di Nicolò Addario
Posto che mi trovo pienamente d’accordo con la critica di Morando all’attuale “riforma” elettorale, vorrei proporre una riflessione sulle ragioni culturali per cui le forze di governo (quale che sia la coalizione di governo) siano così incapaci di progettare e di realizzare politiche che incidano sui problemi che questo paese si trascina da ameno un ventennio. Incapacità evidente nel modo in cui è stata ed è affrontata l’attuale emergenza e nell’atteggiamento delle forze d’opposizione. Su ciò che si dovrebbe fare sono state dette molte cose, ma spesso troppo generiche e, a mio parere, a volte un po’ troppo alla moda e senza indicare vere priorità. Come dice Panebianco, “mica siamo tedeschi, che diamine”. Qui vorrei limitarmi a un punto particolare ma dirimente, che caratterizza la cultura politica dell’Italia. Parto un po’ da lontano e in modo forse un po’ eccentrico, ma arriverò in fretta all’attualità.
La “tecnica di osservazione” del demonio
Come ha notato un grande sociologo anni fa, “nel mondo antico il tentativo di tracciare un confine e, stando sul versante opposto, osservare dio e le sue creature s’identificava col caso dell’angelo Satana”. A quel tempo, chi osservava l’osservazione di dio, stando sull’altro versante, era dannato per l’eternità, come l’angelo caduto. Oggi, diversamente da allora, chi osserva in quel modo sale, non scende. Sono gli altri i peccatori, i demoni, tutti coloro che sono osservati con la stessa tecnica di osservazione del demonio, quella di tracciare un confine netto entro l’unità contro quella stessa unità (la società). Perciò con questo modo di osservazione oggi si diventa “alternativi” (o persino “antagonisti”), mentre tutti gli altri sono “nemici” cui si attribuiscono solo colpe infamanti. “Il destino della società non risiede nell’imperscrutabile deliberazione di dio. Il destino della società sono gli altri”: quelli che non stanno dalla tua parte.
In questa tesi centrale è il riferimento al “modo di osservazione”, cioè al tipo di distinzione dalla quale si inizia a interpretare il mondo e poi dalla quale possono scendere a cascata altre distinzioni, tutte però ormai condizionate dalla distinzione originaria. I “modi di osservazione” sono insomma le matrici delle visioni con cui interpretiamo il mondo e attribuiamo modi di essere e di fare agli osservati (“gli altri”). Per questo sono estremamente importanti.
L’autore riferiva queste considerazioni al modo di porsi tipico dei movimenti di protesta dei primi anni novanta. Questi, infatti, pur essendo evidentemente parte della società, facevano della “protesta contro” la loro vera e unica finalità. Perciò si concepivano come “alternativi”, quale che fosse il tema intorno a cui volta per volta coagulavano le loro proteste. Di conseguenza, questi movimenti rifiutavano di fatto la politica: agivano come se provenissero dall’esterno, come se abitassero un altro mondo. Fuori da una prospettiva rivoluzionaria, oggi ampiamente screditata ma non ancora sufficientemente meditata, la politica dovrebbe essere una forma di comunicazione che si pone come responsabile per la società, non contro la società. Nelle democrazie di tradizione liberale consolidata (almeno in Europa) non è neppure concepibile che la tua controparte politica possa essere indicata come il “nemico” da abbattere. Non ci sono “nemici” là fuori, ma soltanto opinioni politiche differenti.
La versione del populismo
In Italia, purtroppo, ha prevalso e prevale nettamente, tanto a destra quanto a sinistra, la tecnica di osservazione attribuita anticamente a Satana: si traccia un confine aldilà del quale ci sono solo peccatori con le loro colpe infernali, mentre aldiquà ci sono solo benefattori con le loro virtù. Un tempo erano tutti peccatori, anche se qualcuno lo era un po’ meno perché, diversamente dal diavolo e dai suoi seguaci, si poneva dalla parte di dio e delle gerarchie. Il populismo è solo una versione di questo modo di osservazione: i populisti è come se cogliessero l’essenza di dio e, come i movimenti di protesta di una volta, danno le colpe di tutto alle élites (e ai loro servitori “corrotti”), che sono i diavoli di oggi. Per costoro la politica diventa una sorta di guerra civile condotta con altri mezzi, un’aggressiva campagna elettorale permanente che delegittima gli “altri” che non sarebbero per il popolo. Questo è uno schema che inizia addirittura con il Risorgimento, prosegue col trasformismo che ci ha portato al fascismo e ha caratterizzato la prima Repubblica, con la ben nota contrapposizione frontale tra comunisti e anticomunisti (che era già una duplice forma di populismo esclusivista). Contrapposizione che, pur con nuovi protagonisti, è nella sostanza proseguita nell’incompiuta seconda Repubblica. Uno scontro caratterizzato da forti connotati moralistici, da reciproche attribuzioni di nefandezze.
Il consociativismo occulto
Questa è però solo un parte della storia, la sua parte pubblica. L’altro versante della storia è stato a lungo coperto accuratamente e anche oggi nessuno ne vuole parlare. Sulla base di numerose ricerche empiriche, un autore importante che ha iniziato a parlarne come chiave di volta per capire la politica italiana è stato Alessandro Pizzorno, in un lavoro dei primissimi anni Novanta. Lui lo chiamò “consociativismo occulto”. Occulto, perché, dovendo pur dare sfogo ai numerosi interessi materiali per non trasformare la guerra civile ideologica in guerra civile materiale, gli accordi tra le parti politiche per finanziare questi interessi si facevano sottobanco. Data questa dissociazione tra dimensione pubblica e dimensione pratico-materiale (che la guerra fredda giustifica solo in parte), il risultato è stato un consociativismo meramente spartitorio, che veniva scaricato sulla spesa pubblica. Ne è derivato un debito pubblico ben aldilà del PIL per quasi trent’anni (già ai primi degli anni novanta era superiore al PIL; nel 2019 eravamo al 135% circa e oggi stiamo viaggiando verso il 170%). Un debito che, soprattutto, in questi ultimi vent’anni nessun governo ha mai voluto veramente revisionare in modo sistematico e duraturo. E’ il problema che ci ha posto l’Europa. Perché facciamo orecchie da mercanti?
Perché la sua natura spartitoria e confusa ha ovviamente creato un intreccio inestricabile tra politica e interessi economici svariati. Anche perché gli interessi erano e sono quasi sempre trasversali, come nel caso, ma è solo un esempio tra i molti, della “soluzione” delle crisi industriali tramite ripetuti prepensionamenti e finanziamenti a fondo perduto (basta guardare le vicende di Alitalia e di altri casi simili).
Il coraggio che manca
Ma ora che il debito ha raggiunto una dimensione tale da limitare fortemente le possibilità d’intervento dello stato (che da anni non fa più gli investimenti che sarebbero necessari e non assume il personale che occorrerebbe), perché nessuno ha il coraggio di dire pubblicamente come stanno veramente le cose? Il cuore della crisi della politica, il suo balbettio sostanziale, continuamente coperto dal frastuono della propaganda pubblica, è tutto qui. Per mettere mano realmente al debito bisognerebbe tagliare larghe fette di spesa a pioggia, ma nessuno lo vuol fare. Sia perché sarebbe obbligato a toccare quegli interessi trasversali che dicevo, sia perché, se ci provassero davvero, questo richiederebbe la collaborazione degli “altri”, i diavoli di turno. Ma poiché “quelli del governo” e “quelli delle opposizioni” si scambiano reciproche accuse di diavolerie, la palude si allarga sempre più.
Tutti diavoli?
La crisi profonda attuale dei Cinque stelle, che più di tutti si vedevano come angeli puri mentre tutti gli altri erano demoni, nasce principalmente da qui: ieri erano al governo con i diavoli di destra, oggi sono ancora al governo ma con i diavoli di sinistra. I diavoli diventano angeli e viceversa, ma solo per convenienza. Anche la paralisi del PD e dei suoi alleati nasce da qui: come si fa a governare con chi sino a ieri ti accusava di essere il diavolo? I diavoli si sono tramutati in angeli? Inoltre, per molti anche Renzi era il diavolo, e il fatto che abbia fondando Italia Viva non è un problema solo perché altrimenti il governo cadrebbe. Mutatis mutandis, anche la destra fa ora di “quelli del governo” dei diavoli. Così, ecco la farsa: tutti dicono di cercare il “centro”, ma sul piano culturale un centro in questo paese è in realtà un piccola e ininfluente minoranza. I “Gialli” asserivano di non essere né di destra né sinistra, ma, da un lato, dichiaravano che tutti gli altri erano diavoli (compresi quelli con cui hanno poi fatto il governo) e, dall’altro, praticano solo politiche demagogiche e illiberali. È quantomeno inquietante e rivelatore che, per non voler essere né di destra né di sinistra, si sia illiberali o persino antiliberali. Va ricordato che negli anni venti del secolo scorso (e in Francia anche prima) i fascisti affermavano di non essere né di destra né di sinistra (e non era per caso).
C’è un dato che credo sintetizzi molto bene l’evidente declino in cui si trova il paese a seguito di queste politiche meramente spartitorie. È un dato che si spiega solo con una prolungata paralisi decisionale, non solo dei governi, si badi bene, ma anche di molti settori imprenditoriali: dopo dodici anni dalla grande recessione, il PIL italiano è ancora alquanto inferiore a quello del 2008, mentre il PIL di tutti gli altri paesi europei è cresciuto (anche dove avevano difficoltà serie: Belgio, Spagna, Portogallo, persino Grecia!). Le statistiche ci dicono inoltre che c’è un’importante perdita di produttività (dovuta alla scarsità di investimenti e alla burocrazia inefficiente), sin dalla metà degli anni Novanta, rispetto a tutti i paesi occidentali (salvo la Grecia).
Se la politica crea i diavoli
Per concludere, in un paese in cui i cosiddetti tre poli descrivono se stessi come angeli e gli altri come diavoli si può fare solo politica opportunista e pasticciata. Per alcuni anni ancora, qualsiasi governo sarà infatti una coalizione di angeli contro diavoli, da qualsiasi punto lo si osservi, perché il modo di osservazione prevalente è appunto quello un tempo attribuito al diavolo: solo dopo le elezioni i diavoli si tramutano in angeli a seconda della coalizione di governo che prevale, e viceversa.
Non si può governare come si dovrebbe, con un vero e meditato programma che inevitabilmente costerebbe importanti sacrifici trasversali, anche in termini ideologico-identitari. Sono queste identità che dovrebbero essere radicalmente cambiate e in una prospettiva chiaramente liberale e riformatrice. Se tutti i partiti acquisissero questa consapevolezza e maturità…!
In attesa di un miracolo (e che si prenda con decisione questo toro per le corna), il pieno ritorno al proporzionale puro (anche con eventuale sbarramento alto) sarà solo la fotografia di questa situazione, di un “destino” di ulteriore declino, che solo l’essere ancora aggrappati all’Europa impedisce di trasformarsi in un tracollo repentino. Il che rivela come anche il sovranismo nostrano sia solo un modo per creare diavoli, senza voler affrontare i nodi che, lentamente ma inesorabilmente, strozzano questo paese. Come si diceva anticamente, “hic Rhodus, hic salta” (alla lettera)!
Full Professor presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, Dipartimento di Scienze della Comunicazione e dell’Economia. Ha insegnato presso l’Università L. Bocconi di Milano, l’Università Statale di Milano, l’Università Statale di Pavia. Ha studiato presso il Dipartimento di Sociologia della Temple University di Filadelfia (USA) con una borsa NATO. E’ autore di numerose pubblicazioni scientifiche.