di Giovanni Cominelli
Il discorso di Mario Draghi al Meeting di Rimini ha dato potenza politica e istituzionale a quello minoritario, che continua ostinatamente a emergere negli interstizi dei mass-media, della politica, della società civile e che, in questi anni, ha chiesto di mettere il futuro al centro delle preoccupazioni pubbliche del presente.
Draghi lo potenzia con un esordio, che invita alla saggezza, quella espressa nella preghiera del teologo protestante americano Karl Paul Reinhold Niebuhr che chiede al Signore: «Dammi la serenità per accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare, e la saggezza di capire la differenza».
I punti-chiave: il presente è incerto… sull’incertezza le società non stanno in piedi… occorre pragmatismo nelle scelte, ma l’impegno etico e l’assunzione di responsabilità restano il fondamento di ogni scelta. La situazione presente è grave, perché l’esplosione della pandemia “minaccia non solo l’economia, ma anche il tessuto della nostra società, così come l’abbiamo finora conosciuta; diffonde incertezza, penalizza l’occupazione, paralizza i consumi e gli investimenti… Alla distruzione del capitale fisico che caratterizzò l’evento bellico molti accostano oggi il timore di una distruzione del capitale umano di proporzioni senza precedenti dagli anni del conflitto mondiale”.
Navigare a vista è necessario, ma senza la saggezza e la visione il pragmatismo tende a trasformarsi in opportunismo, in egoismo collettivo, in individualismo corporativo e parassitario, in assistenzialismo, che favorisce chi grida di più.
Alla politica italiana Draghi propone tre qualità/virtù cardinali indispensabili: la conoscenza, il coraggio, l’umiltà.
La “conoscenza” è stata in questi anni sopraffatta dall’egemonia populista e radicale della “convinzione” e delle sue proiezioni ideologiche. Quanto al “coraggio”, è venuto a mancare nella politica e nei governi, sia a causa della debolezza delle basi di conoscenza sia per un’insaziabile fame di potere e di riconferme elettorali.
Così la presa d’atto che i soldi sono dei contribuenti e che la politica li deve distribuire secondo giustizia, si è trasformata nella distribuzione a pioggia, guidata dalla convinzione infondata che i soldi sono proprietà privata dei partiti e del governo, da manovrare a fini della immediata vittoria elettorale prossima. Donde il “debito cattivo”, accumulato necessariamente a partire dall’emergenza, scaricato sulle spalle delle giovani generazioni, cui non viene fornito il capitale umano per sopportarlo e per affrontare il futuro.
Il futuro è, dunque, l’autentica emergenza. E il futuro “è nelle riforme anche profonde dell’esistente. E occorre pensarci subito”. Se non si fanno, il debito diventa “cattivo”.
Draghi richiama molti oggetti di riforma, che sempre in questi anni sono stati tematizzati dalla letteratura riformistica, ma davanti alla platea del Meeting di CL ha insistito soprattutto sulla necessità di politiche verso i giovani. E non certo per neo-giovanilismo retorico.
Se il futuro è il problema del Paese, questo problema cammina sulle gambe delle giovani generazioni: “La partecipazione alla società del futuro richiederà ai giovani di oggi ancor più grandi capacità di discernimento e di adattamento. Se guardiamo alle culture e alle nazioni che meglio hanno gestito l’incertezza e la necessità del cambiamento, hanno tutte assegnato all’educazione il ruolo fondamentale nel preparare i giovani a gestire il cambiamento e l’incertezza nei loro percorsi di vita, con saggezza e indipendenza di giudizio. Ma c’è anche una ragione morale che deve spingerci a questa scelta e a farlo bene: il debito creato con la pandemia è senza precedenti e dovrà essere ripagato principalmente da coloro che sono oggi i giovani… Per anni una forma di egoismo collettivo ha indotto i governi a distrarre capacità umane e altre risorse in favore di obiettivi con più certo e immediato ritorno politico: ciò non è più accettabile oggi. Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza”.
Da questo punto di vista il il NextGenerationEu arricchisce gli strumenti della politica europea e di quella nazionale. Qui abbiamo trattato molte volte della questione educativa, ritenendola gramscianamente la “quistione” dell’Italia, la madre di tutte le questioni. Eppure, proprio in questi mesi di emergenza-Covid il governo giallo-rosso si è distinto per una cecità, imprevidenza, incompetenza totali.
Gli applausi rivolti a Draghi appaiono decisamente ipocriti, se il massimo di elaborazione culturale e programmatica attinto dalla Ministra e dal Ministero è stato quello di invitare i dirigenti e le scuole ad assumersi ogni responsabilità nell’apertura del prossimo anno scolastico, ma contemporaneamente anche quello di ribadire contenuti e procedure di concorsi, classi di concorso, reclutamenti massicci, tipici del vecchio apparato amministrativo. Intanto resta del tutto ambigua la precisazione ministeriale in merito alle eventuali responsabilità penali imputabili ai dirigenti, che potrebbero scattare in caso di contagi da Covid dei ragazzi o dei loro docenti.
Applausi ipocriti, se si deve prendere atto che molti ragazzi sono rimasti deprivati di istruzione, formazione, educazione in questi mesi, perché le scuole non si sono ancora dotate di connessioni web, perché molti insegnanti sono rimasti a casa, senza muovere dito, mentre una minoranza di loro colleghi raddoppiava l’impegno attraverso la DaD, che i sindacati hanno ostinatamente osteggiato.
Applausi ipocriti, se, dopo la stagione riformistica Berlinguer-Moratti, la sinistra e la destra si sono sempre occupate degli addetti, mai degli utenti; se l’intero apparato statale dell’istruzione tiene prigionieri milioni di ragazzi in un “mondo a parte”, un mondo irreale, lontano dalle professioni, dal lavoro, dalla produzione, dalla dimensione pubblica.
L’anafabetismo funzionale di milioni di cittadini/elettori, l’inesperienza, l’incompetenza e l’ignoranza, peraltro esibite come titolo preferenziale per l’impegno pubblico per candidarsi ed essere eletti in parlamento, il fanatismo antiscientifico sono storie che vengono da lontano: vengono dal fallimento del sistema educativo nazionale e dalla colpevole incapacità della destra e della sinistra di fare le riforme necessarie del sistema educativo.
L’accumulazione originaria di ignoranza e il rifiuto del merito di molto sessantottismo deteriore hanno prodotto alunni citrulli, poi divenuti genitori citrulli, che hanno “tirato su” a loro volta figli citrulli. La montata populista, il degrado dello spirito pubblico, il circo che ha sostituito l’agorà sono l’effetto necessario dell’estraneazione crescente del sistema educativo nazionale dalla produzione, dalla ricerca, dalla cultura, dal lavoro, dalla vita sociale.
Non riprenderemo qui, per l’ennesima volta, le proposte concrete, fatte in questi anni, di riforma degli assi culturali, degli ordinamenti, dell’assetto istituzionale e amministrativo e delle politiche di gestione del personale, al fine di fare dell’educazione il motore di civilizzazione e di sviluppo del Paese. Quel che è certo è che il discorso di Draghi rappresenta una sorta di ultimo drammatico appello rivolto alla società civile e alla politica di un Paese che sta scivolando sul clinamen di un declino che pare inarrestabile. O nei prossimi mesi si avvia concretamente una riforma del sistema educativo nazionale oppure il Paese perderà il proprio futuro. Non sempre, dopo i barbari, arriva un San Benedetto.
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.