di Carlo Rognoni
L’anno nuovo metterà i partiti, i movimenti, i leader davanti ad alcune sfide. La riforma della giustizia e l’autonomia regionale sono le prime due già entrate nell’agenda del parlamento. E non sono le sole. Fra centro destra che governa e centro sinistra all’opposizione chi riuscirà a farsene carico?
Partiamo dalla giustizia. In fondo c’è un ministro – Carlo Nordio – che sembra avere le idee chiare. In un lungo intervento alle Camere ha delineato un quadro di riferimento giudicato da molti condivisibile.
La presunzione d’innocenza è il cardine di uno Stato del diritto. Ebbene è stata lesionata da un uso improprio delle intercettazioni, da un ricorso alla custodia cautelare, diventata “uno strumento di pressione investigativa”. Senza dimenticare lo snaturamento de “l’informazione di garanzia” che spesso si risolve in una condanna mediatica anticipata, usata anche per estromettere avversari politici dall’agone pubblico. Ci voleva un ex magistrato di idee liberali come Nordio per parlare della “degenerazione dell’obbligatorietà dell’azione penale” diventata in diversi casi “un intollerabile arbitrio”? Le prossime settimane, i prossimi mesi ci diranno se Nordio sarà in grado di far approvare cambiamenti nel sistema giudiziario.
Sabino Cassese in un bel libro intitolato “Il governo dei giudici” ci ricorda che “da un lato assistiamo ad una dilatazione del potere dei giudici, dall’altro ad una crescente inefficacia del sistema giudiziario”. E la responsabilità è della cattiva politica alla quale tutti i partiti ci hanno abituato. Alcuni dati: I procedimenti civili e penali a metà del 2020 in Italia erano 6 milioni. Un’anomalia vistosa se la si compara con i dati di altri Paesi: per 100 mila abitanti, i procedimenti civili pendenti in Italia sono 3789 (in Germania 1324, in Francia meno di 1), quelli penali in Italia sono 2089 (in Germania e in Francia meno di 1). Sempre Cassese ci segnala: “La durata media dei processi civili in Italia è di poco più di sette anni e di quelli penali di poco più di tre anni (in Francia i processi civili non durano più di due anni e quelli penali non più di un anno e in Germania i processi penali durano meno di un anno)”.
Avere un ex magistrato deciso a battersi contro “una repubblica fondata sulle procure, come quella italiana” dovrebbe spingere tutte le forze politiche ad appoggiare le riforme che Nordio auspica. Il ministro ha l’appoggio del premier Giorgia Meloni. Alcune sue riforme, tuttavia, vanno di traverso ad alcuni alleati del governo di centro destra. E’ giusto che il nuovo segretario del Pd, che verrà scelto nel prossimo congresso, si impegni a favore delle riforme più coraggiose proposte da Nordio? E’ possibile, infatti, che Nordio non riesca a fare nulla. Ora, il modo migliore per sfidare l’attuale maggioranza, è proprio quello di sfidare Nordio a fare ciò che ha promesso. Chissà se il Pd sarà in grado di farlo.
Altra più controversa è la sfida del ministro leghista Calderoli. La riforma autonomista regionale rischia l’incostituzionalità. Ha dichiarato, per esempio, il presidente emerito della Corte costituzionale Ugo De Siervo: “Non si può intervenire sull’autonomia regionale con atti amministrativi come i Dpcm o confuse intese tra sistemi politici regionali e governo centrale che esautorano l’Aula… il rischio è demolire in larga parte la Costituzione”. Non si può permettere alle Regioni di intervenire liberamente, in quasi tutte le materie, dalla sanità all’urbanistica fino alla scuola … “L’autonomia così concepita aggrava senz’altro la disparità fra Regioni, tra centro-Nord e Mezzogiorno”.
E Gaetano Azzariti, costituzionalista della Sapienza: “Il rischio è quello di spaccare l’Italia, con l’accentuazione di nuove gravi sperequazioni tra territori. Tra Nord e Sud. Ma anche fra Regioni a statuto speciale, Regioni a statuto ordinario. “Una Babele” che questa ipotersi di autonomia porta con sé.
Non è ancora all’ordine del giorno, e tuttavia c’è una terza sfida, forse la più difficile, che richiede visione del futuro, grandi capacità di mediazione: l’Europa. Ne ha parlato Romano Prodi, che della commissione europea è stato presidente, in un articolo su Il Messaggero. Prodi ha concentrato la sua attenzione su un particolare molto importante: l’evoluzione dei rapporti fra Europa e Stati Uniti. Non è tanto sulla questione degli aiuti all’Ucraina e sulle conseguenze della guerra (costi del gas, peso delle sanzioni all’Urss), ma “una tensione molto più forte sta sorgendo in conseguenza di una specifica decisione americana di sostenere le imprese nazionali dei settori nuovi (auto elettriche, batterie, componenti elettroniche, ecc.). Il Presidente Biden ha previsto un sussidio alle imprese americane pari a 365 miliardi di dollari, dieci volte il livello massimo dell’aiuto pubblico oggi permesso alle aziende europee …nessuna impresa può far fronte a disparità di questo livello, che rendono impossibile la concorrenza europea e stanno già indirizzando verso gli Stati Uniti tutte le nuove intenzioni di investimento dei settori interessati”.
“Per evitare queste conseguenze” scrive Prodi, “diventerà quasi inevitabile adottare una nuova politica europea, dedicata ad aumentare gli aiuti di Stato”. Riuscirà il governo di Giorgia Meloni a farsi ascoltare a Washington? E al tempo stesso saprà coordinarsi in modo convincente con gli altri Paesi europei?
Ecco tre sfide che ci aspettano nel 2023 e che ci costringono a pensare alla debolezza tutta italiana dei partiti sia della maggioranza sia dell’opposizione.
Ha diretto le riviste Panorama ed Epoca e il quotidiano Il Secolo XIX. È stato senatore dal 1992 al 2001 e deputato dal 2001 al 2005 (con Pds, Ds, Ulivo). È stato vicepresidente del Senato dal 1996 al 2001. Ha fatto parte del consiglio di amministrazione della Rai.