di Gianluca Passarelli
È del tutto evidente, lo scrivo e dico da circa un anno, che Fratelli d’Italia guidato da Giorgia Meloni supererà l’effimero momento dell’ex ministro dell’Interno, sen. Matteo Salvini.
Le ragioni sono molteplici e convergenti. Non si tratta di congetture, di vaticini o di sondaggi, ma di mettere insieme i dati, i fatti, le circostanze e capire che assai probabilmente è ciò che avverrà. Sempre che gli attori siano conseguenti. Ed è questo il primo punto critico. La deputata Meloni, come Salvini per la sua formazione, del resto, rappresenta il punto di forza e di debolezza del partito che guida.
C’è un grande vuoto nella Storia della Repubblica italiana, ed è l’assenza di una Destra conservatrice. Per ragioni legate alla storia nazionale, a quella della Destra e alla situazione internazionale.
La conventio ad excludendum lasciò fuori il Movimento sociale italiano (e il PCI) dalle logiche istituzionali e di governo. Era scontato che fosse così per una formazione legata a doppio filo con il passato regime fascista, dal punto di vista ideologico e personale. La “politica del doppiopetto” portata avanti da Giorgio Almirante riuscì solo in parte a scalfire l’immagine di una forza nostalgica, spesso troppo vicina ad ambienti della destra eversiva (quanto meno fino alla campagna sulla “doppia pena di morte” del 1978), mai decisa a rescindere i legami, personali e culturali, con il Ventennio.
La classe dirigente missina non voleva farlo, non sapeva farlo, ma forse non poteva nemmeno farlo ingabbiata com’era nella Guerra Fredda italiana che attraversava il Paese. Nessuna assoluzione, solo provare a capire. Dopo l’idea di una Destra nazionale, il progettò naufragò e si incagliò negli anni di piombo, mai rivisitati criticamente, mai condannati senza appello. Del resto, gli epigoni e le scorie di quegli anni le respiriamo ancora oggi, basti pensare alla condanna di Cavallini per la Strage di Bologna del 2 agosto 1980.
Era il mood di Almirante, quel “non rinnegare, non restaurare” che teneva in mezzo al guado il partito neo-fascista, in un gioco di specchi con il nemico comunista che permetteva alla Democrazia cristiana di ergersi perennemente a baluardo verso gli estremismi.
Il Muro di Berlino sbloccò il sistema e il sostegno di Silvio Berlusconi che inaugurando un centro commerciale (cosa altro poteva fare?) indicò come candidato preferito Gianfranco Fini (alle elezioni comunali del 1993: “se fossi un elettore di Roma voterei Fini contro Rutelli”) fece il resto.
In realtà il tassello mancante venne dal troppo presto dimenticato Gianfranco Fini. Che osò l’inimmaginabile: sciacquò panni e fez nell’acqua di Fiuggi nel 1995, eliminando i residui fascisti, emarginò l’ala oltranzista e revanchista, mise Almirante in una teca e provò a creare una destra “normale”. Parlò del fascismo quale male assoluto, visitò Gerusalemme chinando il capo e si aprì al mondo dei conservatori europei. Aveva però dimenticato una variabile importante, ossia la natura feudale e padronale della destra italiana che provò, improvvido e coraggioso allo stesso tempo, a sfidare tentando di esautorare B. Il quale si abbeverò del servilismo italico, dei pavidi servi sciocchi che abbandonarono Fini nel momento topico e si fecero foraggiare dalle prebende politiche e materiali del Cavaliere. Altro che rivoluzionari con la celtica.
L’azione di Fini non fu senza effetti, posto che coinvolse emotivamente e intellettualmente molti, ora orfani, ma presto rifugiatisi sotto ombrelli “liberal”, che di solito in Italia vuol dire “sono di destra, ma mi vergogno a dirlo”. E perciò praticano lo sport più becero e facile: criticano il Pd.
E siamo all’oggi. A Fratelli d’Italia, che ha tutte le potenzialità per fagocitare la Lega (Nord). Importante però prima ricordare che sono state scritte e pronunciate vergognose scempiaggini nei confronti della leader Giorgia Meloni, offese personali e in quanto donna. Frasi da far accapponare la pelle e i neuroni se vi fossero anticorpi liberali e democratici solidi nel nostro Paese. Una pagina molto triste, senza femministe indignate o giornalisti offesi, e #metoo o ImGiorgia.
Eppure, non ci sarebbe stato bisogno di scomodare l’aspetto fisico di Meloni per contrastare le idee sovente sballate che pronuncia a profusione. E qui arriva il punto dolente. Giorgia Meloni punta a costruire una forza della destra repubblicana, una ridotta della Lega Nord (è così che si chiama), una costola in franchising del partito di Marine Le Pen (che si ispirò al Msi…), ovvero una sezione fuori tempo del Msi-An?
Se mira a essere egemonica in quel campo, Meloni dovrebbe puntare alla prima opzione. Ma ciò comporta delle scelte, radicali. Non si può negoziare sui diritti civili, non si possono inseguire le blasfeme frasi di ex colonnelli aennini ebbri, non si possono improvvisare politiche estere e di difesa centrate sul nazionalismo, non si può sostenere l’atlantismo solo “perché c’è un certo tipo di repubblicano alla White House”.
Non è possibile rimanere al governo (locale o nazionale) con chi ― la Lega Nord – mira a smontare lo Stato unitario. La Destra repubblicana deve abbeverarsi a De Gaulle, a Kohl, a Thatcher, … non a Orban e alla banda dei populisti nazionalisti di estrema destra che guardano al 1918 con nostalgica passione. Abbandonare Casa Pound, nella forma e nella sostanza, e comunque il tentativo di recuperare frange dell’estrema destra, puntare alla legalità, ribadire l’antimafia anche nelle scelte dei candidati locali, al patriottismo, al ruolo dello Stato, dalla scuola all’economia. Non solo nella trita difesa delle forze dell’ordine, sempre e comunque, anche quando proprio non si po’, e non si deve.
Egr. On. Meloni, per ambire a ricoprire il ruolo di ministro della Difesa, dell’Interno o degli Esteri, non è necessario avere il 10% dei voti, basta la metà, meno lavoro e meno stress per lei. Ma se, invece, come potrebbe, volesse costruire una forza moderna la strada da percorrere sarebbe un’altra. Se vuole, se può, abbia il coraggio di abbandonare gli ululatori di Eja! Eja! Alala, lasci da parte le schegge del fu MSI che continuano a infangare la storia patria rimestando in presunti allori del fascismo, chiuda il credito a millantatori di patrie da difendere, e dismetta i toni da sobillatore di folle.
Non ci sono navi da affondare, porti da chiudere, manifestanti da manganellare e centri sociali da sgomberare. Punti alle idee della destra repubblicana, ha molti spunti da cogliere: dal partito repubblicano americano, ai think tank a esso legati, dalla destra francese a quella tedesca e persino spagnola e scandinava. Ignori gli adulatori di satrapi mediorientali o post sovietici. Se lo farà il suo contributo sarà ricordato come modernizzatore, altrimenti in pochi anni la sua azione sarà derubricata a transeunte e il suo partito non avrà molta fortuna.
Si distingua dalla Lega (Nord) e dall’ex ministro alla falsificazione storica. A proposito, provi a dire che senza il “25 aprile” l’Italia sarebbe stata molto peggiore. A differenza della Lega di Salvini, il suo partito ha un portato di idee che potrebbe far valere, mentre la Lega Nord perirà appena la stella cadente di Salvini si offuscherà. E ciò avverrà prima di quanti, molti, pensino, mi creda.
In questa fase molti elettori di Forza Italia e della Lega (Nord) pensano di votare FdI, ma sentono – i primi – che il partito è ancorato al passato movimentista, oppure percepiscono – i secondi – che trattasi di una forza che scimmiotta la Lega (Nord). I flussi elettorali parlano chiaro, e già nel 2008 la Lega Nord beneficiò del passaggio di elettori delusi dalla nascita del PdL.
Pertanto, non c’era bisogno del Times (o forse sì un Paese avvezzo alla provincia) per segnalare che Meloni è un personaggio da “attenzionare”, bastava aver letto le ricerche politologiche degli ultimi 20 anni. E capire che Salvini è un politico debolissimo, perché senza idee all’orizzonte e con un trito ed esausto “prima gli italiani” che pare recitato a cappella da prefiche stanche fa fatica a rimanere in sella. Meloni non cambierà il Mondo, e nemmeno l’Italia, ma può cambiare la Destra.
Full Professor | Ph.D. Comparative Politics – Sapienza Università – Dipartimento di Scienze Politiche. È ricercatore dell’Istituto Carlo Cattaneo e membro di Itanes. Si occupa di presidenti della Repubblica, partiti, sistemi elettorali, elezioni e comportamento di voto. È autore, tra l’altro, di La Lega di Salvini. Estrema destra di governo (2018); The Presidentialization of Political Parties (2015).