di Marco Campione
(Nota dell’autore: Di seguito lo sviluppo dei miei appunti per l’intervento ad Orvieto. Temi che ho svolto solo in parte per lasciare posto alla parte di policy, che è invece sviluppata qui.)
Parlo di noi, della sinistra liberale, dei riformisti.
Chiunque votino o abbiano votato in passato.
Parlo, in particolare, di Libertà Eguale.
Veniamo da sconfitte epocali, sconvolgimenti del quadro politico. E non mi riferisco alla scissione di Renzi. La scomposizione del quadro politico è cominciata ben prima. E le sconfitte di cui parlerò sono state un po’ causa e un po’ effetto dell’accelerazione dei processi in atto.
Una prova del fatto che Italia Viva c’entra poco? Siamo Europei e l’idea di Calenda, subito sposata da tutti i leader del PD, di un Fronte Repubblicano contro il sovranismo e il populismo.
È prima del congresso, è prima della scissione. È solo un anno fa, ma pare un secolo.
Ascoltavi argomentare Calenda o Gentiloni o Zingaretti e ti veniva in mente una sola domanda: ma il FR non doveva essere il PD?
Razionalmente era questa la reazione, ma se eravamo in pochi ad averla (e nessuno di quelli che contano qualcosa, peraltro) evidentemente già allora ci eravamo persi per strada il PD.
Non è che il PD per come l’avevamo pensato era già malato e non lo sapevamo?
Avevamo cantato vittoria troppo presto
Questa nostra discussione ha senso solo se prendiamo atto che siamo stati sconfitti.
Solo pochi anni fa nelle nostre riunioni ci chiedevamo se Libertà Eguale avesse ancora senso visto che avevamo vinto. Tutto quello per il quale avevamo combattuto si stava realizzando:
- si andava verso la riforma istituzionale da noi caldeggiata,
- il PD e il governo erano in mano ad un giovane leader che stava cambiando il paese,
- era lì grazie ad una leadership emersa sul campo,
- era coadiuvato da un gruppo dirigente forgiatosi per lo più nella battaglia politica.
Oggi dobbiamo dirci che avevamo cantato vittoria troppo presto.
Siamo nati sulla convinzione che l’impianto istituzionale del paese dovesse essere cambiato nel profondo e che lo strumento della battaglia politica più coerente con quell’obiettivo fosse il Partito Democratico, che non a caso «nasce» prima ad Orvieto che al Lingotto.
Oggi dobbiamo prendere atto che la doppia sconfitta che abbiamo subito con il referendum e con il PD che costruisce una coalizione stabile con i 5S è netta.
La sconfitta è nella rimozione della stagione riformista
Attenzione! Ciò che considero una sconfitta per i riformisti non è tanto l’alleanza del PD con i populisti, ma l’alleanza stabile con chi pensa che la stagione riformista del governo Renzi sia qualcosa per la quale dovremmo abiurare.
E non è una obiezione che il governo lo ha fatto nascere Renzi perché non è di questo governo che sto parlando ma di quello che il PD farà (ammesso che vinca) in Umbria, in Calabria e poi probabilmente in Emilia e forse anche in Toscana.
E non è una obiezione che Zingaretti non ha mai accettato di abiurare, perché mettere una persona contraria al Jobs Act a fare il responsabile lavoro, una che votò NO al referendum del 2016 alle riforme e una contraria alla Buona Scuola alla scuola non è una abiura esplicita, ma è forse peggio.
Come se Galileo, piuttosto che abiurare avesse chiamato a sé come assistente Orazio Grassi, l’astronomo gesuita seguace delle teorie di Tycho Brahe (la terra è ferma e tutti gli altri pianeti ruotano attorno al sole).
Meglio una abiura per salvarsi la vita, che convincersi di avere avuto torto e agire di conseguenza.
Una prova? La rimozione della stagione riformista, anche da parte di molti dei protagonisti dei 1000 giorni.
Lo hanno spiegato bene De Bernardi e Rodriguez sul nostro magazine online. Il progetto del Lingotto è archiviato due volte: nella riforma dallo Statuto e nei pilastri su cui si fonda il nuovo corso: spesa pubblica, consociazione, conservazione. Ai quali io aggiungo statalismo e paternalismo.
Quindi sconfitti. E le sconfitte sono dolorose. Ma dopo averle subite la cosa peggiore che puoi fare è non prenderne atto.
Questo tema è un macigno che non può essere liquidato. Almeno non qui a Libertà Eguale.
I riformisti nel PD e fuori: cosa li divide?
Non è obbligatorio condividere questa analisi, ma a mio parere se non si considera una sconfitta la fine della coincidenza tra segretario e premier non ha molto senso star qui a discutere. Se non si considera una sconfitta il ritorno al proporzionale non ha senso star qui a discutere. E sono solo esempi.
Chi sceglie di restare nel PD e chi ha scelto da tempo o solo adesso di abbandonare quel progetto si divide secondo me su un punto: il giudizio sulla provvisorietà o meno dell’arretramento al quale stiamo assistendo. Pochissimi tra noi per fortuna negano l’esistenza di un arretramento.
Alcuni pensano che i riformisti del PD devono momentaneamente abbozzare in attesa di tempi migliori, altri che l’involuzione verso il partito della spesa pubblica, della conservazione e della consociazione sia irreversibile.
Dai primi però non ho ancora sentito la risposta alla domanda per me chiave.
Vedo molti chiedere a chi va perché lo fa, ma nessuno di quelli che restano chiedersi se il PD è ancora il partito aperto e contendibile del Lingotto.
Chiedersi se non abbia tutti i torti chi denuncia come il PD (uso ancora le parole di Rodriguez e De Bernardi) stia curvando verso il partito della spesa pubblica, della conservazione, della consociazione.
Dalla mia visuale, la scuola, è evidente che le cose stanno così. Fateci caso, il PD sulla scuola sembra il padre della canzone di Mahmoud: soldi, pensavi solo ai soldi soldi soldi… E invece alla scuola serve qualcuno che chieda come va come va come va. E basta leggere tutte le statistiche per capire che va abbastanza male.
Quello che non ho ancora sentito nei ragionamenti di chi resta è una domanda su quale sia il limite, il punto di non ritorno. Cos’altro deve accadere? Una tassa su chi lascia il partito, il divieto di andare alla Leopolda, la prescrizione infinita, il proporzionale, una sanatoria per 70.000 docenti…
Per decidere se il PD si apre o si arrocca, la cartina al tornasole non sarà l’apertura della segreteria del partito ad esponenti delle mozioni sconfitte al congresso, ma le modifiche allo statuto e quello che dirà sul lavoro, sulla scuola, sulla giustizia, sulle tasse…
Avete, amici riformisti che restate nel PD, un grande potere contrattuale in questo momento: a voi decidere se usarlo per conquistare posizioni negli organigrammi o per respingere le volontà restauratrici della maggioranza.
Le scelte del governo e i riformisti
Le scelte del governo metteranno a dura prova la nostra fede riformista. E metteranno a dura prova sia chi va con Renzi che chi resta nel PD da posizioni come quelle di Libertà Eguale.
Ci saranno i riformisti a combattere perché Fioramonti non faccia l’ennesima sanatoria che uccide il futuro?
E a difendere il bonus merito ai docenti?
Ci saranno per impedire la nazionalizzazione di Alitalia?
E per stoppare una riforma della giustizia illiberale?
Ci saranno per impedire un aumento delle tasse per il ceto medio?
Ci saranno per raccogliere la domanda di autonomia che viene dai territori, non solo del nord?
Quale ruolo per Libertà Eguale
Sono battaglie che si possono anche perdere, visti i rapporti di forza. Ma che vanno fatte.
E sono battaglie che l’associazione potrà fare (e secondo me dovrà fare, qui il punto politico del mio intervento) in dialogo con tutte quelle forze che stanno nascendo o si stanno trasformando nella nostra area di riferimento: PD, Italia Viva, Più Europa e Siamo europei, quel che diventerà il «centro» del centro-destra.
Non ci deve spaventare il pluralismo di posizioni. Fin dalla fondazione hanno aderito personalità provenienti dalle diverse anime della sinistra, che hanno continuato ad animarla anche quando al uni non hanno aderito al PD.
Oggi come allora è in corso una scomposizione del quadro politico. Per noi vedo un grande e radioso futuro se ritroveremo il senso di una missione: preparare il terreno e indirizzare il quadro della prossima ricomposizione verso lidi per noi auspicabili (un nuovo bipolarismo più “ordinato”) o almeno per ridurre l’entropia attuale.
Offrendo ai riformisti una casa dove stare insieme, in attesa che emerga o riemerga una leadership capace di unire il paese attorno ad un progetto di cambiamento.
Non siamo una corrente
Oggi come quando fu fondata Libertà Eguale c’è nuovamente bisogno di un luogo dove i riformismi possano confrontarsi, mescolarsi, meticciarsi…
Non siamo mai stati una corrente del PD, come la intendono i signori delle tessere. Lo sappiamo e ci è sempre andata bene così, è la forza di questo luogo. Diventarlo adesso che molti di noi sono usciti o stanno uscendo dal PD sarebbe davvero paradossale.
Un incubatore. Questo è stata l’associazione Libertà Eguale; e questo può tornare ad essere se saprà mantenersi aperta al contributo di tutti i “riformisti erranti” oggi in diaspora.
Al lavoro, amici e compagni: c’è ancora bisogno di noi.
Noi.
Abbiamo fatto e faremo scelte diverse quanto a collocazione politica. Facciamo tutti in modo che ciascuno possa continuare a parlare di Orvieto dicendo NOI.
Esperto di politiche per l’Education, ha lavorato nell’azienda che ha fondato fino a quando non ha ricoperto incarichi di rilievo istituzionale. Approdato al MIUR con il Sottosegretario Reggi, è stato Capo della Segreteria dei Sottosegretari Reggi e Faraone e ha lavorato nella Segreteria del Ministro Valeria Fedeli. Ha collaborato alla stesura de La Buona Scuola, il “patto educativo” che il Governo Renzi ha proposto al Paese. Ha scritto di politica scolastica su Europa, l’Unità e su riviste on line del settore. Il suo blog è Champ’s Version