di Giovanni Cominelli
Posti dai quesiti del referendum costituzionale del 4 dicembre del 2016 di fronte alla scelta della costruzione di un sistema politico bipolare o del mantenimento di quello tri/quadripolare, gli Italiani hanno scelto questa seconda opzione.
I più accaniti nel sostenere la seconda, rivelatasi vincente, sono stati proprio, giova farne memoria, la Lega Nord, Forza Italia e il M5S. Pertanto, si è andati alla elezioni del marzo del 2018 con un assetto tripolare: FI-Lega, PD, M5S e ciascuno dei tre poli si è riservata di stabilire le alleanze solo dopo il voto.
Il sistema politico-istituzionale italiano
L’alleanza M5S-Lega non è stata votata dagli elettori, per la semplice ragione che non è stata mai proposta. Nè, d’altronde, è stata proposta quella M5S-PD. Nell’attuale organizzazione istituzionale della democrazia italiana e con l’attuale legge elettorale ciascuna forza politica ha la potestà di presentarsi all’elettorato da sola e scegliere dopo le alleanze per il governo.
Gli elettori contano solo fino al momento in cui eleggono il deputato o la lista di partito, dentro la quale i deputati sono messi in ordine di eleggibilità. Poi vengono congedati, fino alla prossima elezione. Pertanto, parlare di “tradimento” perpetrato verso il popolo italiano – questa la campagna di Salvini – che solo il ricorso immediato alle elezioni potrebbe cancellare, è pura demagogia. Se si voleva che i cittadini/elettori scegliessero direttamente il governo con la loro scheda elettorale e inchiodassero, per così dire, i partiti alla propria volontà, bastava sostenere il SI’ nel referendum del 2016. Solo un sistema a struttura presidenziale conferisce ai cittadini di decidere subito il governo.
Così come è pura demagogia a beneficio di plebi ignoranti sostenere che le alleanze tra forze politiche siano solo “inciucio”, “fame di poltrone”, “contro natura”. Ovviamente, solo le alleanze degli altri. Quando sono “contro-natura” le alleanze? Nel sistema costituzionale parlamentare non lo sono mai. Dipendono semplicemente dagli accordi programmatici.
L’attuale crisi di governo e la sua soluzione si è svolta tutta quanta nei confini della democrazia parlamentare. Ciò chiarito, la sua soluzione lascia sul tavolo tre problemi irrisolti.
Tre problemi irrisolti
Il primo riguarda la struttura stessa della democrazia parlamentare in Italia. Nonostante le invenzioni giornalistiche e politologiche, ci troviamo pur sempre nella Prima repubblica, la quale è caratterizzata dal fatto che i cittadini/elettori possono scegliere solo il Parlamento, non il governo. Il quale nasce da accordi interni al sistema dei partiti. I cittadini non contano più nulla fino alla prossima elezione. Il primo grave effetto è la stabile instabilità dei governi e pertanto il loro numero esorbitante: 65 governi in 70 anni. Donde l’impossibilità di affrontare seriamente le questioni centrali: il crescente debito pubblico, la questione meridionale, la riforma fiscale, la riforma amministrativa, la riforma scolastica ecc… Una volta tanto compare all’orizzonte un politico che promette la soluzione radicale dei problemi. Negli ultimi decenni ha preso il nome di Craxi, Berlusconi, Renzi, Salvini. Si tratta di fuochi fatui. Se i partiti non si mettono d’accordo su riforme istituzionali che facciano scegliere ai cittadini non solo i deputati, ma anche il governo, attraverso una qualche forma di governo presidenziale e di legge elettorale coerente, l’Italia sarà condannata al declino, nel contesto del disordine mondiale e della politica aggressiva di Cina, USA, Russia… Nessuno ci aspetta là fuori.
Il secondo problema riguarda il destino della politica e del sistema dei partiti. Nell’attuale sistema istituzionale, i partiti italiani sono associazioni private che detengono un enorme potere pubblico. Eppure, la formazione delle volontà politiche al loro interno continua a non essere regolata democraticamente. I partiti attraversano una grave crisi culturale: riduzione a macchine elettorali, leaderismo iperpersonalizzato o, addirittura, guruship mistico-plebiscitaria, sostituzione dell’ascolto quotidiano dei cittadini con l’auscultazione sondaggistica, rottura del diaframma tra comunicazione pubblica e quella privata, a causa dell’irruzione dei social-media, indifferenza ai contenuti programmatici, ipertatticismi senza principi. Questa crisi può aumentare due tendenze tra i cittadini: o la domanda di un “uomo forte” – oggi si chiama democrazia alla Putin o alla Orban – o la rabbia astensionista.
Il terzo problema è il governo stesso. Le sue basi culturali e programmatiche sono fragili e contraddittorie. Le ragioni tattiche dell’alleanza hanno largamente prevalso su quelle strategiche. Dunque, un governo debole. Non durerà a lungo.
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.