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Il Nord (che cambia) al Governo

This photo taken on May 3, 2018 shows a worker cutting steel at a factory in Huaibei in China's eastern Anhui province. - China's surplus with the United States widened in April, underlining an imbalance between the economic titans as they struggle to reach an agreement on averting a potentially damaging trade war. (Photo by - / AFP) / China OUT (Photo credit should read -/AFP via Getty Images)

di Francesco Gastaldi

Il Governo Draghi ha stupito tutti per l’elevata presenza di ministri dell’area settentrionale del Paese, in particolare i nove ministri lombardi per nascita. Molto esigua la presenza del Mezzogiorno, peraltro alcuni di questi, come il pugliese Cingolani, operano da tempo al Nord.

Proprio qualche giorno prima del varo del nuovo esecutivo, Dario Di Vico (attento osservatore delle evoluzioni della piccola impresa) sulle pagine del Corriere della Sera aveva analizzando alcuni cambiamenti dell’anno 2020, pur nell’anno nero della pandemia con un calo del PIL 2020 (-8,8%), “la grande sorpresa è stata rappresentata dall’export, che avrebbe dovuto uscire mutilato dal blocco della mobilità, e invece è addirittura cresciuto dell’1,1 tra il novembre 2019 e quello successivo. Mettendo in mostra un cambiamento della composizione del Made in Italy, spostato sui beni intermedi e i macchinari piuttosto che sui prodotti iconici”.

Il noto editorialista ha aggiunto: “Questa opportunità ha permesso che le produzioni italiane rimanessero pienamente incastonate nelle grandi catene internazionali del valore dimostrando l’insostituibilità dei nostri fornitori. Il processo ha riguardato soprattutto la meccanica seguita da altri settori e non ha funzionato solo per la moda-abbigliamento, penalizzata a valle dalla chiusura dei punti vendita”.

Il modello di sviluppo economico dei “piccoli” è stato oggetto di studi che hanno avuto grande risonanza, ma oggi si avverte la mancanza di studi che interpretino le più recenti dinamiche delle trasformazioni socio-economiche, spesso correlate alle evoluzioni degli ultimi 20 anni. L’economia italiana sta attraversando la peggiore recessione, per intensità e durata, dal dopoguerra. Le recessioni ordinarie hanno di solito effetti transitori proprio perché durano relativamente poco e perciò, anche se sono state acute, una volta superate, l’economia torna sui livelli precedenti di produzione e occupazione. Questa volta è diverso: nell’ambito di una crisi internazionale, quella italiana si caratterizza per ritardi strutturali profondi, lo dimostra il fatto che la performance della nostra economia è stata peggiore di quella di quasi tutti i principali paesi sviluppati anche nel decennio pre-crisi 2007-08.

I ritardi strutturali derivano dal fatto che l’Italia, per svariati motivi, è stata in grado di rispondere solo parzialmente ai cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici, non ha saputo interpretare i segnali di cambiamento che provenivano dalle aree più dinamiche del pianeta. Tutti gli osservatori (critici e non) riconoscono come la produzione del Nord-Est sia ancora una parte quantitativamente, e più ancora strategicamente importante del sistema produttivo italiano, ma non tutti i distretti vanno bene, alcuni hanno reagito positivamente perché si sono internazionalizzati (es. meccanica).

Un fenomeno rilevante è certamente l’affermazione di “medie imprese” leader dentro i distretti, che hanno avuto un effetto trainante. Con la crisi degli ultimi anni e fenomeni di globalizzazione sempre più marcati, i distretti produttivi sono stati esposti in maniera rilevante ad una competizione sempre più spinta: un sistema che sembrava relativamente stabile ha subito improvvise involuzioni. Ancora più difficile la situazione in Liguria e in parte del Piemonte dove la transizione post industriale arranca con fatica, così come in alcune aree montane alpine e appenniniche più marginali e interne.

Complessivamente si può dire che il Nord sta attraversando una fase di metamorfosi molto profonda che investe non solo il tessuto produttivo, ma anche le comunità locali, ancora più indebolite e fragili dopo il terribile 2020. Crisi economica, dunque, ma anche crisi sociale, d’identità e di ruolo, che in molte aree si è sommata a forme di disagio, da tempo nota come “questione settentrionale”. Gli effetti si stanno definendo nella dimensione economico-materiale, ma anche in quella psicologico-identitaria, quest’ultima è meno riconosciuta e più nascosta nelle biografie di vita individuale e collettive. Un Nord destabilizzato che richiede attenzioni: non mancherà lavoro per il Governo Draghi a trazione nordista.

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