LibertàEguale

Il destino della Siria

di Alessandro Maran

Ora che i ribelli hanno cacciato il dittatore Bashar al-Assad, la Siria si deve ricostruire. Come? E che cosa diventerà?

Hayat Tahrir al Sham (HTS), il principale gruppo ribelle che ora sta formando un governo e cerca legittimità internazionale (https://edition.cnn.com/…/syria-jolani-hts…/index.html), è solo una delle fazioni siriane, come osserva The Economist (https://www.economist.com/…/who-are-the-main-rebel…).
Ci sono anche i ribelli sostenuti dalla Turchia nel nord e nel nord-ovest della Siria e i ribelli per lo più curdi sostenuti dagli Stati Uniti nel nord-est della Siria. Approfondendo la gamma di gruppi nella sua newsletter “This Week in Northern Syria”, Alexander McKeever aggiunge all’elenco una coalizione di gruppi del sud che si erano riconciliati con il regime di Assad nel 2018 (https://akmckeever.substack.com/…/post-asad-syria-the…). “Il paese rimane diviso tra quattro attori principali”, scrive McKeever, “tre dei quali sono nominalmente alleati sotto l’ampio ombrello dell’opposizione” (ci sono anche alcune sacche dell’ISIS e sospette cellule dormienti.)
Nonostante la bella notizia della caduta di Assad, scrive James Corera sul blog “The Strategist” dell’Australian Strategic Policy Institute, la Siria potrebbe soccombere al dominio islamico fondamentalista o diventare un insieme di feudi. È probabile, scrive Corera, che al crollo di Assad e alla perdita patita dai protettori russi e iraniani “segua il caos”. Come ha sottolineato Fareed Zakaria, la Siria rischia di degenerare in una guerra civile, come è successo all’Iraq dopo che le forze guidate dagli Stati Uniti hanno rovesciato Saddam Hussein nel 2003. Discutendo del “puzzle” del controllo territoriale della Siria nel corso della puntata di GPS di domenica scorsa, l’ex diplomatico statunitense di lungo corso Richard Haass ha detto che ricorda i Balcani (https://edition.cnn.com/…/gps1215-syria-assad-fall…?).
Il comandante militare dell’HTS ha detto all’Economist che il nuovo governo rispetterà le minoranze: un impegno fondamentale, viste le insidie del settarismo in un paese molto fragile (https://www.economist.com/…/an-interview-with-the…). Ha affermato inoltre che i gruppi ribelli della Siria devono essere posti sotto il controllo dello Stato. Dati i diversi interessi in gioco, ciò potrebbe essere difficile. “Non si può negare che molte forze stiano cospirando per trascinare il Paese in ulteriore spargimento di sangue”, scrive The Economist (https://www.economist.com/…/how-the-new-syria-might…). “La Siria è un mosaico di popoli e fedi ricavato dall’impero ottomano. Non hanno mai vissuto fianco a fianco in una democrazia stabile”.
Per l’Economist, “la condizione essenziale affinché la Siria sia stabile è che ci sia un governo tollerante e inclusivo. La dura lezione appresa dagli anni di guerra è che nessun singolo gruppo può dominare senza ricorrere alla repressione”. Su Project Syndicate, anche Charles A. Kupchan e Sinan Ülgen sostengono che la Siria ha bisogno di “una transizione politica inclusiva” che riunisca i vari gruppi che controllano il territorio e “un nuovo contratto sociale che fornisca ai siriani adeguati livelli di sicurezza e opportunità economiche” (https://www.project-syndicate.org/…/multilateral…).
Robin Wright del New Yorker sottolinea l’incertezza sul percorso in grado di condurre verso un tale risultato: “Per il resto del mondo, la risoluzione 2254 delle Nazioni Unite rimane la premessa legale per la transizione. Richiede una nuova costituzione e libere elezioni che durino diciotto mesi. Ma è stata scritta nove anni fa. Il tempo scorre molto più velocemente ora in un paese in cui l’economia sta crollando e milioni di persone sono state sfollate o costrette all’esilio. ‘Dovremmo accettare l’instabilità, perché fa parte del processo’, ha affermato Sawsan Abou Zainedin, che guida Madaniya, un’organizzazione ombrello per duecento gruppi della società civile siriana. ‘Stiamo tutti basandoci sulla buona volontà, ma non possiamo basarci sulla buona volontà a lungo’”(https://www.newyorker.com/…/2024/12/23/syria-after-assad).

Ad ogni modo, il destino della Siria probabilmente non diventerà chiaro immediatamente, scrive Collin Meisel per il Modern War Institute di West Point: “La verità è che non sappiamo cosa riserva il futuro per la Siria. Ciò che sappiamo è che gli eventi politici hanno spesso effetti che si sviluppano nell’arco di molti anni, persino decenni, a volte ritorcendosi contro in modo difficilmente prevedibile” (https://mwi.westpoint.edu/in-syria-be-careful-what-you…/).

Lascia un commento

L'indirizzo mail non verrà reso pubblico. I campi richiesti sono segnati con *