di Stefano Ceccanti
La legislatura, rispetto al premierato, è iniziata col testo di Italia Viva, primo firmatario al Senato Matteo Renzi (disegno di legge Senato n. 830 del l’1 agosto 2023. Esso in sostanza riprende la forma di governo comunale e regionale basata sul principio del cosiddetto simul stabunt simul cadent, ossia se cade il capo dell’esecutivo eletto direttamente cade anche l’assemblea rappresentativa e viceversa, tranne il mantenimento del doppio rapporto fiduciario con Camera e Senato. Questo testo ha il pregio della assoluta coerenza interna, ma è giudizio nettamente prevalente tra gli studiosi e anche tra le forze politiche che sia troppo rigido trasporre il modello di comuni e regioni a livello nazionale, dove vi è anche il Presidente della Repubblica, la Corte costituzionale, un potere di revisione costituzionale affidato al Parlamento.
Il testo originario di Casellati
È intervenuto successivamente il Governo con il disegno di legge n. 935 del 15 novembre 2023, a firma del Presidente del Consiglio Meloni e della ministra per le riforme Casellati. Esso ha suscitato varie critiche. Qui riproposte all’indicativo presente dove il testo è rimasto invariato, con altri tempi e modi ove cambiato. In particolare il testo è apparso del tutto distante dalle proposte che sin qui avevano immaginato con equilibrio di importare il premierato in Italia, che per lo più si basavano sull’indicazione del Primo Ministro anche sulla scheda elettorale (ma non l’elezione diretta) abbinata a un sistema prevalentemente maggioritario e su poteri analoghi a quelli degli altri Premier europei (fiducia al solo Premier da parte di una sola Camera, potere di chiedere al Capo dello Stato la revoca oltre che la nomina dei ministri, modalità per rendere più difficile la sfiducia, potere di chiedere elezioni anticipate in alcuni casi come deterrente per governare le tensioni all’interno della maggioranza di coalizione). Invece il testo ha previsto l’elezione diretta, ma senza questi poteri: la fiducia resterebbe bicamerale, per revocare i ministri sarebbe ancora necessario passare per la sfiducia individuale, il potere di scioglimento finirebbe in realtà per slittare sull’eventuale secondo Premier della legislatura che non sarebbe sostituibile a differenza di quello eletto.
L’idea di fondo è sembrata quella di affidare tutto all’elezione diretta che porterebbe a prendere dei poteri non formalmente riconosciuti: un approccio divaricante rispetto al costituzionalismo liberaldemocratico. Il testo non segue la rigidità del modello comunale e regionale, ma evitare la rigidità non ha portato a un sistema coerente tra Premier e Parlamento: al Premier eletto non basta l’elezione ma deve poi ottenere la fiducia all’intero Governo; può essere sostituito da qualcuno che è stato eletto all’interno della stessa maggioranza, ma il secondo Premier può in realtà costruirsi una maggioranza diversa, come vuole. In questo modo è evidente che si fotografa e si incentiva la conflittualità tra i leader dei partiti della maggioranza. Il secondo Premier è più forte del primo perché solo la sua caduta porterebbe al voto anticipato, non quella del Premier eletto direttamente. Del tutto anomala anche la configurazione rispetto alle elezioni dirette conosciute nelle grandi democrazie europee, quelle dei Capi di Stato, che richiedono sempre la maggioranza assoluta con eventuale ballottaggio a due. In questo caso il quorum esigente sarebbe ancor più doveroso perché all’elezione diretta di un Premier era stata agganciata una maggioranza garantita in seggi del 55 per cento in entrambe le Camere. Impensabile una norma così precisa nell’assegnare i seggi e che nel contempo lascia alla legge ordinaria l’eventuale quorum e il numero dei turni con cui eleggere il Premier e assegnare detta maggioranza. Anomala rispetto alle elezioni dirette europee (anche a quelle italiane) era in origine l’assenza del tetto ai mandati: la concentrazione del potere ha bisogno di essere limitata nel tempo.
Gli emendamenti del Governo
A metà dello scorso mese di febbraio il Governo ha quindi presentato alcuni emendamenti che nella sostanza non hanno risolto le principali criticità rilevate. È stato quanto meno introdotto il tetto di due mandati consecutivi. Si continua però a non prevedere la maggioranza assoluta e l’eventuale ballottaggio per l’elezione diretta del premier, che pertanto potrebbe essere un premier di minoranza. Rimane anche la costituzionalizzazione di una specifica legge elettorale, quella basata sul premio, anziché limitarsi a prevedere il principio maggioritario (rendendo così molto difficile l’adozione di collegi uninominali), con la conseguente necessità di modificare la Costituzione per cambiare il sistema di voto (ad esempio, qualora quello con il premio si rivelasse inidoneo per la frammentazione del sistema politico in tre e più poli, come nel 2013).
È vero che non si prevede più la cifra precisa del 55% dei seggi, ma resta un’asimmetria tra la previsione del premio (almeno la maggioranza assoluta dei seggi) e la mancanza di una soglia minima (c’è solo un riferimento alla rappresentatività). Occorre anche aggiungere che la previsione della maggioranza assoluta dei seggi potrebbe consentire alla legge elettorale di prevedere una soglia minima molto bassa, addirittura del 35%, con premio comunque pari al 15% dei seggi (eventualmente con un meccanismo a scalare per cui con il 36, 37…40% dei voti si otterrebbe il 51, 52…55% dei seggi). Inoltre non si comprende perché un premier eletto debba essere “incaricato” (oggi l’incarico non è costituzionalizzato, in Costituzione c’è solo la nomina). È stata poi inserita la possibilità che il premier possa proporre al Presidente della Repubblica anche la revoca dei ministri, novità positiva che però confligge con il mantenimento di una fiducia inziale all’intero Governo. Se la fiducia (che dovrebbe essere presunta data l’elezione diretta) è all’intero Governo non ci dovrebbe essere un successivo potere unilaterale di revoca. Se invece, più sensatamente, la fiducia fosse con il solo premier allora la revoca sarebbe più che logica.
Si sono poi chiariti i casi in cui il premier possa chiedere e ottenere lo scioglimento. La Lega è stata attenta a non far includere il caso più classico, quello normato dall’articolo 68 della Legge Fondamentale tedesca e su cui sono caduti i due Governi Prodi, ossia quello del rigetto della questione di fiducia posta dal Governo. In caso di approvazione della mozione di sfiducia (che di norma non accade mai nei regimi parlamentari) è previsto lo scioglimento automatico. Il premier può chiedere e ottenere lo scioglimento solo in caso di dimissioni “volontarie” (nel caso di rigetto della questione di fiducia le dimissioni non sono volontarie, sono obbligate, per quanto qualcuno cerchi di dimostrare il contrario; la questione di fiducia può infatti riguardare anche la legge di bilancio o un atto di indirizzo di politica generale, la politica estera, la collocazione internazionale dell’Italia, è impensabile che il premier sconfitto non sia obbligato alle dimissioni). Sulla posizione della questione di fiducia si configura pertanto la possibilità di un “diritto di imboscata”, con subentro di un secondo premier insostituibile, a differenza al primo, perché una sua caduta porterebbe automaticamente ad elezioni. Questa norma è molto grave anche perché non consente al premier eletto di disporre di uno strumento di deterrenza, perché il potere di scioglimento serve innanzitutto “a non sciogliere”, cioè a prevenire le crisi, governando le tensioni, inevitabili con maggioranze pluripartitiche.
Gli emendamenti dell’opposizione
I gruppi di opposizione che dichiarano tutti (tranne Italia Viva) di ispirarsi al sistema costituzionale tedesco, superano lo status quo ma non chiariscono un progetto alternativo compiuto:
– Azione mette tutti e 4 i punti del sistema tedesco (fiducia al solo Premier, revoca, sfiducia costruttiva, proposta di scioglimento in caso di sconfitta sulla fiducia) ed anche il Premier sulla scheda, però poi la sua pronuncia a favore di un sistema proporzionale contraddice fortemente l’emendamento presentato che vincola la legge elettorale a “favorire la formazione di una maggioranza collegata a un candidato alla carica di Primo Ministro”.
– Il M5s propone 3 elementi su quattro del sistema tedesco, evitando il più importante, la facoltà del premier di chiedere lo scioglimento in caso di reiezione della questione di fiducia. Il Pd, pur presentando varie interessanti proposte sulle garanzie per l’opposizione, a cominciare dal controllo preventivo di costituzionalità, propone solo 2 elementi su 4 del sistema tedesco, revoca e sfiducia costruttiva, ma non la proposta di scioglimento e neanche il rapporto fiduciario con il solo premier.
– Italia Viva intende correggere il testo puntando sul modello del simul simul che è troppo rigido per una forma di governo nazionale.
– Il senatore Pera ha presentato due emendamenti, il primo per eliminare la controfirma governativa agli atti che oggi sono solo per prassi una prerogativa esclusiva del Presidente della Repubblica (come la nomina dei giudici costituzionali, il rinvio delle leggi e i messaggi alle Camere) e il secondo per riconoscere il ruolo del Capo dell’opposizione.
L’iniziativa delle associazioni
Per proporre nel dibattito pubblico una quarta via tra il testo gravemente contraddittorio del Governo, la proposta rigida di Italia Viva, le incertezze dei vari gruppi di associazioni, si è formato un cartello di diverse associazioni (Io Cambio, Libertà Eguale, Magna Carta, Riformismo e Solidarietà) che hanno proposto un combinato disposto tra la costituzionalizzazione del principio maggioritario nella legislazione elettorale e una serie di norme costituzionali ispirate alle democrazie parlamentari efficienti (Germania, Regno Unito, Svezia, Spagna) al testo di Cesare Salvi alla Bicamerale D’Alema per il centrosinistra, alle audizioni dei professori Barbera e Cheli alla medesima Bicamerale.
Vicepresidente di Libertà Eguale e Professore di diritto costituzionale comparato all’Università La Sapienza di Roma. È stato Senatore (dal 2008 al 2013) e poi Deputato (dal 2018 al 2022) del Partito Democratico. Già presidente nazionale della Fuci, si è occupato di forme di governo e libertà religiosa. Tra i suoi ultimi libri: “La transizione è (quasi) finita. Come risolvere nel 2016 i problemi aperti 70 anni prima” (2016). È il curatore del volume di John Courtney Murray, “Noi crediamo in queste verità. Riflessioni sul ‘principio americano'” , Morcelliana 2021.