di Andrea Bonaccorsi
In una intervista a Fabio Martini su La Stampa del 13 settembre Romano Prodi sembra dare alcuni consigli non richiesti a Enrico Letta, impegnato in quei giorni nella chiusura della Festa dell’Unità. Come è noto, Letta ha rilanciato come centrali nell’agenda politica del Partito Democratico la approvazione, entro la legislatura, del DdL Zan e della legge sullo jus culturae, due capisaldi di una politica attenta ai diritti individuali.
Nell’intervista Prodi afferma: “Se il PD deciderà si spingere per una politica di forte rivendicazione dei diritti sociali (lavoro, scuola, salute, casa) i voti pioveranno”. A questo punto Martini non può che provocare l’interlocutore: Ma il PD ha messo in priorità i diritti individuali. E Prodi replica: “L’affermazione dei diritti individuali avviene solo se esiste una rete sociale”.
Vorrei suggerire una chiave di lettura un po’ diversa da quella, praticata dal giornalismo ripetitivo, del maestro che bacchetta l’allievo (lettura che infatti Fabio Martini, uno degli opinionisti politici più originali, non suggerisce). La domanda è: perché alcune politiche sembrano non portare voti a chi le propone? Sembra che gli elettori, al momento del voto, dimentichino i meriti di chi ha proposto quelle politiche.
In psicologia cognitiva è ampiamente dimostrato che le persone sono soggette ad una lacuna della memoria, nota come “distorsione del senno di poi” (hindsight bias). Questa si manifesta quando le persone sono invitate a ricostruire, dopo che un fatto si è manifestato, l’opinione che avevano prima che i fatti si verificassero. Ad esempio a un campione di medici è stato chiesto di ricostruire la diagnosi che avevano su un paziente dopo che il decorso della malattia si è manifestato. Oppure ai consiglieri diplomatici è stato chiesto di ricostruire l’opinione che avevano su una certa azione alcuni anni dopo che gli effetti politici o militari si sono verificati.
Ebbene l’evidenza schiacciante è che le persone tendono a distorcere la memoria, riportando opinioni più favorevoli a quello che si è manifestato in seguito, e quindi “dimenticando” cosa pensavano prima. Esattamente il proverbiale “senno di poi”. Nel dicembre 1990 gli elettori americani erano favorevoli solo al 50% alla guerra del Golfo decisa da Bush, mentre il restante 50% avrebbe preferito le sanzioni. Ma intervistati alla fine della guerra l’80% dichiarava senza alcuna esitazione di essere sempre stato favorevole all’intervento militare, quando non lo era stato affatto.
In un articolo sul Journal of Public Economics di alcuni anni fa Schuett e Wagner hanno applicato questo fenomeno di distorsione della memoria all’agenda politica. Un politico viene premiato o punito dagli elettori a seconda delle aspettative che vengono generate, messe a confronto con i risultati ottenuti. Se però gli elettori modificano retrospettivamente le loro aspettative, può avvenire qualcosa di inatteso. Ad esempio può avvenire che, una volta ottenuto il risultato, molti ritengano che questo fosse del tutto ovvio e doveroso, e quindi non attribuiscono alcun merito al politico che lo ha proposto. Prima dell’azione possono attribuire importanza al risultato e all’azione politica, ma dopo che è stato ottenuto possono retrospettivamente considerarlo solo un atto dovuto. Il politico che lo ha promosso non viene premiato. Ancora peggio se il risultato, ritenuto ovvio e dovuto, non viene ottenuto. In questo caso gli elettori puniscono ancora più severamente il politico, come accadde a Jimmy Carter dopo il fiasco dell’Ambasciata di Teheran.
A me pare che questa chiave di lettura sia utile per distinguere tra diritti individuali e diritti sociali. I primi sono “diritti che non costano”. Si fa una battaglia di civiltà, si ottengono condizioni migliori, ma gli elettori, a cose fatte, ritengono che sia una cosa dovuta. Un diritto è un diritto, dopo tutto. Riconoscerlo è doveroso e necessario. Le persone non hanno memoria diretta della situazione di privazione precedente, che riguardava per definizione una minoranza. Una volta ottenuto il risultato, la memoria degli sforzi messi in campo dal politico che ha condotto la battaglia viene retrospettivamente cancellata. Il politico non viene premiato, ha fatto solo quello che si doveva in ogni caso fare. I diritti sociali sono invece per definizione “diritti che costano”. Si spostano risorse, si definiscono priorità. La memoria della situazione precedente è molto saliente, non può essere distorta. Al politico che ha ottenuto il risultato va riconosciuto tutto il merito.
Se questa chiave di lettura è corretta, si comprende meglio l’espressione iperbolica di Prodi secondo cui i diritti sociali fanno “piovere voti”. L’idea è che gli elettori si ricorderanno bene di chi ha promosso e ottenuto i diritti che costano, ma assai meno bene di chi ha ottenuto ciò che tutti, retrospettivamente, penseranno fosse ovvio ottenere.