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Il Coronavirus va a scuola

Italian Education Minister Lucia Azzolina during a press conference about Italy's coronavirus emergency situation at Chigi palace, Rome, 04 March 2020. The government has decided to close schools and universities until mid-March to reduce the risk of contagion of the coronavirus. ANSA/ANGELO CARCONI

di Giovanni Cominelli

 

Secondo i dati del Ministero dell’istruzione, il terremoto del Covid-19 ha sorpreso nelle 41.000 sedi scolastiche statali 7.599.259 alunni, in quelle paritarie circa 870.000; sorpresi anche 835.489 insegnanti e 7.859 dirigenti. Non sono gli unici: dai cittadini al governo, dalle Regioni ai sindaci, dai lavoratori agli imprenditori, l’arrivo del Covid-19 ha fatto saltare la nostra già fragile normalità.

 

Dall’imbuto di Norimberga all’Infosfera

Un sistema di istruzione secolare, le cui basi sono state gettate tra la seconda metà del ‘700 da Federico II di Prussia e agli inizi dell’800 da Napoleone, di colpo è bloccato dal rigor mortis. Spariti i ragazzi dalle aule, gli insegnanti dalle cattedre. Quel modello di istruzione era già stato plasticamente rappresentato dall’imbuto di Norimberga (Der Nürnberger Trichter), un’incisione su legno del XVII secolo, nella quale di due signori bene agghindati, uno legge un libro, stando in piedi dietro a un ragazzo, seduto immobile su una sedia; l’altro versa diligentemente le lettere dell’alfabeto in un grande imbuto, piantato nella testa del ragazzo. Sotto una strofetta: “Sicuro e veloce rende le teste brillanti” (Sicher und Schnell, Macht die Köpfe Hell”). Da Federico II in avanti gli insegnanti furono pagati dallo Stato.

Lo scopo del sistema di istruzione statale è formare dei buoni cittadini, buoni lavoratori, buoni soldati. Un esame di Stato finale certifica il raggiungimento del fine. I contenuti sono definiti centralmente, uguali per tutti; l’amministrazione dell’istruzione è centralizzata e fa capo, ancora fino alla metà dell’800, al Ministero dell’interno; gli insegnanti sono impiegati statali; i ragazzi sono distribuiti lungo gli anni con il criterio dell’età.

Benché parecchio sia cambiato, lo schema è rimasto lo stesso fino a questo 2020, perché si è combinato perfettamente con il fordismo e il taylorismo della seconda rivoluzione industriale. Chi si attendeva che l’avvento del digitale e dei centennials/millenials avrebbe spezzato lo schema centralistico e spinto verso la personalizzazione dei percorsi, verso l’acquisizione delle competenze-chiave e, pertanto, verso la formazione e reclutamento di un nuovo tipo di docente, ha atteso invano.
Il digitale ha solo allentato qualche volta il rigido verticalismo unidirezionale della trasmissione ad imbuto del sapere, non lo ha scalfito. Su questo sistema imballato è arrivato il meteorite del Covid-19. Avrà sul dinoasuro del Ministero della Pubblica Istruzione lo stesso effetto che provocò 60 milioni di anni fa, aprendo la strada ad un organismo meno mastodontico, ma più intelligente?

 

Decrescita educativa?

Intanto, si tratta di gestire questi mesi di emergenza. A questo vorrebbe provvedere il Decreto al momento ancora in bozza intitolato “Misure urgenti per gli esami di Stato e la regolare valutazione dell’anno scolastico 2019-2020”, messo a punto dal Ministero della Pubblica Istruzione.

Dato il cattivo andazzo invalso sotto il Conte I e II – per il quale girano Bozze di decreti, prima che siano definitivamente approvati, farsa della democrazia quasi-diretta – potrebbe non essere l’ultima parola del governo. Inoltre, è il Parlamento che lo deve approvare. Intanto, sono già state mosse obiezioni rilevanti di incostituzionalità: il ricorso previsto allo strumento dell’’Ordinanza ministeriale conferisce una delega in bianco al Ministro – l’opposizione ha già parlato, non a torto, di “colpo di stato” – su una questione che è cruciale in regime di valore legale del titolo di studio: quella di attribuire un determinato punteggio ai crediti e ai colloqui, in assenza dei voti finali approvati dai Consigli di classe.

La questione tecnico-politica concreta è invece quella dell’uscita dall’anno scolastico 2019-20, mediante gli esami di Stato – Terza media e maturità – e mediante promozioni all’anno 2020-21 . Tutti ammessi all’anno successivo, per quanto riguarda gli anni intermedi? La ministra Lucia Azzolina dichiara che questo non equivarrà aCon un “6 politico” per tutti. Forse non è politico, ma certo è per tutti. E’ la politica dell’Helycopter money applicata all’istruzione. Il fatto è che saltano necessariamente i paradigmi della valutazione e certificazione. Detto più brutalmente: il sistema di valutazione interna – i voti – non è più in grado di funzionare ai fini del valore legale del titolo di studio. Che, pertanto diventa “disvalore legale”! Gli effetti sui ragazzi sono largamente prevedibili: fine dell’impegno.

Quanto agli insegnanti, si sono divisi in tre categorie: quelli che “faccio il mio lavoro di educatore e sto vicino ai ragazzi, più che mai”; quelli che hanno crisi di identità professionale: “se non do i voti, la mia dignità professionale è calpestata”; quelli che “nessuno mi può obbligare legalmente al networking”. Del resto alcuni comunicati sindacali hanno, fin dall’inizio dell’epidemia, sostenuto esattamente quest’ultima posizione.

Eppure, la valutazione dei ragazzi non ha solo un valore legale, ma anche un valore educativo e formativo. I ragazzi e le loro famiglie hanno il diritto/dovere di sapere a che punto stanno rispetto alla tavola delle competenze europee e/o delle Indicazioni nazionali. Prendendo atto della problematicità delle interrogazioni in classe – molto dipende dalla dotazione digitale delle famiglie – e della relativa attribuzione dei voti, i TAR sarebbero ingolfati da migliaia di ricorsi dei genitori a difesa dei propri geniali pargoli.

Perciò occorrerebbe accompagnare verso il prossimo anno scolastico ciascun ragazzo con un giudizio analitico relativo a tutte le materie, che indicasse punti forti e deboli, competenze e debiti e anche gli inclassificabili. In queste condizioni, la continuità didattica è cruciale. Ma poiché la Ministra deve pagare pegno al suo elettorato, soprattutto meridionale – nel 2018 il 41% degli insegnanti ha votato M5S – ha attivato la mobilità. Che invece dovrebbe essere congelata così come dovrebbero essere confermati dal 1° settembre i supplenti dell’anno trascorso.
Nella prospettiva della gestione dell’emergenza – la cui fine la Ministra fissa ridicolmente al 18 maggio! – il recupero del mese di settembre 2020 diventa decisivo. Da adesso a settembre si dovrà fornire a ciascun ragazzo il necessario device, occorrerà estendere la banda larga e costruire i portali tematici per indirizzi, che già funzionano da qualche anno per la scuola secondaria di secondo grado.

 

Covid-19 e nuova didattica

Fatalmente prigionieri dell’emergenza, l’universo scolastico, i sindacati degli insegnanti e i partiti, fanno fatica a cogliere l’epocalità dell’evento Covid-19. Alle spalle agisce l’illusione che quella del virus sia solo una parentesi passeggera, chiusa la quale potremo tutti tranquillamente riprendere il cammino usato.

Eppure, da molti anni, prima ancora che arrivasse l’epidemia, prima ancora che fossimo avvolti nell’infosfera digitale, era urgente il cambiamento del sistema prussiano-napoleonico, che noi abbiamo incorporato nel 1859 nel nostro ordinamento. Il necessario ricorso al digitale lo renderà ancor di più obsoleto. Non è questo l’ambito per la definizione dei futuri scenari.
Occorre, intanto, prendere atto degli aspetti positivi del tempo presente. Fa notare Giovanna Bigoni, docente di Storia e Filosofia all’Istituto “Andrea Fantoni” di Clusone, capoluogo dell’Alta Valle Seriana: “con grande fatica e impiego di tempo molti docenti hanno passato settimane intere a capire come funzionano le piattaforme online, a sfruttare i contenuti digitali inclusi nei libri di testo, a cercare di rendere più interattive le lezioni grazie alla tecnologia. Di colpo ci siamo digitalizzati, per forza o per amore, e anche se c’è il rischio di ripetere vecchi schemi dentro nuovi contenitori, va dato atto che la digitalizzazione sta avvenendo.

Lo si deve soprattutto alla buona volontà dei singoli, che non hanno aspettato le circolari ministeriali per attuare la didattica a distanza. L’occasione che ci offre questa emergenza è quella di puntare alle competenze, di valorizzare alcuni momenti di didattica collaborativa, di sperimentare, sapendo che ciò che eventualmente si perde nella realizzazione del mitico “programma”, magari si riguadagna in “competenze”.

Che l’ospite inquietante, chiamato Covid-19, possa diventare, a sua insaputa, da attore di distruzione a motore di cambiamento socio-economico, culturale e educativo per noi umani?

Forse la decrescita educativa, in corso da qualche decennio, può essere bloccata.

 

(Pubblicato l’11 aprile su www.santalessandro.org)

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