di Gianluigi Leto
Apprendiamo in questi giorni la notizia che il Governo starebbe predisponendo un testo di legge che modifichi o abroghi le norme su cui poggia la concessione autostradale intercorrente con autostrade per l’Italia.
Il Governo ritiene che, in questo modo, si eviterebbero i tempi lunghi della giustizia. Diciamo meglio: il governo ritiene che la via legislativa supererebbe a piè pari la giustizia più che i suoi tempi lunghi. Ed è proprio in questo che si annida la illegittimità della norma. Vi è copiosa giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto illegittime le norme adottate in via di interpretazione autentica, e quindi, con conseguente efficacia retroattiva, per superare contenziosi in corso. In questo caso, non si conosce il contenuto della norma e non vi è ancora alcun contenzioso, per quanto annunciato, ma si ritiene che la novella sarebbe, comunque, posta in violazione della Costituzione, perché verrebbe ad incidere su contratti in corso, proprio per evitare possibili contenziosi, il che sarebbe ancora più grave: lo Stato che sottoscrive una concessione si impegna a rispettarne i patti e le condizioni, alla stregua di qualsivoglia soggetto privato, e superarne i patti, attraverso poteri propri dello Stato Autorità, è cosa, a mio parere, di assoluta gravità.
La concessione è contratto di diritto pubblico, composto da un atto unilaterale dell’Autorità amministrativa e da una convenzione a doppia firma che regola il rapporto di concessione.
Le norme o meglio i principi del codice civile si applicano, solo in via residuale, agli accordi di diritto pubblico. Le parti devono attenersi agli accordi e non possono invocare norme a piacimento secondo La propria convenienza.
La giurisdizione in materia di concessioni, tra cui vanno annoverate quelle autostradali, oltre che nel caso di rapporti tra gestore ed esercente servizi pubblici – in entrambi i casi – ha carattere esclusivo ed è attribuita al giudice amministrativo. Se anche fosse approvata una norma abrogativa della norma fondante la disciplina delle concessioni autostradali, vi è da chiedersi se essa abbia efficacia anche sulle concessioni in corso – e questo è già un primo elemento di criticità; in secondo luogo, deve comunque trovare applicazione in un provvedimento amministrativo che è impugnabile dinanzi al Tar. Quindi, la norma non elimina i contenziosi. Quel che si scrive è assolutamente falso.
Il Tar potrà sospendere il provvedimento di ritiro della concessione, sollevando questione di legittimità costituzionale, per i motivi richiamati e per quanti altri potranno ancora rilevarsi. I tempi della giustizia amministrativa possono essere molto rapidi, specie in materia di appalti: termini abbreviati e provvedimento monocamerale anticipatorio della decisione collegiale sulla sospensione.
Forse oltre alla Corte costituzionale potrebbe essere possibile anche sottoporre la questione in Corte di giustizia perché lo Stato agisce con i propri poteri legislativi su contratti in corso che rispondono a regole anche di origine comunitaria.
Ma i profili giuridici che ho voluto evidenziare sono solo l’occasione per rilevare la superficialità e l’arroganza con cui vengono piegate le norme ed i patti contrattuali alle necessità politiche di trovare un capro espiatorio e di risolvere rapidamente, in apparenza, il problema che oggi si pone.
La soluzione va, invece, trovata nei patti sottoscritti: revoca o decadenza o risoluzione ma certo, dopo l’accertamento tecnico, ed invece è stata istituita la commissione ministeriale deputata a questo, dopo aver mandato la nota di avvio della procedura di decadenza mentre avrebbe dovuto essere il contrario. La nota è assai generica e comprova la approssimazione con cui si sta affrontando il caso (e per questo potrebbe anche impugnarsi …).
Stato di diritto non è attendere il passaggio in giudicato delle sentenze: Stato di diritto, in questo caso, è il rispetto del contratto che lega Stato ed Autostrade. Non vuol dire salvaguardare la società ma rispettare i patti che si sono sottoscritti.
Il diritto non può essere piegato a piacimento, sull’onda delle emozioni. Non può esservi un diritto emotivo ma un diritto certo.