di Umberto Ranieri
Mentre si avvicina il secondo anniversario dell’aggressione della Russia all’Ucraina, nella colonia penale conosciuta come “Lupo polare” all’estremo Nord della Siberia, muore a 47 anni un uomo coraggioso, Alexej Navalny, l’oppositore irridente di Putin.
Tentarono di ammazzarlo nel 2021 col Novichok, il potente gas nervino. Tentarono di farlo fuori perchè era diventato pericoloso, aveva sfiorato il ballottaggio candidandosi, l’unica volta che potè farlo, a sindaco di Mosca, aveva irriso alla staffetta presidenziale tra Putin e Dmitry Medvedev. Lo salvarono i medici in Germania dove fu condotto in coma.
Fu un errore lasciarlo tornare in Russia. Lo arrestarono. Lo condannarono a diciannove anni di carcere. Lo gettarono in una galera oltre il Circolo Polare Artico. Centinaia di giorni costretto a viverli in celle di isolamento.
Putin temeva Navalny perché i russi sembravano disposti ad ascoltarlo. Non era né di sinistra né liberale ma toccava un nervo scoperto del putinismo: sbeffeggiava il potere, ne denunciava le corruttele, la camarilla di privilegiati che si era impadronito delle ricchezze del Paese.
Amava la libertà. Riusciva a interessare i giovani e a coinvolgerli nella opposizione al regime. Comprese, correggendo sue iniziali posizioni, l’orrore della aggressione all’Ucraina. In un articolo pubblicato il 30 settembre del 2022 sul Washington Post scriveva, ”gli imperialisti aggressivi non costituiscono una solida maggioranza di elettori….altrimenti Putin non avrebbe avuto bisogno di chiamare la guerra ‘operazione speciale’ e di mandare in prigione chi usa la parola guerra”.
La Russia sotto il tallone dell’ex ufficiale dei servizi segreti sovietici ha accentuato i tratti di un regime dispotico. Il potere putiniano è diventato sempre più violento. Scriverà Edgar Morin, “Putin ha adottato i metodi di sorveglianza e soprattutto di eliminazione fisica dell’epoca staliniana, e non si fa scrupolo a ricorrere ad, assassini mirati e a omicidi camuffati, persino all’estero”.
Con Putin la Russia torna alle antiche consuetudini illiberali zariste e sovietiche. La chiusura imposta dai giudici di Mosca nel 2021 di Memorial, la grande Associazione voluta da Andrej Sacharov nel 1989 sulla repressione nel periodo staliniano, fatta dichiarare al soldo degli stranieri, segnerà una sorta di non ritorno nella storia del regime putiniano.
Del resto l’asse cui tende Putin è l’intesa con i regimi illiberali. Ad unire la dittatura militare-petrolifera di Putin, la teocrazia sciita di Teheran, il regime islamista sunnita di Recep Erdogan e il partito comunista cinese di Xi Jinping è la loro ostilità verso lo Stato di diritto, la democrazia liberale e la libertà individuale.
Opera qualcosa di profondo nella struttura del potere in Russia: storicamente non conosce mediazione con la libertà. Il grande Turgenev, lo scrittore russo più occidentalista, scriveva parole desolate sul potere repressivo che anche nel suo tempo incombeva sulla Russia: “Come dobbiamo noi, povera gente, poveri artisti, cavarcela con questa forza cieca e muta, cieca dalla nascita, che neppure trionfa della sua vittoria, ma va, va innanzi divorando tutto, Come resistere a queste onde pesanti e grevi che si avvicinano senza tregua, instancabilmente?”
Un destino irreversibile segna il potere nella storia russa? La partita resta aperta. Lo dimostra la capacità di resistere e combattere di uomini come Alexej Navalny, lo dimostra per altri versi la resistenza ucraina.
A due anni dalla invasione Putin non ha vinto. Come tutti i tiranni ha gettato nella fornace della guerra centinaia di migliaia di giovani vite ma rispetto ai disegni iniziali che prevedevano una guerra breve e la conquista di Kiev, la sconfitta di Putin è stata plateale. La sconfitta politica più grave l’ha subita quando il Consiglio europeo ha deciso di avviare negoziati con Kiev per l’ingresso della Ucraina nella Unione europea.
Impedire con la forza un avvenire democratico ed europeo per Kiev era l’obiettivo che Putin ha perseguito con la guerra. Non lo ha raggiunto. Occorre tuttavia che continui ad essere forte il sostegno di Europa e Stati Uniti alla resistenza degli ucraini. Solo se la resistenza dimostrerà la sua forza e capacità di battersi sarà possibile arginare le pretese di Putin, aprire la strada ad un compromesso onorevole per gli ucraini. In quel caso forse la stessa vicenda politica russa potrebbe conoscere dei mutamenti.
Presidente della Fondazione Mezzogiorno Europa. Docente a contratto, insegna Storia dell’Europa all’Università La Sapienza di Roma, dove, Economia dei paesi in via di sviluppo all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, Politica estera dell’Unione europea all’Orientale di Napoli. È stato deputato della Repubblica Italiana per quattro legislature (XII, XIII, XIV, XV) eletto nelle liste Pds, Ds e, infine, Pd. È stato anche Presidente della Commissione “Affari esteri e comunitari” della Camera dei deputati. Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri dal 1998 al 2001 nei governi D’Alema I, D’Alema II e Amato II.