di Stefano Ceccanti
Mi si chiede in un interessante dibattito quale sia lo stato della Liberaldemocrazia in Occidente in riferimento ai populismi in USA ed Europa e se l’Epistocrazia, il governo dei competenti, anche con il ricorso a esecutivi tecnici sia un’opzione possibile in alternativa alla democrazia.
Se dobbiamo scattare una fotografia istantanea dobbiamo dire che rispetto a qualche anno fa la situazione è decisamente migliorata. Negli Usa c’è Biden e non più Trump. In Europa la situazione più preoccupante era quella italiana, l’unica grande democrazia in cui si era affermata col Governo Conte 1 una maggioranza populista nel Parlamento e nel Paese, che però è stata prima scardinata col Conte 2 che è stato un passaggio comunque importante e ancor più ora con Draghi.
Gli altri due casi che restano problematici, sia pure minori, sono la Polonia, dove comunque il consenso sociale al Governo sta diminuendo e l’Ungheria dove invece l’egemonia di Orban pare stabile. Ovviamente questa è solo una fotografia, diverso sarebbe il discorso su molte delle cause, che restano ancora presenti e che evocano temi come la regolazione dei social, la friabilità istituzionale di alcuni Paesi come l’Italia e altri fenomeni ancora.
L’idea di un correttivo aristocratico alle democrazie è ambigua. Per un verso le democrazie lo hanno già incorporato nella sua parte di verità sotto forma di Corti costituzionali che tutelano garanzia dei diritti e separazione dei poteri (anche per questo sono preoccupanti Polonia e Ungheria, perché colpiscono l’autonomia delle Corti).
Per altro verso, però, questo richiamo al governo dei custodi rischia di essere un paradossale populismo antipopulista, in contraddizione con l’idea di società aperta. L’ideale liberaldemocratico è quello di un conflitto tra posizioni alternative ma non distruttive, arbitrato dal suffragio universale e limitato dai meccanismi costituzionali. Il populismo disconosce il conflitto, lo riconverte in frattura tra un popolo compatti e le élites, ma anche un governo dei custodi tende a negarlo. In questo senso non esistono Governi tecnici: esiste la scelta politica di sospendere momentaneamente il conflitto che in ultima analisi è appunto politica perché il Governo, anche se fosse di soli non parlamentari, poggerebbe comunque su una maggioranza politica. È una grande coalizione mediata da tecnici, ma è sempre una costruzione politica.
Mi si chiede poi se la bipartizione maggiore all’interno del governo Draghi sia quella tra tecnici, con maggior peso, avendo in mano le chiavi del Recovery Plan, e politici, quale sarà il contributo più significativo che intende portare il Pd.
Il punto è che io non credo che per il fatto di non essere un parlamentare Draghi sia solo un tecnico. Si tratta di una personalità politica, di un liberale di centrosinistra, che ha costruito una squadra omogenea di sua fiducia per i fondi Ue e che ha costruito un Governo che ricomprende anche forze liberali di centrodestra. In questo quadro il Pd dovrebbe essere per l’appunto il partito culturalmente più in sintonia col Presidente del Consiglio.
Il m5S sta provando a evolvere in una forza ecologista di Governo, la cui collocazione naturale è quella collegata agli altri partiti di centrosinistra. Il centrodestra Lega-Fi sta provando a compattarsi su una posizione liberale di centrodestra. Essendo la gestione di un piano del genere un compito in senso lato costituente, perché con quei fondi si può e si deve rifare l’Italia, può avere senso che per questa specifica fase liberali di destra e di sinistra governino insieme, cercando di giungere a un consenso per intersezione, quello tipico della fasi costituenti.
Vicepresidente di Libertà Eguale e Professore di diritto costituzionale comparato all’Università La Sapienza di Roma. È stato Senatore (dal 2008 al 2013) e poi Deputato (dal 2018 al 2022) del Partito Democratico. Già presidente nazionale della Fuci, si è occupato di forme di governo e libertà religiosa. Tra i suoi ultimi libri: “La transizione è (quasi) finita. Come risolvere nel 2016 i problemi aperti 70 anni prima” (2016). È il curatore del volume di John Courtney Murray, “Noi crediamo in queste verità. Riflessioni sul ‘principio americano'” , Morcelliana 2021.