di Enrico Morando
Relazione per la “Giornata delle idee” indetta dal Sindaco di Novi Ligure. Un buon esempio di come impostare l’elaborazione dei programmi locali per le amministrative di primavera
Ci sono tre diversi modi di pensare una città, una porzione di territorio e una comunità che siano dotate di una tradizione, di una funzione nel presente, di un ruolo potenziale nel futuro: il primo è quello dei più irriducibili avversari del riformismo, che – poco sicuri di sé- pensano il territorio, la città come luogo di rinserramento, da circondare con mura- fisiche o culturali, non importa- per trovarvi sicurezza e protezione. È la chiusura nella decrescita infelice.
Il secondo modo è quello di chi, all’opposto, pensa il territorio come un luogo dove atterrano disordinatamente, senza mediazione, i potenti flussi della globalizzazione, da quelli delle migrazioni a quelli dell’informazione e della finanza: aperto, dunque, verso il mondo esterno, ma senza identità e senza capacità di scegliere. Dunque, senza autonomia e libertà.
Infine, c’è il terzo modo di pensare la città: una comunità che- forte della sua storia, del suo sapere e del suo saper fare- è in grado di “alzarsi dal locale” per agganciare i flussi della tecnologia, coi suoi nuovi lavori; delle informazioni, da mettere al servizio dei propri progetti di crescita qualitativa e quantitativa; della mobilità delle merci e delle persone. Una città, dunque, né rinserrata in se stessa, né aperta all’esterno fino ad annullarvisi, ma capace di andare nei flussi dell’economia e della società globale, prendere ciò che le serve, e poi tornare nel locale, per renderlo più vivo e dinamico. Per farne una città di successo. Nel presente e nel futuro.
Ha senso pensare Novi in questa ultima prospettiva? La nostra storia, la nostra collocazione geografica, il nostro apparato produttivo, la qualità del capitale umano e delle “fabbriche” che lo producono, giustificano una risposta positiva. Ma ci sono condizioni da soddisfare, se vogliamo avere successo.
Novi e la grande area Trieste-Lione
Cominciamo dalla collocazione geografica. I grandi mercanti genovesi che nel seicento decisero di tenere a Novi le Fiere del cambio lo avevano capito bene: la collocazione di Novi è, logisticamente, invidiabile. Oggi lo è più di ieri.
Come ha scritto Marco Fortis, l’area economica europea integrata che va da Trieste a Lione nel 2016 ha generato un Pil di 1191 miliardi di euro. Più dell’intera Spagna, più della somma di Baviera e Baden Württemberg. Più di due Polonie. Una volta e mezza i Paesi Bassi. Quest’area, in questo momento, sta rafforzando le infrastrutture di collegamento con il Nord: il nuovo Gottardo e il Brennero. È vitale che analogo rafforzamento avvenga anche ad ovest, tra Liguria e Piemonte e il Centro-Est della Francia. Di qui i due progetti in corso di realizzazione: Torino-Lione e Terzo valico. L’idea del governo italiano di rimetterli in discussione è semplicemente suicida.
I dati economici delle diverse regioni e province interne alla macro area che va da Trieste a Lione fanno suonare da tempo robusti campanelli d’allarme: il lato est cresce più rapidamente ed investe di più sul suo futuro. Il lato ovest si mostra incerto e incline a dannosi ripensamenti.
Dunque, Terzo valico e Torino-Lione non come una disavventura da mitigare con le opere compensative (che pure sono utili e vanno realizzate tutte e bene), ma come scelte decisive per la competitività economica e la qualità ambientale del Nord-Ovest italiano.
All’incrocio di queste grandi direttrici di sviluppo c’è Novi con la sua zona: retroporto naturale di Genova e dei porti liguri, aperto verso nord ovest (Torino-Lione) e verso est (Milano-Verona-Trieste). La vocazione per la logistica di Novi nasce da questa collocazione geografica e dalle infrastrutture della mobilità che ci sono e ci saranno (sono certo che il buon senso vincerà) tra breve.
Ma non è solo questione di intelligente utilizzo degli spazi, cui deve provvedere la buona programmazione urbanistica, vanto della città di Novi dal sindaco Pagella in poi. Per utilizzare appieno questa potenzialità c’è soprattutto bisogno di capitale umano di elevata qualità. La logistica è porti, retroporti, strade, autostrade, ferrovie, treni, camion, magazzini, piazzali, eccetera. Esattamente come era un tempo. Ma è anche molto altro: governo in tempo reale dei flussi di persone, merci e mezzi, per accrescere la velocità, ridurre i costi e l’impatto ambientale, garantire sicurezza.
Per gestire tutto questo, saranno importante avere macchine che noi, a Novi, non produciamo. Ma saranno soprattutto importanti i cervelli. E questi, invece, li possiamo e li vogliamo produrre. Persone portatrici di un “alto potenziale connettivo tra flussi e luoghi”,per dirla con Bonomi: più semplicemente, persone che padroneggiano l’innovazione e i suoi molteplici linguaggi (gli strumenti culturali per “andare” nei flussi senza perdersi). Persone che, al contempo, hanno inserito nel loro processo formativo il “saper fare” locale, qualcosa che si impara lavorando e facendo, non solo sui banchi di scuola.
L’economia di Novi come economia dell’apprendimento
Contrariamente a quello che un certo pensiero economico è riuscito a farci credere per anni, le fonti della crescita economica non sono soltanto due: il lavoro e il capitale. Questi due fattori contano, ed è ovvio che incrementare l’uno e l’altro, cioè l’occupazione e gli investimenti, favorisce la crescita. Ma già negli anni 50 ci fu chi mise in evidenza che gli impulsi maggiori al miglioramento degli standard di vita vengono dal nesso tra progresso tecnologico e apprendimento. Cioè, semplificando un po’, ma non troppo: vengono dalla capacità di imparare a fare le cose meglio. Vengono dall’interno del sistema economico e sociale: vengono dall’imparare ad imparare.
Quello che capita, concretamente, è che “la produttività delle imprese e delle economie si trova – in ogni momento – ben al di sotto del livello al quale potrebbe trovarsi dato lo stato delle conoscenze” (Stiglitz e Greenwald). È quindi molto grande l’importanza dell’apprendimento, cioè del processo di formazione e informazione attraverso il quale si può colmare questo divario.
La buona notizia per Novi è che il settore industriale si caratterizza – rispetto agli altri settori – per una buona capacità di apprendere e, soprattutto, di “esternalizzare” l’apprendimento verso gli altri settori dell’economia. E Novi è una città a forte vocazione industriale, dotata di un apparato produttivo che – assieme ad un robusto sistema di piccole imprese artigianali – si impernia su medie e grandi imprese – dall’Ilva alla Novi, alla Campari – che hanno un ruolo nell’economia globale.
Quella meno buona è che l’economia dell’apprendimento, per sviluppare appieno le sue potenzialità, ha bisogno di una fortissima complementarietà tra sistema di istruzione formale (la scuola) e sistema di istruzione informale (le imprese); che si può ottenere solo attraverso un’attenta programmazione del processo di formazione permanente degli individui. Il fatto è che in Italia, a differenza di quanto accade in Svizzera e in Germania, per citare gli esempi più noti, l’intreccio tra i due sistemi è assente o mal tollerato, sia dalle scuole sia dalle imprese.
L’alternanza scuola-lavoro, introdotta proprio quest’anno come obbligatoria nel sistema pubblico di istruzione, stava muovendo i suoi primi passi e già è minacciata dal conservatorismo ottuso del governo, secondo il quale è addirittura “dannosa “(Contratto Lega-M5S paragrafo 22).
Se Novi vuole crescita e benessere, deve diventare una città leader nell’economia dell’apprendimento è imprescindibile. Ecco allora cosa bisogna fare: una convenzione quadro che leghi l’Amministrazione comunale, le istituzioni scolastiche della media superiore, le imprese piccole, medie e grandi della eccellenza produttiva novese, per un grande progetto di formazione permanente, ispirato all’obiettivo di far sì che ogni cittadino impari ad imparare.
Il Comune ha in bilancio poche risorse da dedicare a questo progetto? Le Istituzioni scolastiche – a loro volt a- hanno un’autonomia finanziaria assai gracile? Le imprese hanno una scarsa propensione all’impegno in questo campo, non tanto per i costi economici, quanto per i defatiganti adempimenti burocratici? È tutto vero. Ma se si è convinti che dal progetto di apprendimento permanente dipenda il presente e il futuro della nostra comunità, allora bisogna riconoscere che nessuno di questi tre ostacoli è da considerarsi insormontabile: nel medio periodo una efficace revisione della spesa comunale può liberare risorse finanziarie, umane e organizzative da dedicare a questo scopo, su cui il Sindaco e la sua Giunta possono concentrare l’esercizio dei vasti poteri di relazione di cui già dispongono. Gli spazi di autonomia già riconosciuti agli Istituti scolastici potranno ampliarsi, specie se la Regione vorrà – con l’Emilia Romagna, la Lombardia e il Veneto – lavorare per attivare il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione repubblicana. E proprio la Convenzione potrà ridurre gli adempimenti burocratici delle imprese che si impegneranno stabilmente nel progetto, non solo grazie al concorso che verrà dall’amministrazione pubblica locale, ma anche grazie alla standardizzazione e alla stabilizzazione nel tempo delle relative procedure.
Dunque, il progetto dell’economia novese come economia dell’apprendimento è alla nostra portata. Nè siamo troppo piccoli per coltivarlo. Come ha scritto Enrico Moretti: “il mondo in cui viviamo è pieno di paradossi. Ciò lo rende a volte difficile da capire, ma anche molto interessante. Uno dei paradossi più curiosi è che la nostra economia globale sta diventando sempre più locale. Nonostante il gran parlare di connettività e annullamento delle distanze, il luogo in cui viviamo e lavoriamo è più importante che mai. Le nostre idee migliori sono ancora il riflesso degli imprevedibili stimoli che quotidianamente riceviamo dalle persone che incontriamo e dall’immediato ambiente sociale che ci circonda”.
Novi-Milano e ritorno: dai Visconti al terzo valico
È stato proprio Enrico Moretti, con il suo libro “La nuova geografia del lavoro”, che ha attirato l’attenzione dei politici di tutto il mondo, a mettere in piena luce l’importanza di quelli che ha chiamato Hub dell’innovazione.
Grandi concentrazioni di sapere e saper fare, queste aree assurgono al ruolo di capitali della innovazione, attirano talenti da tutto il mondo almeno nella stessa misura in cui ne producono- con le loro Università e le loro imprese leader dell’innovazione.
Non sto pensando a Novi come Hub dell’innovazione. Voglio invece riflettere sulle implicazioni, per Novi, dell’affermarsi di Milano come Hub dell’innovazione di quella vasta area economica europea integrata che va da Trieste a Lione. Poco fa ne ho parlato con riferimento alla logistica e alla naturale vocazione di Novi- la capitale dell’oltregiogo, per dirla coi genovesi – come retroporto di Genova. Ma la storia di Novi ci racconta della famiglia milanese dei Visconti che prende possesso della città, con Giovanni Visconti, nel 1353. E anche quando Novi, dopo quasi 100 anni, tornerà nell’orbita di Genova e, dal 1529, nella Repubblica di Genova, sarà al tempo stesso terra di confine e terra di relazione e aperture con Milano. Una funzione che culminerà con le Fiere del cambio nel seicento.
Ora, la mia idea è che la realizzazione del Terzo valico ferroviario crei le condizioni per far rivivere – ovviamente in termini del tutto nuovi – questa storica relazione tra Novi e Milano. Il progetto, nella sua essenza, è questo:
- Poiché un gran volume dell’attuale traffico ferroviario si sposterà sulla nuova linea ad alta capacità, le vecchie linee saranno “liberate” dall’attuale congestione. Si apriranno dunque spazi per un salto di qualità nel trasporto passeggeri a dimensione regionale. Bisogna che questo rafforzamento-verso Torino e Genova, ma sopratutto verso Milano- venga perseguito immediatamente e rapidamente progettato.
- La crescita di un Hub dell’innovazione ha delle conseguenze certe, in tema di valore degli immobili: affitti e prezzi delle case salgono progressivamente, per la gioia dei proprietari… e la difficoltà di quanti vengono attirati verso la capitale, ma non hanno- o non hanno ancora- il reddito necessario per procurarsi casa nell’area stessa.
- Un servizio di trasporto veloce, frequente e confortevole, che garantisca il collegamento entro l’ora o poco più tra Novi e Milano, fornirebbe a queste persone- soprattutto giovani-una alternativa di qualità ad un cattivo alloggio in una città dormitorio dell’hinterland milanese: prezzi e affitti più bassi, migliori caratteristiche energetiche degli immobili, qualità della vita e dell’ambiente più elevata. Quindi, anche chi lavora là potrebbe scegliere di vivere qui. Non solo perché ci abita già, a Novi. Ma perché potrebbe decidere di venirci ad abitare.
- A questo scopo, servono scelte emblematiche di miglioramento del contesto urbano di Novi, sia nel centro storico, sia fuori dallo stesso. Per il centro storico, continuo a ritenere- come ho detto ad un recente convegno dell’associazione Novi in terza pagina-, che una zona con Internet superveloce gratuita, a partire da via Roma e via Girardengo, potrebbe per un verso favorire l’investimento dei proprietari nelle necessarie ristrutturazioni, aggiungendosi ai fortissimi incentivi disposti dalla legislazione nazionale; per l’altro attrarre giovani artigiani e altri creativi ad occupare quegli spazi commerciali che, non utilizzati, sono testimonianza visiva del rischio di declino.
Fuori dal centro storico, si sono create tutte le condizioni necessarie perché i condomini più grandi, costruiti negli anni 60-70 e 80 del novecento, siano oggetto di radicali interventi per il risparmio energetico. I programmi di intervento in questo campo dell’ANCE e delle più grandi corporation del settore energetico- facilmente consultabili sui rispettivi siti-dovrebbero convincere anche i proprietari più diffidenti di ciascuno degli appartamenti di questi grandi palazzi a rompere gli indugi. Si può fare, a costo zero per la famiglia proprietaria, perché la quota di sua spettanza ce la mette… il risparmio sulla spesa della famiglia stessa per il riscaldamento.
Se questi programmi partono, basterà che l’Amministrazione comunale li accompagni con interventi di riqualificazione urbana per ottenere un netto miglioramento dell’aria- è il riscaldamento delle case il principale responsabile della presenza delle polveri sottili-; un buon innalzamento del valore degli immobili; e una più forte capacità di attrarre nuove attività e nuovi cittadini.
Subito dopo, per importanza, le politiche per la continuità occupazionale delle donne, questa sarebbe anche una politica per l’effettivo contrasto della povertà: le spese collegate alla casa- in particolare quelle per il riscaldamento- vengono considerate da oltre il 50% delle famiglie in difficoltà come responsabili del proprio disagio.
Novi F.A.S.T.
Fin qui, ho parlato di idee che potrebbero- secondo me-rendere Novi più fast, più veloce nel reagire alle sfide competitive che vengono dall’esterno e nel riorganizzare se stessa per promuovere le sue sfide verso l’esterno.
Prima di terminare, voglio dare conto del ruolo cruciale che-per questo disegno della Novi del futuro- riveste l’acronimo F.A.S.T.
Sono le lettere iniziali per:
- F amiglia
- A sili nido
- S ervizi
- T empi
Queste quattro parole ci parlano del ruolo che- per la crescita economica felice- riveste lo Stato Sociale latamente inteso. Meglio, del ruolo del sociale come produttore di cura, nella triplice accezione di cura assicurata dallo Stato, cura assicurata dal mercato e cura come auto organizzazione delle politiche sociali.
È il prodotto di quel’ “esercito di buoni” che a Novi è così attivo ed è l’esito -per dirlo con Bonomi – delle lunghe derive della tradizione mutualistica imperniata sulla carità cattolica e la solidarietà laica e socialista.
La parola Famiglia, ci sollecita ad una più attenta considerazione di ciò che oggi è questo nucleo sociale fondamentale. Sia per riconoscere priorità alla assistenza speciale che va dedicata alle famiglie formate da una sola donna giovane che dà alla luce un bambino; sia per prenderci carico- come comunità- dell’esplosione del numero degli anziani non autosufficienti.
Tutti gli esperti ce lo dicono: i primi mesi di vita sono decisivi. Decisivi anche per evitare che il bambino che li trascorre nel disagio sia l’escluso di domani. I problemi di esclusione sociale più difficili da risolvere derivano infatti da insufficienti livelli di alimentazione, socializzazione e apprendimento raggiungibili nella prima infanzia.
Ci sono dunque ragioni più che sufficienti per concentrare risorse finanziarie, umane e organizzative sull’obiettivo di garantire a queste neo mamme e a questi neonati, ben prima dell’asilo nido, le cure e l’ambiente amorevole cui hanno diritto.
Per gli anziani non autosufficienti, Novi ha le caratteristiche per sperimentare una nuova forma di cooperazione pubblico-privato, che utilizzi- attraverso un mix tra lavoro remunerato e volontariato- le grandi energie e la voglia di fare dei cittadini pensionati più giovani e in salute. Si tratta di una soluzione adottata con successo in Svezia, che consente di trasformare il Silver Tsunami in atto- la gigantesca ondata di persone sopra i 65 anni costituita dai baby boomers – in una forza positiva per l’innalzamento della qualità sociale.
La parola asilo nido ci costringe a ridefinire le politiche sociali del 2000 alla luce di un principio con cui la politica democratica-dominata dall’ansia della quotidiana verifica del consenso- fa fatica a fare compiutamente i conti: l’istanza egualitaria, da sempre l’anima delle politiche di Welfare, dovrebbe essere prioritaria al momento di considerare le politiche pubbliche mirate alla prima infanzia, mentre sarebbe bene seguire un approccio maggiormente orientato al mercato nella definizione delle politiche che riguardano gli adulti, più attrezzati a scegliere.
In tema di numero dei posti in asilo nido rispetto alla popolazione di bambini da zero a tre anni Novi vanta una situazione di eccellenza, con un livello di copertura effettiva vicino al 70%, assicurato tramite 72 bambini che frequentano gli asili nido comunali e 50 bambini che frequentano asili nido privati.
Su questo tema il nostro Sindaco non ha bisogno dei miei consigli, perché è stato proprio lui ad imporre più di recente-a fronte di posti non coperti negli asili pubblici- un ridisegno degli orari che ha presto realizzato la copertura di tutti i posti disponibili.
Una scelta che consente ora di darci- come comunità-l’obiettivo della copertura delle esigenze al 100% della domanda potenziale, da conseguire nei prossimi quattro anni.
Se è vero che le società contemporanee sono più avide di crescita che di ricchezza…; e se è vero che le disuguaglianze inaccettabili sono quelle che non hanno a che fare con il valore sociale dell’istruzione e dello sforzo degli individui per imparare ad imparare, allora la parola Servizi deve indurci a ridisegnare il complesso delle attività di fornitura dei servizi ai cittadini e alle imprese in una chiave almeno in parte diversa dal passato, più orientata alla personalizzazione del rapporto tra fornitore e fruitore del servizio, in modo tale che l’uno e l’altro siano indotti ad un miglioramento sistematico dei comportamenti e delle performance. La raccolta e la gestione dei rifiuti costituiscono- da questo punto di vista- un banco di prova fondamentale. Ma è con noi, questa mattina, chi può parlarne molto meglio di me.
Io voglio soltanto sottolineare che questo approccio al tema dei servizi ha come fondamentale presupposto- nell’attività della pubblica amministrazione- una certosina applicazione nella raccolta, nella organizzazione e nella gestione dei dati. “Quello che non sai misurare, non sai governare”, ripeteva Bloomberg mentre cercava di rivoluzionare la macchina della pubblica amministrazione a New York. È una lezione di cui fare tesoro.
I dati-che oggi la politica tende ad usare come armi per la guerra tra schieramenti politici contrapposti- devono invece lastricare la via che conduce a migliorare le politiche di governo.
Un’analisi sempre più sofisticata dei dati può infatti consentire di migliorare i Tempi-ecco l’ultima parola chiave della Novi di domani.
La formidabile potenza delle abitudini ci induce a pensare che i tempi delle città-che sono grosso modo quelli che abbiamo ereditato dalla precedente fase dello sviluppo capitalistico-, siano gli unici possibili: “si fa così , con questi orari, perché si è sempre fatto così”.
Come minimo, dobbiamo renderci disponibili ad una verifica. Usando le nuove tecnologie della informazione e avviando-su questo tema degli orari della città- una esperienza di partecipazione diffusa, per capire e conoscere prima di decidere.
Facciamoci insieme un’ultima domanda: se una parte grande degli obiettivi di crescita economica e di benessere è legata all’innalzamento della partecipazione delle donne in età feconda alle forze di lavoro, siamo proprio sicuri che la rigidità degli orari della città da “fabbrica fordista”, lo favorisca? L’esempio che ho prima richiamato- a proposito degli orari degli asili nido cittadini e della loro incidenza sui livelli di frequenza- sembra suggerirci il contrario.
Presidente di Libertà Eguale. Viceministro dell’Economia nei governi Renzi e Gentiloni. Senatore dal 1994 al 2013, è stato leader della componente Liberal dei Ds, estensore del programma elettorale del Pd nel 2008 e coordinatore del Governo ombra. Ha scritto con Giorgio Tonini “L’Italia dei democratici”, edito da Marsilio (2013)