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Gilet gialli, emergenza democratica in Europa

epa07202668 Protesters wearing yellow vests (gilets jaunes) clash with riot police during a demonstration over high fuel prices on the Champs Elysee in Paris, France, 01 December 2018. The so-called 'gilets jaunes' (yellow vests) are a protest movement, which reportedly has no political affiliation, is protesting across the nation over high fuel prices. EPA/YOAN VALAT

di Alberto Colombelli

 

8 dicembre, e Parigi per il quarto sabato consecutivo è presa d’assedio dalle crescenti proteste dei gilets jaunes, gilet gialli, contro la politica del Presidente della Repubblica Emmanuel Macron e del Governo del Primo Ministro Edouard Philippe.

 

Scenari inquietanti

Le notizie di agenzia si susseguono tra cronaca, interpretazione sociologica del fenomeno e analisi politica. Tra queste quelle che giungono dalla più autorevole stampa britannica aprono a scenari inquietanti sulla tenuta della democrazia rappresentativa e sui suoi limiti in questo nostro tempo. Quella de The Times è una vera denuncia.

“Centinaia di account di social media collegati alla Russia hanno cercato di amplificare le proteste di piazza che hanno scosso la Francia. La rete di account ha diffuso messaggi su Twitter che si concentrano sulla violenza e il caos dei gilet jaunes. Quando i disordini sono iniziati il mese scorso un gruppo di circa 200 account monitorati stava sfornando circa 1600 tweet e retweet dedicati al giorno. Secondo un’analisi di New Knowledge, una società di cibersicurezza, i resoconti hanno diffuso la disinformazione, usando fotografie di manifestanti feriti da altri eventi per sostenere una narrativa di brutalità da parte della polizia francese.” (Rhys Blakely, The Times, Russian Accounts Fuel French Outrage Online, 8 dicembre 2108)

Quindi ci risiamo, strategia ricorrente.  Realtà scientificamente e artificialmente costruita, con grande dispiego mezzi. Con riscontrate presenze tra i manifestanti di esponenti di forze di estrema destra mobilitatesi da tutta Europa. Con gli avamposti francesi della protesta presentatisi fino alle soglie di Ventimiglia.

Con The Independent, che partendo da lì, in un suo editoriale di questi giorni lancia un allarme concreto a livello europeo.

“Con la Francia sull’orlo e la Germania in un limbo, l’Europa è in una posizione pericolosa. Il continente è più ricco, più libero e più aperto che mai – eppure sta assistendo al ritorno di mali politici non visti da quando l’Europa pose fine alla sua ultima guerra civile nel 1945.” (The Independent, With France on the Brink and Germany in Limbo, Europe is in a Dangerous Place, 7 dicembre 2018)

 

Tatticismi fuori tempo massimo

Da qui una domanda, vitale alle nostre latitudini. C’è ancora qualche dubbio che la vera sfida è europea e non locale?

L’interrogativo si pone spontaneo e drammatico di fronte a tatticismi che si reiterano senza sosta da mesi in quello che dovrebbe essere il naturale campo riformista ed europeista nel nostro Paese, perso in un susseguirsi di confronti senza fine su nomi di potenziali quanto improbabili leader di fronte ad un’emergenza che da tempo avrebbe dovuto invece condurre allo sviluppo di una visione all’altezza della missione che si è chiamati a perseguire in quella che si sta configurando potenzialmente come una delle più drammatiche ore della Storia a cui le nostre generazioni sono chiamate ad impegnarsi.

Tatticismi fuori dal tempo, che non vedono la presentazione di idee su cui confrontarsi, ma solo la definizione di accordi tra singole persone mosse da motivazioni diverse, come la finora mancata presentazione a livello nazionale di adeguate piattaforme programmatiche su una diversa idea di futuro sta a dimostrare.

Sicuramente la responsabilità non può essere attribuita a chi sin dal 5 marzo, all’indomani dell’esito delle ultime elezioni politiche, ha posto l’accento sul rischio drammaticamente ora evidente di tenuta dell’intero progetto europeo proponendo da subito la definizione di una nuova alleanza transnazionale per il progresso e per l’Europa da perfezionare – tengo a sottolineare con il Partito Democratico protagonista – tra tutti i riformisti, europeisti e progressisti dell’Unione europea, da Macron all’Alde, da Ciudadanos ai Verdi tedeschi, dal PSE a Tsipras.

Negli ultimi mesi si sono sentite sempre più voci, inizialmente anche molto critiche, convergere poi progressivamente su questa proposta, compresa a settembre quella dell’ultimo Segretario nazionale del Partito Democratico nel corso di un incontro a Salisburgo tra i leader dei partiti nazionali federati nel PSE, salvo poi non dare corso ad alcuna azione concreta in tale direzione ed anzi premurandosi di sostenere l’affrettato annuncio della candidatura di Frans Timmermans come spitzenkandidat alla carica di Presidente della Commissione europea del solo PSE.

Così mentre il fronte sovranista europeo appare già assolutamente ed inequivocabilmente strutturato ed organizzato, ci ritroviamo invece un campo progressista sempre più disarticolato e frammentato, con ormai anche le sue componenti più virtuose esposte ad un’azione sistematica e determinata di profonda destabilizzazione che non possono che provare a fronteggiare da sole senza poter contare su alcun potenziale alleato ancora perso in sue improduttive alchimie tattiche. E se questo accade anche nei paesi che dispongono di sistemi istituzionali che più garantiscono tutela della governabilità, l’evidenza della gravità della situazione è assoluta.

C’è piena diffusa consapevolezza che per qualsiasi proposta progressista le importanti imminenti sfide che si giocheranno a livello locale saranno ancor più difficili che in passato, dovendosi necessariamente presentare in un contesto generale che appare perlomeno loro ostile.

 

La vera sfida è europea

Tuttavia, pur di fronte a questa evidenza, non si riscontra ancora un’altrettanta concreta attenzione all’esigenza di giocarsi ancora anche la partita europea. Non cercare ancora con assoluta determinazione e convinzione lo sviluppo dell’alleanza transnazionale europeista proposta sin dal 5 marzo, partendo dalla pronta sottoscrizione di una comune e condivisa Carta per il progresso e per l’Europa, significa infatti accettare passivamente quello che sembra un destino già segnato per un PSE che si muove sostanzialmente solo, quello che lo confina ad una posizione assolutamente ridimensionata nella composizione del prossimo Parlamento europeo. Significa allora che già ci si è arresi ad una drammatica sconfitta elettorale alle prossime elezioni europee del 26 maggio 2019. Significa soprattutto assumersi una grande responsabilità storica.

Perché, sia chiaro, lasciare campo aperto sin da ora a forze sovraniste già coordinatesi in Europa, con le istituzioni europee a breve da loro occupate come non mai, significherà che poi staremo a parlare di tutta un’altra Storia. E così anche eventuali successi elettorali che ci si augura possano essere ancora comunque raggiunti a livello locale avranno ben altre difficoltà poi da affrontare.

Un accorato appello, fin che siamo ancora in tempo. Non si può morire di tattica e dando priorità alla esclusiva salvaguardia di obiettivi locali, pur importantissimi e fondamentali, di fronte a una Storia che rapidamente sta cambiando e che presto ci presenterà il conto. Un drammatico conto che spezzerà il filo con i nostri valori e i nostri ideali. Non diamo per persa la partita europea, non comportiamoci come se sostanzialmente già lo fosse. È questione vitale. Del nostro presente e del nostro futuro.

Riapriamo gli occhi e guardiamo lontano, insieme, ora.

“Non è che chiudendo gli occhi si spenga qualcosa. Anzi, se lo fai, quando li riaprirai nel frattempo le cose saranno decisamente peggiorate. Questo è il mondo in cui viviamo, Nakata. Devi tenere gli occhi bene aperti. (…) Mentre tu tieni gli occhi chiusi e ti tappi le orecchie, il tempo avanza.” (Haruki Murakami, “Kafka sulla spiaggia”)

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