Non c’è da stupirsi. E infatti nessuno si è stupito, ma forse indignato sì. La nomina di Lino Banfi nella commissione italiana dell’Unesco rispecchia quello che Hegel chiamarebbe “zeigeist” ovvero lo spirito dei tempi. Tempi in cui non solo non conta la competenza ma neanche il buongusto.
Subito sui social è partita l’ironia, se Banfi è all’Unesco, allora Bombolo redivivo presidente del Consiglio. Se Banfi è all’Unesco, Barbara Bouchet alla Nato e via dicendo con diverse declinazioni che comprendono Edwige Fenech e Jerry Calà.
Dice bene Lia Quartapelle su queste pagine, siamo nell’era della diplomazia dei comici. In effetti quell’era era iniziata con Beppe Grillo sceso in politica che però di diplomatico non aveva niente, ma qualcosa da dire sì: basta i soliti noti, largo ai giovani, chiunque essi siano (un po’ meno).
Banfi tra M5s e Lega
Allora non stupisce l’improvvisazione continua ma invece le dichiarazioni di Di Maio ospite alla trasmissione L’Aria che tira sulla7 sì.
A una perplessa Myrta Merlino che lo interrogava su capolavori del calibro di “L’allenatore nel pallone” e “Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio”, rispondeva che Banfi ora si è fatto una reputazione da nonno d’Italia. Et voilà lo sdoganamento del nazionalpopolare con frasi come “dobbiamo tanto ai nonni”; sappiamo bene che la società italiana si appoggia ormai completamente sulle loro spalle e sulle loro pensioni ma cosa c’entra l’Unesco?
Allora forse il voto social dei giovani non basta più al M5s e lo scopo, in vista delle elezioni, è conquistare i voti che finora sono andati in altre direzioni, soprattutto in quella della Lega con la sua quota 100
Cultura questa sconosciuta
Insomma Banfi rischia di essere l’ennesima prova della maretta tra i due strani alleati di governo e la riprova della scarsissima attenzione che il paese riversa nel suo principale patrimonio: la cultura.
Attenzione, viene da dire, che se continuiamo a chiudere gli enti culturali (vedi l’Ente teatrale italiano che ha chiuso i battenti nell’ormai lontano 2010), che se continuiamo a tagliare fondi al cinema, e all’arte, se gli intellettuali di casa nostra continuano a tacere, se passiamo il messaggio che con la cultura non si mangia, cosa peraltro ormai tristemente vera, ci ritroveremo con Pippo Franco al Quirinale.