LibertàEguale

Europeismo e innovazione radicale, ma non ci sono più le certezze del passato

di Stefano Ceccanti

 

Commento al documento Radicalità per ricostruire. Creare un’Alleanza per il dopo scritto da Gianni Cuperlo

 

1. Premessa sulla radicalità come conciliazione di polo profetico e polo politico

Faccio anzitutto una premessa. Ometterò del tutto le parti che condivido del testo, per non essere ripetitivo, tranne una.

Sono anch’io convinto che occorra una visione, un orientamento fondamentale, prima di un posizionamento sulle policies. Quello che Cuperlo esprime col termine ‘radicalità’. Ovviamente se ne potrebbero utilizzare altri, ma radicalità nel senso di andare alle radici di un impegno, per molti versi necessariamente nuovo, mi ricorda la teoria dell’impegno politico di Emmanuel Mounier che invitava sempre a conciliare nella stessa persona polo profetico, tensione versione i fini, e polo politico, l’individuazione aggiornata degli strumenti.

 

2. Riflettere su emergenza e istituzioni per lanciare una nuova innovazione radicale superando il trauma del referendum

Chiusa la premessa, inizio dalla mia angolazione e responsabilità specifica, quella del sistema istituzionale in cui ci muoviamo perché in esso si colloca la nostra radicalità ed esso la limita comunque in modo significativo. Condivido in Commissione, nel lavoro quotidiano, con molti dei colleghi, tra cui Barbara Pollastrini, al di là dei conflitti a breve, che noi abbiamo in buona parte rimosso il rilievo del tema dopo il trauma del risultato referendario del 2016.  Anche perché stavo studiando in queste stesse ore il rapporto sullo Stato della Legislazione che si presenta martedì.
Riflettere su emergenza e istituzioni significa oggi rilevare quattro aspetti.

2.1- La prima caratteristica è qualitativa, strettamente collegata e su un livello che dal micro risale almacro: un’emergenza sanitaria penetra a fondo nella vita quotidiana delle persone più di molte altre, coinvolge gli aspetti più vari, minuti ed anche più intimi. È un dato inevitabile, ma che pone diversi problemi: in particolare, come già si è detto, il rischio di un ulteriore sovraccarico di domande poste al Legislatore, in una situazione in cui già la complessità contemporanea rende molteplici e frammentarie le richieste di intervento legislativo anche con rischi di eccessiva invadenza.

2.2- La seconda è sia qualitativa sia quantitativa, ma su un livello macro: essa impatta sulle istituzioni, ma non tanto creando alcune dinamiche dal nulla, quanto piuttosto rafforzandone alcune esistenti, in particolare il restringimento del lavoro parlamentare alla/e Commissione/i permanenti del primo ramo del Parlamento che si trova a esaminare un testo governativo. Nel rapporto lo vediamo precisamente nella compressione delle iniziative di origine parlamentare (una sola su 33 nel periodo emergenziale), iniziative che erano invece risalite nel primo biennio pre-emergenza rispetto all’analogo periodo della legislatura precedente, nel ruolo della seconda Camera che si trova a esaminare il testo e che viene azzerata del tutto nel suo potere emendativo (già le modifiche della seconda Camera erano eccezione e non regola, ma nell’emergenza sono scomparse in tutte e 33 le leggi approvate sancendo un completo “monocameralismo casuale ed alternante”) e nella modifica del potere di emendamento (nel periodo pre-emergenza gli emendamenti approvati in Aula rispetto a quelli in Commissione sono minoritari ma non irrilevanti, ossia 405 contro 2.142, in quello emergenziale sono residuali, 23 rispetto a 837).

2.3- La terza è anzitutto quantitativa, ma con evidenti riflessi qualitativi ed è strettamente legata all’emergenza: prima il Decreto Cura Italia poi il Decreto Rilancio hanno battuto qualsiasi record di ampiezza nella storia repubblicana (rispettivamente 127 articoli originari diventati 171 e 266 divenuti 342).

2.4- Ve ne è poi una quarta di natura diversa: permane il conflitto con le Regioni che si è accentuato nell’emergenza, ma che è comunque un dato costante: si discute se esista un nesso causale tra l’ampiezza della legislazione concorrente (che a livello regionale resta sempre superiore al 60% per cento dell’insieme, mentre quella residuale è un quarto dell’insieme e il residuo è di carattere misto) e il livello di conflitti alla Corte che resta alto e crescente (117 ricorsi nel 2019), ma c’è almeno una contestualità.

A ben vedere, solo la prima caratteristica è tipica dell’insieme delle esperienze, per il resto si tratta di anomalie italiane sia in periodo di emergenza sia fuori da esso (il bicameralismo non è altrove né casuale né alternante, i decreti non sono così egemoni né ampi, le sedi di coordinamento sono più istituzionalizzate e prevengono di più i conflitti).

Del resto anche il testo del documento parla giustamente di rilancio del regionalismo cooperativo e di sussidiarietà ordinata.

Su queste dovremmo appunto rilanciare un progetto radicale di trasformazione istituzionale: non necessariamente da perseguire tutto insieme e tutto subito, ma sapendo che solo un’innovazione radicale sulle istituzioni ne consente una efficace sulle politiche.

 

3. Il sistema politico in cui siamo inseriti e la diversità delle linee di frattura tra i livelli di governo: i chiarimenti verranno dal processo politico in corso e dalla radicalità europea

Altro fattore condizionante, ma direi di più, strutturante, è il sistema politico in cui siamo inseriti.

E’ del tutto evidente che mentre sul piano locale e regionale domina il classico schema destra-sinistra che si sta su quei livelli riaffermando in modo generalizzato, altrettanto non è sul piano nazionale perché esso è strettamente interconnesso alla dimensione europea, l’unica su cui pressoché tutte le questioni decisive sono affrontabili.

Su di esso la linea di frattura dominante, al di là della stessa collocazione tra maggioranza e opposizione e al netto di possibili contraddizioni interne ad alcune forze, è quello tra chi rimette in discussione il rapporto con l’Unione europea, come esso non costituisse un pilastro del nostro ordinamento costituzionale, e chi invece lo ritiene da approfondire secondo un’ispirazione federale
E’ l’argine che aveva posto il Presidente Mattarella col rifiuto alla nomina di Paolo Savona nel Governo gialloverde e che è uscito rafforzato, in positivo, col cambio di Governo. Questo spiega le difficoltà a trasporre l’accordo di Governo per il completamento della legislatura e la messa in sicurezza del Quirinale ai livelli diversi da quello nazionale e a chiarire se un’alleanza sorta in modo emergenziale possa evolvere in modo fisiologico. Impossibile definirlo se non in un processo aperto in cui non è detto che gli altri soggetti politici saranno anche a breve gli stessi di oggi.

In ogni caso la svolta del Consiglio europeo ha dato ragione a tutti coloro che hanno accettato il rischio del nuovo esecutivo, di una radicalità nella affermazione di un’Europa più coesa e non a coloro che pensavano di ridefinirsi dall’opposizione, abdicando a responsabilità di Governo in una fase che appariva decisiva dell’Europa già prima della pandemia.

 

4. Postilla sulle questioni economico-sociali: condividere e competere

Sulle questioni economico-sociali mi limito solo ad una sottolineatura. Ogni periodo storico ha visioni e ricette che finiscono con l’esaurirsi.  Cosa vuol dire allora per un partito a vocazione maggioritaria, partito che strutturalmente vuole interpretare meriti e bisogni, coniugare eccellenze e tutele, porsi oggi di fronte al cambiamento?

Vedo molte giuste indicazioni sul condividere, ma insieme al condividere c’è anche il competere dentro regole rinnovate perché il blocco dell’ascensore sociale, le rendite e di posizione, le incrostazioni, hanno anche fare sia con i limiti delle non condivisioni, sia con quelli di mancate regole per una sana competizione. Ci sono egoismi da rimuovere, ma anche protezioni datate che non servono a promuovere eccellenza e tutela.

Dopo la Terza Via, non si torna alla Seconda, al tradizionale compromesso socialdemocratico, dato che la complessità sociale è cresciuta in modo irreversibile, che il ruolo di persone e comunità, delle città e delle Regioni è cresciuto, che la lotta alle diseguaglianze non è automaticamente più efficace al crescere dello Stato gestore. Abbiamo cioè bisogno di una Quarta Via, di una radicalità al futuro. Nel suo testo cosa su deve essere e non deve essere il radicalismo politico, sulla base del libro dell’Esodo, Walzer ci ricorda che alla terra promessa, che sarà comunque anch’essa non priva di contraddizioni, si arriva necessariamente attraverso le mormorazioni, ossia l’esperienza della libertà, e soprattutto attraverso il deserto, dove si acquista consapevolezza della natura transitoria di tante certezze passate.

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