramente: questa idea mi sembra viziata da astrattezza galoppante: per quale ragione un sistema per circa due terzi proporzionale con soglia del 3 per cento, e per di più reso assurdo in almeno otto regioni dalla riduzione del numero dei parlamentari, sarebbe meglio di un proporzionale con soglia 5? A renderlo migliore, a detta del massimalismo antiproporzionalista, è che in ogni caso nel Rosatellum sopravvive una quota di collegi uninominali, cioè un formale omaggio alla etichetta maggioritaria, e permane, di conseguenza, l’incentivo a creare coalizioni pre-elettorali, considerate una specie di totem.
Ma è facile obiettare che quei collegi uninominali, essendo immensi (perché pochi), nonché associati alla mancanza di disgiunzione dal voto di lista, del collegio uninominale maggioritario a un turno hanno tutti i difetti e quasi nessuno dei pregi (le elezioni del 2018 insegnano).
Io non ho dubbi: il doppio turno dei sindaci è il modello migliore, l’obiettivo strategico irrinunciabile. Ma la sua non realizzabilità nell’immediato non giustifica l’immobilismo. L’alternativa è conservare il Rosatellum o fare una legge migliore. Per me è evidente che un proporzionale ad alta soglia, per gli effetti che ha in termini di contenimento della frammentazione e di agevolazione alla nascita di governi stabili, è meglio del Rosatellum, e costituisce un adeguato punto di equilibrio tra rappresentanza e governabilità. Mi assumo anche la responsabilità di aggiungere che se si uscisse dalla logica del derby, che poc’anzi ricordavo, questa cosa diventerebbe evidente anche a chi oggi non la vede.
Sindaco di Vinci dal 2004 al 2013. Parlamentare Pd dal 2013, è stato Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato dal 2020 al 2022. Attualmente ne è Vicepresidente.
Potrebbe Parrini spiegare perché un prop al 5 sarebbe meglio della legge attuale, sui due punti citati? Dare del tifoso a chi non lo trova evidente è un argomento deboluccio, che rende assai sospettosi…