di Laura Landolfi
I dati sono agghiaccianti: da gennaio a ottobre sono state oltre 70 le donne uccise per mano di chi diceva di ‘amarle’. Da gennaio a fine luglio sono state 1.646 le italiane e 595 le straniere che hanno presentato denuncia per stupro. Solo a Roma si calcola che avvenga uno stupro al giorno. L’Istat stima che siano 1 milione 404mila le donne che hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali da parte di un collega o del datore di lavoro.
Le donne che si sono rivolte ai Centri antiviolenza nel 2017 sono 49.152, di queste 29.227 hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza. Il 26,9% delle donne che si rivolgono ai centri sono straniere e il 63,7% ha figli, minorenni in più del 70% dei casi.
Questi numeri Istat – che per la prima volta ha svolto l’indagine sui servizi offerti dai Centri antiviolenza, in collaborazione con il Dipartimento per le Pari opportunità le regioni e il Consiglio nazionale della ricerca- se da un lato denunciano le violenze continue cui le donne sono sottoposte sono però anche un segnale di come le cose possano cambiare.
La responsabilità dei mass media
Le donne iniziano piano piano a denunciare, ad avere davanti a loro esempi pubblici di chi ce l’ha fatta, vedono che sempre di più l’opinione pubblica è dalla loro parte e tentano di fuggire, di ricominciare. Per questo il lavoro svolto finora sia dai Centri violenza è prezioso e in quanto prezioso non va ricordato solo oggi ma va abbondantemente sovvenzionato. Per questo stesso motivo la responsabilità dei mass media è enorme a partire dall’uso del lessico, si ricordi la battaglia vinta da tante giornaliste che hanno imposto nelle redazioni l’uso del termine femminicidio o combattuto la pessima abitudine di chiamare l’omicida di turno “innamorato geloso” o anni di violenze, vessazioni e stupri, culminati in un femminicidio come “raptus”.
Ma non sono solo queste le forme di violenza che permeano la vita delle donne, ci sono anche gli episodi di sessismo, le carriere interrotte per le gravidanze, il divario salariale tra uomo e donna, l’incessante prova per dimostrare la propria competenza e professionalità. Per questo la giornata del 25 novembre non deve rischiare di trasformarsi in un 8 marzo. Una giornata-ghetto in cui concentrare l’argomento per poi accantonarlo per il resto dell’anno, ma essere considerato come un obbiettivo già raggiunto che funga da trampolino per altri obbiettivi.
Una battaglia ancora lunga
La battaglia da condurre è, infatti, ancora lunga, basti pensare a quanto emerso da un sondaggio di skuola.it secondo il quale un adolescente su cinque alza le mani sulla fidanzata. Il 7% l’ha picchiata più volte, il 4% ogni tanto e il 9% una volta sola mentre il 17% non si è fatto fermare da un no della ragazza quando ha cercato di baciarla, il 56% non considera la propria ragazza “libera”. Ma il dato che più colpisce è che il 32% delle ragazze si dice disposta a perdonare.
Ripartire dai bambini
Ecco, è da qui che bisogna ripartire, da quel 52% che non ha mai parlato della violenza sulle donne in classe o da quel 55% che non ha mai avuto una lezione di educazione sentimentale a scuola.
Non bisogna dimenticare coloro che non rientrano mai nei sondaggi: bambini segnati per sempre da questa violenza, bambini che hanno visto il padre picchiare la madre se non ucciderla, bambini che si sono ritrovati senza entrambi i genitori. Solo nel 2017 è stata approvata una legge a loro favore per cui hanno potuto accedere al gratuito patrocinio a prescindere dai limiti di reddito. Così finalmente è a loro che va la pensione di reversibilità del genitore ucciso e non più al coniuge-assassino.
Ripartire dalle scuole dove avviare percorsi di educazione, dove poter parlare, confrontarsi, per creare una cultura diffusa, per abbattere gli stereotipi cui, evidentemente, tanti giovani sono ancora assuefatti.
Questi sono gli uomini (e le donne) di domani che non vanno dimenticati e saranno loro a dover dire basta alla violenza. Una volta per tutte
Giornalista. E’ stata portavoce alla vicepresidenza del Senato, redattrice del Riformista e coordinatrice redazionale delle Nuove Ragioni del Socialismo. Ha scritto sul Riformista, manifesto, Repubblica.it, D-La repubblica delle donne, e altri. È mamma e si ostina a occuparsi di teatro.