di Pasquale Pasquino
Una nota sulla questione di liberalismo ed Europa.
Quando usiamo termini come democrazia e conventio ad excludendum è forse opportuno intenderci sull’uso di questi termini.
Con l’espressione latina non si fa riferimento ad una norma che, come l’art. 21 della Costituzione tedesca, permette, per iniziativa del governo e con l’accordo della Corte Costituzionale, di escludere dalla competizione elettorale un partito politico perché nemico della costituzione.
Credo si debba intendere piuttosto l’esistenza di una maggioranza che esclude di allearsi con una forza politica considerata sovversiva dei principi e dei valori della costituzione. Una cosa è combattere con argomenti e con accordi affinché una tale convenzione venga ad esistere o resti in vita, altra è la pretesa di cancellare sulla base di questa convenzione un risultato elettorale. Pratica incompatibile con anche la più minimalista della definizione della democrazia come forma di governo.
Ridurre tuttavia la democrazia al semplice risultato elettorale significa sposare le tesi di Orban e di Duda, ciò che nessun liberale oserebbe fare.
Lo stato costituzionale di diritto come mostra l’Ungheria di Viktor Orban non è l’unica forma di governo che esiste in Occidente e nonostante la popolarità del Primo ministro e le sue vittorie elettorali nessun liberale si azzarderebbe a dargli la qualifica di democratico, poiché i liberali di ogni specie tengono allo stato di diritto come tengono alle elezioni libere e competitive.
E questo implica difesa della costituzione, dei diritti che essa protegge, degli organi di garanzia di questi diritti, dalla Corte costituzionale al Presidente della Repubblica, tengono alla indipendenza della magistratura, al rispetto dei trattati internazionali e, anche se questo non piace a tutti gli attori politici italiani, alla scelta in favore dell’Unione Europea di cui il nostro paese è stato uno degli artefici e dei fondatori.
Si dirà: ma il Regno Unito è uscito dalla UE e non per questo è una dittatura. Certo. Ma Londra è stata sempre con un piede dentro e un piede fuori dall’Unione e a differenza di paesi come l’Italia, la Francia e la Germania non ha mai considerato questa appartenenza come un valore fondamentale. E uno strano referendum più le elezioni favorevoli a Boris Johnson hanno dato al Brexit una legittimità di scelta popolare (che ha peraltro severamente diviso il Regno). Tanti auguri ai cugini inglesi. Speriamo che se la cavino.
Che in Italia tutte le forze politiche favorevoli alla democrazia liberale cerchino di allearsi contro le forze ostili all’UE non ha nulla di illiberale e certo nessuno oserebbe provare ad annullare elezioni che dessero vittoriose le forze nazionaliste.
Ma lottare civilmente con argomenti e con alleanze politiche contro una tale evenienza fa parte assolutamente della competizione liberal democratica. Ai liberali non piace il primo ministro ungherese teorico della “democrazia illiberale”, l’erede post-moderna dei sistemi autoritari del secolo passato che dei liberali hanno fatto strage.
Pasquale Pasquino, nato a Napoli nel 1948, è Director of Research al French National Center for Scientific Research (CNRS) nonché docente di Politics and Law alla New York University. Dopo gli studi di filologia classica, filosofia e scienze politiche ha pubblicato ricerche sulla storia delle idee relative allo Stato e alle costituzioni. In anni recenti la sua ricerca si è concentrata sulla giustizia costituzionale in una prospettiva costituzionale. In passato ha lavorato presso il Max Planck Institute di Göttingen, il Collège de France e il King’s College di Cambridge.