di Gianluca Passarelli
L’elettorato di sinistra è improvvisamente diventato di gusti semplici, si accontenta di poco. Da estimatore di sapori elettorali raffinati, elucubrazioni su voti disgiunti, pedigree dei candidati e politiche progressiste (rigorosamente d’importazione), si è svegliato come un qualsiasi elettore della becera destra che tanto dice di detestare.
Insomma, è contento che il centro-sinistra abbia vinto in Emilia-Romagna, ossia una regione in cui governa dal 1970 (non da 70 anni, ditelo allo sgrammaticato leader leghista).
La posta in gioco era certamente anche simbolica, persino metapolitica, ma alla fine conta chi ottiene un voto in più per governare due regioni. Il punto politico è dunque che il centro-sinistra ha perso una regione – la Calabria – e rivinto dove era scontato, più facile, che così fosse.
Il ruolo delle Sardine
Il segretario del Pd Zingaretti ha rivolto un “grazie immenso” alle Sardine, ossia a un movimento pre-politico o apolitico, senza arte né parte, una sorta di Movimento 5 stelle 4.0. Il principale partito riformista intende dunque rincorrere quattro giovani, senza riguardo per le idee, le proposte, per il contesto, dando per scontato tra l’altro che il contributo cruciale sia venuto proprio da loro. Forse al Nazareno dovrebbero attrezzarsi meglio con strumenti analitici in grado di leggere, capire e spiegare meglio la società italiana.
Insomma, è difficile proporre argomenti complessi nell’immediato post-voto, si perdono nel mare magnum dei commenti ostinati sebbene inutili e genuflessi al vincitore di turno. Si esaltano letture congestionate da interpretazioni ideologiche e si concentra spesso l’attenzione su aspetti puntali, pure importanti, ma perdendo di vista il quadro generale.
La sfida nelle due regioni
Che l’Emilia-Romagna fosse una regione elettoralmente contendibile era risaputo da almeno 10-15 anni, ma pochi commentatori, quasi nessun politico e un pugno di giornalisti se ne erano accorti consapevolmente. Il resto badava alla giornata. E le analisi scientifiche si perdevano nel vuoto pneumatico. Grazie a Salvini e alla Lega finalmente le cose sono cambiate. L’Emilia-Romagna è una regione “normale” anche nella percezione comune.
La Calabria non esisteva sul piano politico. È un luogo geografico, e lo sanno sia a Roma (dove danno la regione ormai irrecuperabile) sia a Catanzaro (dove i baroni locali negoziano fedeltà ai capi-partito nazionale in cambio di lasciapassare per fare quello che gli pare). Del resto, il centrosinistra ha candidato con imposizione romana un bravo imprenditore che parla di idee vaghe e concetti da bonario parroco di campagna, ma non ci ha detto la sua proposta di società; il centrodestra, come nella migliore tradizione padronale, ha seguito l’imposizione delle mani del capo la cui spada è caduta questa volta sulla spalla di una avvocatessa, le cui qualità di politica e amministratrice sono difficili da decifrare.
La Lega resta forte
E poi il Movimento 5 stelle sempre meno rilevante, sempre più inutile sul piano politico e di governo, socialmente indeboliti e in fase di implosione in quanto organizzazione. Quel nuovismo che tanto piace agli italiani, illusi e molto ignoranti.
I dati dicono che la Lega di Salvini è sempre ben insediata in Emilia-Romagna, molto meno in Calabria dove il nome del capo non basta, ché ci sono già i campioni delle preferenze e quelli leghisti – a parte qualche barone – non conoscono il territorio e le persone (giuste).
Dunque, la Lega è forte, viva e vegeta. L’ex ministro alla falsificazione storica ha ragione da vendere: ha il 32% in Emilia-Romagna, è primo partito in molti comuni, soprattutto quelli medio-piccoli che sono poi la spina dorsale d’Italia. Ha raccolto meno consensi (- 73.000) rispetto alle europee del 2019, ma rimane in crescita rispetto al 2018. Un partito debole? Non mi pare. Semmai una leadership carente. Tra l’altro sarei lieto di sentire i cantori della Lega come partito nazionale cosa hanno da dire (in Calabria è al 5%).
Il giubilante centro-sinistra si è salvato grazie al voto urbano-metropolitano, soprattutto a Bologna, a conferma che le Sardine fuori da Piazza Maggiore sono evanescenti o ininfluenti, ci mancherebbe.
Bonaccini vs Borgonzoni: il ruolo determinante dei candidati
Il dato sulla partecipazione è assolutamente in linea con il passato recente, semmai l’anomalia fu proprio il 2014, per cui nessuna esultanza. Ma è la conferma del civismo della regione, questo sì risalente a 70 anni di Democrazia. Va inoltre considerato il valore del voto di preferenza che incide sulla partecipazione sebbene in misura minore rispetto alla Calabria, e che rende perciò ogni comparazione impropria o quantomeno problematica stante il differenziale di tasso di preferenza.
A determinare il risultato in Emilia-Romagna è stato il ruolo dei due candidati alla presidenza. Bonaccini ha surclassato l’avversaria, anche per l’ingerenza di Salvini, bulimico e narcisista elettorale che rischia di far implodere il partito per troppo “affetto”.
Bonaccini ha raccolto una buona dose di voto “personale” (+ 150.000 voti), molti consensi disgiunti. Il risultato del Pd è positivo nel complesso posto che continua a crescere (+ 44.000 voti) rispetto al 2019 e anche al disastro del 2018, ma è felicemente solo e inadeguato per sconfiggere le destre. Mentre in Calabria il valore aggiunto di Pippo Callipo non è bastato a colmare la distanza dalla forza clientelare e delle reti sociali della Destra, e alla debolezza del Pd che pure è primo partito, con il 15% … e un branco di notabili e incapaci che allontano pure gli elettori più motivati. Su Fratelli d’Italia aggiungo solo che il partito conferma una sua vitalità, ma non centralità nella coalizione, tutto dipende dalla leadership.
Conseguenze nazionali?
Infine, sulle presunte conseguenze nazionali del voto non mi pare ci sia molto da dire. La ri-mobilitazione politica-partitica registrata in queste settimane, sarà profonda e duratura, ossia efficace, solo se continuerà, non solo in Emilia-Romagna, ma in tutto il Paese. Per generare penetrazione sociale (egemonia culturale) c’è bisogno del coinvolgimento delle forze pensanti e non solo di quelle pesanti nell’organizzazione partitica.
Per cui meno ammiccamenti a sardine varie, e più “pesantezza” di contenuti, di riflessioni, di proposte. È il momento dei pensieri stravolgenti, lontani dalla cronaca, dal senso comune, dal buon senso, dal sentire del “popolo”. E poi lanciare un’Opa al centro-destra in casa sua, partendo dal Veneto.
Pertanto, dopo le regionali del 2020 le sorti del governo non sono importanti in sé. Sono importanti il destino dell’unica forza riformista in grado di essere centrale qualora permanesse al governo e di essere alternativa e opposizione in caso di sconfitta, sempre probabile.
Il governo resta in sella. L’obiettivo fissato sulle agende dei tremebondi parlamentari è l’estate 2021. Tra qualche mese si svolgerà il referendum costituzionale (in primavera 2020), poi la pausa estiva, la nuova legge di bilancio e quindi il nuovo anno, il 2021.
A quel punto tutti punteranno a luglio ché poi inizia il semestre bianco presidenziale. In un contesto così c’è anche il rischio che Pd e M5s approvino delle riforme profonde. O che sprofondino in mano al Salvini nazionale.
Full Professor | Ph.D. Comparative Politics – Sapienza Università – Dipartimento di Scienze Politiche. È ricercatore dell’Istituto Carlo Cattaneo e membro di Itanes. Si occupa di presidenti della Repubblica, partiti, sistemi elettorali, elezioni e comportamento di voto. È autore, tra l’altro, di La Lega di Salvini. Estrema destra di governo (2018); The Presidentialization of Political Parties (2015).