di Ileana Piazzoni
Nonostante numerose sollecitazioni, non pensavo di intervenire sulla vicenda dell’inserimento di Marco Furfaro e Maria Pia Pizzolante nella Direzione del Pd.
Finché il 19 marzo non ho letto un articolo di Repubblica (nel suo complesso vergognoso) che li identifica come esponenti di associazioni, facendo passare chi ne contesta l’inserimento in direzione come un retrogrado che non vuole aprire il partito.
Furfaro e Pizzolante: chi sono?
Andiamo con ordine: è vero che Marco e Mapi hanno dato vita ad associazioni politiche (peraltro molto interessanti), ma sono da sempre dirigenti di partito. Siamo stati insieme dirigenti di Sel, ci conosciamo benissimo e, pur non potendo definirci amici, posso confermare che si tratta di persone degnissime e non di pericolosi estremisti. Ma c’è un ma.
Un po’ di storia: dentro Sel eravamo divisi grosso modo in tre gruppi:
a) coloro che volevano un partito autonomo e NON alleato con il Pd (es. Fratoianni);
b) coloro che volevano un partito autonomo e alleato con il Pd (es. io);
c) coloro che erano già parte di un’area politica comprendente una parte importante di Pd, quella di Zingaretti e Bettini (Smeriglio e, successivamente, anche Furfaro).
Per molto tempo, le opzioni b) e c) ebbero la maggioranza e infatti Sel nelle elezioni del 2013 (le prime che affrontava) si presentò in alleanza con il Pd. La non vittoria di Bersani portò alla rottura dell’alleanza, e infine a una strana convergenza dei gruppi a) e c) nella scelta di rompere definitivamente con il Pd, uscire dalla strada dell’adesione al Pse e collocarsi su una linea di opposizione dura al governo Renzi. Se da parte del gruppo a) era del tutto normale questa scelta, non lo era affatto per il gruppo c), che evidentemente però seguiva le logiche di contrapposizione interna al Pd.
Tra Sel e Renzi
Fu a questo punto che io ed altri parlamentari decidemmo di non adeguarci e di appoggiare il governo Renzi. La divisione profonda era data dal diverso giudizio sul M5S e sulle politiche proposte da Renzi.
Anche se personalmente, nel momento in cui Alfano fece la scissione da Berlusconi, avevo già proposto almeno l’appoggio esterno anche al governo Letta (rischiando quasi la fucilazione…), non c’è dubbio che fu il giudizio profondamente diverso sulle politiche del governo Renzi e sul rapporto con il M5S a dividerci in modo irreparabile.
Ora, quando io e altri abbiamo aderito al Pd, abbiamo portato con noi la nostra storia, la nostra visione, ma non c’è alcun dubbio sul fatto che abbiamo anche preso le distanze da alcuni cavalli di battaglia di Sel, su cui eravamo da sempre in sofferenza (rivendico di essere da sempre Sì Tav, naturalmente in netta minoranza in Sel).
Politiche concrete e legame con la realtà
Anche perché, per quanto mi riguarda, l’ingresso in parlamento aveva comportato la possibilità di verificare quanto molte delle proposte di Sel, in teoria molto condivisibili, fossero del tutto irrealizzabili, prive di legame con la realtà (vi ricorda qualcosa?).
La maggior parte dei provvedimenti per cui ho votato favorevolmente nella scorsa legislatura sono del tutto in coerenza con quello che ho sempre pensato (a cominciare dalla riforma costituzionale), e solo un’artata mistificazione può far credere il contrario.
Su alcune questioni, invece, dopo averle conosciute in profondità, ho cambiato idea. Di certo non sono entrata nel Pd con l’idea di farlo spostare sulla linea di Sel. Sono entrata nel Pd perché ho capito che, dopo la deriva assunta da Sel, era l’unico luogo di senso in cui poter fare qualcosa di concreto, oltre gli slogan, ma anche che confrontarsi con aree culturali di origine diversa dalla mia era un arricchimento, utile per tutti.
Per esempio, non ho certo rinunciato a dare il mio contributo nel dibattito interno ai gruppi parlamentari per inserire la step child adoption nelle unioni civili, ma non ho certo strumentalizzato i movimenti dei diritti lgbtq contro il governo e il Pd quando (peraltro per responsabilità del M5S) non si riuscì ad ottenerla.
Da Tsipras al Pd
Nel frattempo, invece, Furfaro e Pizzolante hanno sostenuto la lista Tsipras (Marco sarebbe stato un europarlamentare espressione di quella lista se la Spinelli non si fosse rimangiata la parola data), hanno combattuto i tre governi del Pd della scorsa legislatura, hanno combattuto per il NO al referendum costituzionale (un giorno io e Mapi ci siamo incontrate su un aereo: andavamo nella stessa regione per iniziative sul referendum, io a sostenere il sì e lei a sostenere il no).
Non ho sentito da loro nessuna parola di ripensamento, di presa di distanza da quanto fatto, insomma non mi risulta proprio che abbiano cambiato idea. Ma da domenica 17 marzo (assemblea nazionale del Pd) sono dirigenti del Partito Democratico. Se ne deduce che è il Partito Democratico ad aver cambiato idea? Considerando quanto nello stesso articolo si dice su Emiliano e su una prossima modifica allo Statuto per l’ingresso nel Pd di tutti coloro che hanno fatto liste civiche contrapposte al Pd nei Comuni, temo che la risposta sia già piuttosto chiara.
Ma siccome la linea del Pd passa ancora (un pochino) dai suoi organismi dirigenti e non (solo) da Repubblica, c’è ancora tempo per una bella discussione. Perché solo un’elaborazione seria può portare alla convivenza di diverse anime, non la furbizia di demolire un pezzetto per volta un grande patrimonio di idee e di politiche pubbliche realizzate.
Esperta di politiche sociali. È stata consigliere comunale ed assessore alle Politiche Sociali del comune di Genzano (Rm). Ha lavorato presso le segreterie politiche della Presidenza del Consiglio Provinciale di Roma e dei Gruppi del Consiglio Regionale del Lazio. Eletta nel 2013 deputata con SEL, nel 2014 sceglie di sostenere l’esecutivo Renzi e aderisce al PD. È stata Segretaria della XII Commissione (Affari Sociali) della Camera dei Deputati e relatrice del disegno di legge sul contrasto alla povertà.