di Danilo Di Matteo
La vicenda dell’ex ministro Gennaro Sangiuliano pone la destra italiana dinanzi allo specchio, metafora di una mediocrità che si fa pericolosa per la sua arroganza e prepotenza. Sullo sfondo – e talora anche in primo piano –, la “svolta” meloniana si proponeva di demolire “l’egemonia culturale” della sinistra, sostituendola con la propria. Erano sicuri, lor signori, di comprendere ciò di cui parlavano? Per cominciare, l’egemonia, come intesa da Antonio Gramsci, non si situa nei palazzi e nei governi. Ascoltiamo due potenti righe tratte dal saggio giovanile del 1918 “L’individuo e la legge”, ben evidenziato da Nadia Urbinati: «Una legge è vitale in quanto basata su un solido costume che la garantisca, senza bisogno di troppi controlli burocratici». Un esempio dei giorni nostri potrebbe esser rappresentato da quella sul divorzio: c’è qualcuno davvero pronto ad abolirla? Proprio lì è l’egemonia, nella sua essenza.
Poi vi sono le elaborazioni successive, legate ai momenti storici: dal partito concepito come “novello principe” o come “intellettuale collettivo” alla capacità di Palmiro Togliatti di tessere una trama di relazioni feconde con il mondo della cultura, nel dopoguerra, anche come contrappeso rispetto alla centralità politica della Dc e dei moderati. Attraverso i decenni, più in generale, le sinistre (al plurale) sono riuscite spesso a porsi in sintonia o a interpretare i fermenti e le istanze innovatrici della società, le posizioni più avanzate e meno retrive. Insomma: semplificando molto, vi era un conflitto, questo sì culturale e di costume, tra quella che il cantautore Rino Gaetano chiamerebbe l’Italietta e una sorta di “altra Italia” democratica, progressista e di sinistra, per dirla con il gergo di quei decenni.
Va da sé che la cultura, il sapere, i saperi sono di tutte e di tutti, appartengono a tutti e non di rado mettono radicalmente in discussione schemi e pregiudizi, magari rovesciandoli.
Con buona pace delle destre italiane e dell’ex ministro Sangiuliano, è nel confronto, nel dibattersi di interessi e posizioni, nell’urto di istanze confliggenti e nella capacità di dialogare e di relazionarsi che possono affermarsi, in maniera sempre parziale e provvisoria, le “egemonie”. Più che “predatori”, occorrerebbero persone dell’acume e della levatura del compianto Alberto Ronchey, che, prima di divenire ministro dei Beni culturali e ambientali, aveva inciso in profondità sul lessico politico e, più in generale, sulla nostra lingua, coniando o conferendo nuove accezioni a vocaboli ed espressioni come “lottizzazione” e “Fattore K”. Un esempio di “egemonia dell’intelligenza”.
Psichiatra, psicoterapeuta e studioso di filosofia con la passione per la politica. Si iscrisse alla Fgci pensando che il Pci fosse già socialdemocratico, rimanendo poi sempre eretico e allineato. Collabora con diversi periodici. Ha scritto “L’esilio della parola”. Il tema del silenzio nel pensiero di André Neher (Mimesis 2020), Psicosi, libertà e pensiero (Manni 2021), Quale faro per la sinistra? La sinistra italiana tra XX e XXI secolo (Guida 2022), le raccolte poetiche Nescio. Non so (Helicon 2024) e Ombre dell’infinito, figure del Sublime. “Voce di silenzio sottile” (Helicon 2024). È uno degli autori di Poesia e Filosofia. I domini contesi (a cura di Stefano Iori e Rosa Pierno, Gilgamesh 2021) e di Per un nuovo universalismo. L’apporto della religiosità alla cultura laica (a cura di Andrea Billau, Castelvecchi 2023).