di Stefano Ceccanti
1. Premessa metodologica- Ci si concentra sulle derive attuali del dibattito
Lo scopo del presente intervento è quello di concentrare l’attenzione sulle tendenze (o, per meglio dire, le derive) attuali del dibattito, come mostrato dall’esame parlamentari del ddl Bonafede anticorruzione (A.C. 1189), approvato in prima lettura una settimana fa.
Breve ricognizione della situazione attuale (data nel complesso per conosciuta)
Per il quadro complessivo della normativa vigente rinvio pertanto al saggio Curreri-Stegher per il convegno di Lille del prof. Derosier in corso di pubblicazione (1), al commento all’articolo 49 del medesimo Curreri nel recente Commentario del Mulino curato da Clementi, Cuocolo, Rosa e Vigevani (2), al quasi contestuale volume di Filippo Sciuto edito da Giappichelli (3) e, più indietro nel tempo, alla nota del 2012 predisposta da Giuliano Amato (con la collaborazione di Francesco Clementi) (4)
Siamo in estrema sintesi, estrema giacché si tratta di aspetti già ben arati, nel quadro normativo segnato da due fattori:
–un persistente finanziamento DIRETTO dei gruppi parlamentari, regolato in modo assai rigoroso con le novelle regolamentari del 2012;
–l’abrogazione definitiva dei rimborsi elettorali che si è avuta con l’anno 2017, per effetto finale della legge. n. 13/2014 che aveva previsto un triennio transitorio di progressivo definanziamento.
Grazie a quest’ultima legge esistono due tipologie di agevolazioni fiscali, quindi con un ruolo pubblico ora INDIRETTO, per la contribuzione volontaria dei cittadini:
detrazioni per le erogazioni liberali da parte delle persone fisiche e delle società;
destinazione volontaria del 2 per mille dell’Imposta sul reddito delle persone fisiche a favore di un partito politico.
L’accesso a queste forme di contribuzione non è come noto generalizzato, ma è condizionato al rispetto di requisiti di trasparenza e democraticità grazie ai quali ci si può iscrivere ad un registro nazionale tenuto dalla Commissione di garanzia sui partiti istituita presso la Camera dei deputati.
La mancanza di tali requisiti non impedisce comunque la presentazione alle elezioni, che può avvenire grazie alla presentazione di requisiti meno esigenti (tale è, oltre a forze minori, anche la collocazione del M5S).
Possiamo anche parlare di una significativa area di sovrapposizione, in quanto sia in termini di erogazioni liberali sia di supporto all’attività parlamentare nell’ambito del budget di spesa riconosciuto ai singoli, gli eletti sono anche a tale titolo tra i principali contributori dei rispettivi partiti.
2. La tendenza di lungo periodo e quella a breve prima del ddl Bonafede
Queste scelte si inseriscono in una tendenza di lungo periodo di riduzione dell’entità dei contributi DIRETTI ai partiti, istituiti nel 1974 ed erogati, a partire dal 1993, in seguito ad un referendum popolare, sotto forma prevalentemente di contributi per le spese delle campagne elettorali, in modo però abnorme e sconnesso da un’effettiva rendicontazione, dopo la breve parentesi del cofinanziamento ((l. n. 96/2012).
Vi è anche una tendenza di breve periodo, quella iniziata con tale legge del 2012 e con le novelle regolamentari del 2012 sui gruppi, a collegare finanziamento e trasparenza, oltre a requisiti minimi di democraticità. A questi ultimi, però, sembrano sfuggire i Gruppi, dopo che nel contenzioso di inizio di questa legislatura sullo Statuto del Gruppo Camera M5S e il Regolamento del medesimo Gruppo al Senato sugli standard che non avrebbero garantiti in tali testi, il Presidente della Camera si è ritenuto incompetente e la Presidente del Senato non ha fornito alcuna risposta.
Da più parti, prima della recente iniziativa legislativa Bonafede, il dibattito era centrato su due interrogativi:
– è possibile/opportuno ripristinare una qualche forma di finanziamento diretto o, quanto meno potenziare il due per mille esistente, o allineandolo al metodo utilizzato per l’otto per mille delle confessioni religiose (redistribuendo anche il cosiddetto inoptato sulla base delle scelte espresse) oppure ampliando la quota, ad esempio giungendo al quattro per mille? Del resto la soluzione del 4 per mille è già esistita, sia pure per breve durata: fu introdotta dalla 1/1997 e abrogata dalla l. 157/1999. Per inciso la riforma del finanziamento dei partiti politici dovrebbe coinvolgere anche le strutture che sono con esse collegate, talora anche in via formale, come le fondazioni e le associazioni politiche, sia perché è ormai in esse che si svolge l’attività di elaborazione politica, sia per rendere tali rapporti più trasparenti di quanto oggi siano, specie per talune forze politiche come il M5S;
– è possibile/opportuno andare oltre sulla strada di un legame tra finanziamento e democraticità interna con norme più stringenti di quelle attuali?
Credo che le due domande siano fatalmente legate perché ben difficilmente, in termini di legittimazione, si potrebbe rispondere positivamente alla prima evitando la seconda.
Ritengo ancora valido lavorare su queste due domande: una dottrina ampiamente maggioritaria ritiene più coerente con l’ordinamento costituzionale e con le tendenze delle moderne democrazie pluralistiche che non vi siano zone grigie così significative, in particolare rispetto alle funzioni pubblicistiche dei partiti e il finanziamento pubblico, meglio con le modalità del cofinanziamento che evita la nascita e la persistenza di forze legate solo alla mano pubblica, rappresenta l’incentivo più potente in tale direzione. Anche se, forse, il solo cofinanziamento può essere insufficiente, quando il contributo privato è scarso; si potrebbe creare un mix tra i due.
La deriva recente col ddl Bonafede: i partiti ricompresi nella lotta alla corruzione e nel ridimensionamento della democrazia rappresentativa
Qualcosa di diverso è però accaduto con i risultati delle recenti elezioni politiche. Il primo partito del Paese, e il primo della maggioranza di Governo, si è rivelato il M5S che non accetta già oggi quel sistema di regole pur minime e non è neanche sensibile, per sua cultura politica, al rischio di attivismo giudiziario che si manifesta anche per l’assenza di una legge, facendo invece dell’attivismo giudiziario uno dei suoi punti qualificanti.
Su questa base materiale si è quindi innestato il ddl Bonafede che parte da premesse del tutto diverse, ossia non più dal legame tra democraticità e finanziamento, ma da quello tra anticorruzione e partiti. Il ddl infatti è composto di due parti: la prima dedicata alla lotta alla corruzione e la seconda ai partiti, concentrandosi su tutta una serie di norme che rendono più burocratico e difficoltoso il finanziamento privato (pur con qualche limitato correttivo in senso opposto inserito nell’esame parlamentare) senza ampliare quello pubblico. Il testo va anche letto in combinato disposto con l’altro disegno di legge governativo Fraccaro 1173, in questo caso di riforma costituzionale, teso a ridimensionare la democrazia rappresentativa in favore di iniziative referendarie multiple (propositive e abrogative), senza alcun quorum e senza effettivi limiti di materia.
Mi pare che dobbiamo chiederci seriamente se questa deriva, oltre che inopportuna, non tenda anche a minare seriamente alcune caratteristiche della Forma di Stato democratico-pluralistica. Su questo, prima che sulle singole norme vecchie e nuove, dovremmo forse riflettere di più, associando alla riflessione forse anche una dose maggiore di intransigenza di studiosi, del tutto a prescindere dalle diverse collocazioni politico-ideali, sempre che esse intendano muoversi dentro i principi della forma di Stato democratica.
Note
(1) Ogni anno il professor J. Ph. Derosier organizza un colloquio comparatistico denominato ForInCIP, Forum Internazionale sulla Costituzione e le Istituzioni Politiche, prima a Rouen e ora a Lille. L’ultimo era centrato sulla regolamentazione dei partiti politici. Gli atti sono poi pubblicati in una collana dell’editore Lexis-Nexis, “Les Cahiers du ForInCIP”. Questa pubblicazione è prevista per il 2019.
(2) “La Costituzione italiana commentata articolo per articolo”, Il Mulino, Bologna, 2018, Parte I, pp. 312-318
(3) “La democrazia interna dei partiti: profili costituzionali di una transizione”, Torino, 2018
(4) leggibile qui: HYPERLINK “http://www.camera.it/temiap/XVI_0437.pdf” http://www.camera.it/temiap/XVI_0437.pdf
Vicepresidente di Libertà Eguale e Professore di diritto costituzionale comparato all’Università La Sapienza di Roma. È stato Senatore (dal 2008 al 2013) e poi Deputato (dal 2018 al 2022) del Partito Democratico. Già presidente nazionale della Fuci, si è occupato di forme di governo e libertà religiosa. Tra i suoi ultimi libri: “La transizione è (quasi) finita. Come risolvere nel 2016 i problemi aperti 70 anni prima” (2016). È il curatore del volume di John Courtney Murray, “Noi crediamo in queste verità. Riflessioni sul ‘principio americano'” , Morcelliana 2021.