di Tommaso Nannicini
Il Jobs act ha introdotto il contratto a tutele crescenti, che in caso di licenziamento discriminatorio, o di licenziamento disciplinare la cui contestazione si rivela falsa, prevede l’obbligo di reintegra sul posto di lavoro. Sì, la reintegra, come per i contratti precedenti che hanno ancora l’articolo 18. Per i licenziamenti dettati da ragioni economiche, invece, anche se un giudice dice che quelle ragioni sono immotivate, la tutela del lavoratore consiste in un’indennità che aumenta con gli anni passati in azienda: 2 mensilità per anno, da un minimo di 4 a un massimo di 24. Se hai lavorato 5 anni in un’azienda, quindi, hai diritto a 10 mesi di stipendio come risarcimento.
C’è anche la possibilità di un’offerta conciliativa, pari a 1 mese di stipendio esentasse per anno. Se hai lavorato 5 anni in un’azienda, quindi, puoi decidere di prendere subito 5 mensilità esentasse senza andare dal giudice. Scelta tua. Si noti che nelle imprese con meno di 15 dipendenti le indennità sono da sempre più basse, da un minimo di 2,5 a un massimo di 6 mensilità.
Dopo il Jobs act, i licenziamenti sono rimasti stabili e ci sono mezzo milione di lavoratori a tempo indeterminato in più.
Che cosa fa Di Maio? Abolisce le tutele crescenti? Alza le indennità per tutti i lavoratori? Niente di tutto questo. L’impianto resta immutato (2 mesi di indennità per anno); aumentano solo l’indennità minima (da 4 a 6 mesi) e massima (da 24 a 36). Cambia poco, come mostra la tabella qui sopra. Il grafico qui sotto, simile a questo del gruppo Tortuga, compara invece le indennità risarcitorie del Jobs act con quelle di altri paesi, dove sono solitamente più basse (anche se i numeri si riferiscono alle indennità massime laddove ce ne sono più di una; per esempio in Francia ce n’è una più bassa per i giovani).
Non solo. Con il decreto, per tutti i lavoratori in imprese con meno di 15 dipendenti non cambia niente. E non viene aggiornata l’indennità di conciliazione (esentasse) che in molti casi resta preferibile alle nuove indennità (tassate): un vero pasticcio.
Primo ragionamento. Caro Di Maio, se siamo di fronte – come scrivi – a «lavoratori che subiscono degli abusi» perché lasci immutate quasi tutte le indennità? Perché tocchi solo marginalmente i minimi e i massimi che riguardano pochi lavoratori? Abbi il coraggio di essere coerente con la tua propaganda: abolisci il contratto a tutele crescenti e inserisci l’articolo 18 per tutti i contratti a tempo indeterminato, anche quelli in imprese con meno di 15 dipendenti. È una domanda che ho già fatto al Senato, senza ricevere una risposta.
Secondo ragionamento. Proprio perché il decreto fa solo ritocchi marginali al contratto a tutele crescenti, il Pd ha proposto 3 emendamenti diversi ma tutti dettati dal buonsenso. Onde evitare pasticci e prese in giro.
Speriamo che Di Maio, o chi per lui, li legga.
Senatore PD, eletto a Milano. E’ stato consigliere economico del Presidente del Consiglio Renzi e, quindi, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 2016.
Professore ordinario di Economia Politica all’Università Bocconi. Research Fellow a CEPR, IZA, Baffi Carefin e IGIER. Dal 30 maggio 2017 componente della Segreteria Nazionale del Partito Democratico.
Presidente del comitato di indirizzo strategico del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile.